Il 28 aprile scorso è avvenuto – nel silenzio totale dei commentatori – un episodio da licenziamento in tronco nei canali Rai: per la precisione a Radio1 nella trasmissione «L’Argonauta» in onda dalle 23:42 alle 23:52. La coraggiosa Simonetta Bartolini ha parlato benissimo della recente opera di Alessandro Bedini, L’Italia “occupata”. La sovranità militare italiana e le basi Usa-Nato presentato da Franco Cardini (Il Cerchio, Rimini 2013, 104 pp., € 15,00). Siccome s’è trattato di un mass-media dello Stato italiano, e no di certo di Radio Tirana di una volta, a maggior ragione stupiscono le virgolette ad “occupata” imposte dalla casa editrice all’autore. Forse almeno dal titolo si voleva far passare il libro come un che d’ironico e simpatico, mentre il vocabolo non virgolettato avrebbe destato terrore e almeno imbarazzo da parte dell’impresa romagnola. Al contrario: la realtà ha superato la fantasia e nelle parole finali del commento Raitraspare in sé la gravità messa a nudo dall’opera. Dice la Bartolini: «Ma ora che i due blocchi, America ed ex Unione Sovietica non si contrastano più militarmente che senso ha continuare a costruire basi che ci sottraggono territorio e alloggiano potenziali arsenali distruttivi? Vale la pena di leggere il libro di Bedini per trovare qualche risposta, per quanto desolante essa possa essere» (1). Purtroppo a livello di opinioni ufficiali parla solo la valida giornalista professionista dell’Ordine della Toscana; non per nulla se traiamo alcune parole di Cardini dalla presentazione, il desolante pervade l’imbelle clima politico che ci governa: «I politici non rispondono, appaiono insensibili e impermeabili a qualunque protesta e perfino domanda, sono vilmente assenti o cinicamente indifferenti. I media guardano altrove. Governi ed enti amministrativi sono lontani, inaccessibili, sordi e ciechi e muti. Non esistono strumenti di controllo né di verifica. Eppure non siamo tra lepraterie e le cordigliere dell’America latina, non siamo nel centro d’Africa. Siamo in Europa e al centro del Mediterraneo, “in un grande paese democratico”» (2). In merito poi ai referendum burletta con cui si è fatto respingere il nucleare dal nostro Paese, la questione è bifronte: rinunciando all’atomo l’Italia si è indebolita sul versante economico, ossia sul fronte dell’energia che a buon mercato potremmo produrre con le centrali – come nel caso di Francia, Svizzera, ecc. – e non svenarci acquistando il petrolio all’estero a suon di dollari, così facendo gli interessi della Casa Bianca. Nell’altro il nucleare all’interno del nostro territorio è ben presente e sul lato peggiore, quello delle armi di distruzione di massa verso gli altri popoli, a vantaggio dell’espansionismo militar-imperialista degli Stati Uniti. A volte girando per le cittadine e le municipalità italiane sorrido nel leggere quei patetici cartelli a entrata degli ameni centri: “Comune denuclearizzato”. Non so seè da sempliciotti, l’ingenua bonomia degli amministratori ad erigerli, oppure vige la loro impotente malafede da campagna elettorale. Su questo punto interviene ancora il prefatore: «Ma forse non è troppo chiara né troppo diffusa la consapevolezza della situazione, né di ciò che essa comporti. Secondo attente indagini recenti, gli ordigni nucleari di proprietà degli USA presenti in Italia – un paese nella cui Costituzione il rifiuto della guerra è esplicito e perentorio – sarebbero in tutto novanta bombe di tipo B61, con una potenza devastatrice che supera di 900 volte la potenza delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Un sondaggio commissionato nel 2006 da Greepeace a StraitCom (per l’Italia, Eurisko) e che ha avuto un’eco “stranamente” fievole nei media, dimostra che quasi il 70% degli italiani ignora questa realtà; e tale percentuale è paradossalmente più o meno pari a quella che in varie occasioni si è esplicitamente espressa contro la presenza di ordigni atestata nucleare in Europa. Con l’aggravante che si tratta di realtà del tutto svincolate dalla sovranità nazionale: il presidente statunitense può decidere l’impiego delle armi nucleari presenti in territorio italiano senza il consenso delle autorità del nostro paese. La “Direttiva 60” emanata nel ’97 dal presidente Clinton chiarisce che le armi nucleari statunitensi possono essere puntate su Russia, Cina e su qualunque “stato-canaglia” o soggetto non-statale unilateralmente definito come in grado di minacciare la sicurezza degli Stati Uniti; l’uso di questi ordigni, con partenza dal nostro paese, può essere consentito anche a titolo di “difesa preventiva”, il che vanifica in pratica qualunque buon proposito di non partecipare ad eventuali azioni offensive. [...] in termini di fine di qualunque prospettiva di reale sovranità e indipendenza europea, la linea di collaborazione tra i paesi del nostro continente e gli USA all’interno e attraverso la NATO – e quindi una scelta di campo chepregiudizialmente rinunzia a quel ruolo di mediazione e di equilibrio che un’Europa libera e unita potrebbe svolgere sul piano diplomatico e militare, a vantaggio di tutto il mondo e del mantenimento generale della pace – è estremamente rischiosa in quanto provoca una reazione uguale e contraria “dall’altra parte”. Il che sta puntualmente avvenendo» (3). Spesso s’è affermato ipocritamente, come nel caso Dal Molin, che la cessione di territorio e sovranità agli Stati Uniti da parte dell’“oceanica” Italian trusteeship comporti un vantaggio economico in termini di “posti di lavoro” e di