Che la povertà in Italia sia drasticamente in aumento è ormai chiaro per tutti, come rivelano gli innumerevoli dati che vengono trasmessi ormai quasi quotidianamente. Ma chi sono i poveri oggi? Capirlo è fondamentale, al fine di potere implementare politiche di contrasto veramente efficaci. I nuovi poveri non sarebbero soltanto il prodotto della crisi economico-finanziaria, ma anche dei cambiamenti dell’intero sistema produttivo – e, conseguentemente, dei rapporti di lavoro – avvenuti negli ultimi decenni. Cambiamenti che hanno “sregolato” il mercato del lavoro tradizionale determinando lo sviluppo di un ceto medio composto da tanti “piccoli imprenditori di sé stessi”, sempre più atipici e frammentati, che il nostro sistema di protezione sociale, basato invece ancora su un modello tradizionale e poco flessibile, ha progressivamente escluso. La destrutturazione dei luoghi di lavoro inoltre, delocalizzando i lavoratori, li avrebbe dispersicompromettendone, così, la capacità di associarsi e costruire un’adeguata advocacy affinchè il sistema potesse essere riformato in modo più inclusivo. Cambiamenti che hanno finito per compromettere lo stesso ruolo del lavoro, da strumento di emancipazione attraverso il quale l’individuo realizza se stesso e migliora il proprio posto nella società, ad un “espediente di sopravvivenza temporaneo” che non consente di realizzare una completa autonomia della persona. Non a caso parliamo oggi di working poor, cioè di persone che pur lavorando non riescono a sopravvivere a causa della bassa qualità, della durata o della scarsa remunerazione della propria occupazione. Non solo. Le nuove povertà presentano un’importante aspetto per cui differiscono dalle povertà tradizionali: i nuovi poveri sono come dei “treni che sono stati bloccati durante la corsa” e non hanno potuto realizzare le proprie aspettative. Il binomio lavoro-autonomia non è più certo, così come non lo èpiù quel sistema di lavoro che si fondava su avanzamenti di posizione lineari. Cosa fare, quindi, di una persona che dopo 15-20 anni si ritrova senza niente, proprio a metà del proprio percorso? Un problema, quello delle aspettative, particolarmente evidente per le nuove generazioni, per le quali il ciclo studio-lavoro-autonomia non è scontato come in passato. Anzi, molti “nuovi poveri” sono laureati che hanno ricevuto un’ottima formazione ma, conclusi gli studi, non trovano un’adeguata - o nessuna - collocazione nel mercato del lavoro, finendo per sprecare anni di investimenti. Si tratta quindi di soggetti profondamenti diversi rispetto alla definizione che si dava alla povertà fino a pochi anni fa. Sono persone spesso istruite, provenienti dal ceto medio, con capacità, competenze ed alti profili culturali, che non possono quindi essere tutelate con le politiche assistenziali tradizionali. Persone che non necessitano di assistenza o supporto psicologico per fragilità, ma di aiuticoncreti. video da l’ultimaparola