costruzione d’infrastrutture nelle quali sono coinvolte imprese italiane. Tutto ciò è falso, in quanto nel dir questo si tacciono i carichi di spesa del nostro governo e delle amministrazioni locali che vengono regolarmente nascosti o negati o minimizzati. In pratica è l’Italia che paga il mantenimento degli amerikani, compresi i loro divertimenti e svaghi. L’argomento è stato affrontato dal giornalistaprofessionista dell’Ordine laziale, Fabrizio Di Ernesto, nel volume Portaerei Italia. Sessant’anni di NATO nel nostro paese (Fuoco Edizioni, Roma 2009); dice Cardini: «Un libro che (è il caso di dirlo) avrebbe dovuto essere una bomba: e del quale invece si è parlato pochissimo, costringendolo quasi a una vita alla macchia» (4). Per cui può definirsi sovrano un Paese che “ospita” – qui ci vogliono le virgolette! – 113 insediamenti militari stranieri con migliaia di soldati e armi di vario genere, tra cui quelle di distruzione di massa di tipo nucleare, esito di un conflitto – la II Guerra mondiale – che si è tragicamente concluso sessantott’anni fa? La giustificazione è sempre la stessa: l’Italia fa parte dell’Alleanza Atlantica, pertanto ben vengano le basi militari degli altri che contribuiscono al sistema difensivo nonché alla sicurezza di quello che una volta era definito “mondo libero”. Si continua a turlupinare l’Art. 11 della Costituzione, col beneplacito di massa dei suoiinterpreti da torte in faccia da prima fascia serale. Articolo in cui si afferma che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali: abbiamo partecipato e partecipiamo alle guerre amerikane in Iraq e in Afghanistan, solo per citare le più recenti che non saranno le ultime, dopo aver escogitato la penosa giustificazione che quelle sarebbero in realtà missioni “umanitarie” volte a pacificare aree profondamente inquinate dal terrorismo e/o sotto il tallone di ferocissimi dittatori. Leader con i quali peraltro l’Occidente ha intrattenuto in passato ottimi rapporti, vedi Saddam Hussein, sostenuto militarmente in funzione anti-khomeinista durante la sanguinosissima I Guerra del Golfo contro l’Iran (1980-88) e nominato addirittura cittadino onorario di Detroit (5), oppure nel recente caso di Gheddafi, ecc. Eppure il governo italiano avrebbe avuto gli strumenti del diritto internazionale per non concedere le basi agli amerikani; infatti il Documentodi Washington del 1999, che amplia le competenze della NATO, disciplina le operazioni denominate “non articolo 5” ovvero quelle che non abbiano scopo difensivo come previsto dal trattato dell’Alleanza Atlantica e dalla stessa Carta delle Nazioni Unite. In quel caso il Paese interessato può negare l’uso delle basi, a maggior ragione visto che lo stesso Trattato di Washington stabilisce che la partecipazione alle missioni in questione è soggetta alla discrezionalità del Paese coinvolto, in relazione alle sue norme costituzionali. È chiaramente il caso dell’Italia, ma l’esecutivo di Roma si guardò bene dal far valere tali norme. Per completare l’elenco ci sono ulteriori patti che sono rimasti segreti e non hanno quindi avuto – vergognosamente e ancora in barba alla Costituzione – l’exequatur del Parlamento. Questi sono precisamente: gli accordi del 1957 per la concessione della base di Sigonella; gli accordi del 1959 per l’installazione di missili Jupiter a testata nucleare e quelli del1972 relativi alla dislocazione dei missili Cruise nella base di Comiso. La presenza di armi nucleari in territorio italiano va inoltre contro il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) sottoscritto sia dall’Italia che dagli Stati Uniti. Il TNP vieta espressamente agli Stati che possiedono armi nucleari di trasferirle in Paesi non nucleari, come l’Italia. Per aggirare il TNP si è ricorsi al cosiddetto “principio della doppia chiave”: le armi nucleari presenti nel nostro Paese restano in possesso degli Stati Uniti e solo i comandi militari americani potranno decidere sul loro utilizzo; tuttavia, ecco la seconda chiave, l’uso di tali armi è consentito soltanto con il consenso del Paese ospitante, in questo caso l’Italia. È evidente che ciò è un trucco teso a realizzare quello che i trattati e il diritto internazionale vieta. Non per nulla il maggior numero di basi militari statunitensi si trova proprio in Italia, come si evince dal capitolo Le basi americane nel mondo. Intotale il volume è composto di una Presentazione, sette capitoli (6), una Conclusione e sei appendici documentarie. Il libro di Bedini costituisce materia d’informazione e di riflessione per coloro che non sono al corrente che la nostra indipendenza a forza di essere violata – in specie dopo la nota alzata di scudi di Craxi a Sigonella nell’ottobre 1985 – ci espone ai pericoli di reazioni aliene, nonostante il dettato costituzionale vieti assolutamente la guerra. In definitiva il nostro non è uno Stato sovrano: la subalternità alle scelte degli Stati Uniti si accompagna alla profonda crisi dell’identità nazionale. La presenza di basi straniere sul territorio (compresa pure l’Aeronautica degli Emirati Arabi Uniti!) pone sotto tutela il nostro Paese non soltanto dal punto di vista militare, ma – come abbiamo visto nel caso del non-sfruttamento del nucleare a livello energetico – anche da quello economico-commerciale, della politica estera e di quella interna. Ne è una chiaraconseguenza la mancanza di una strategia geopolitica italiana nel Mediterraneo e nei Balcani, ossia nei nostri pressi. Per non parlare degli altri scenari internazionali. L’amara conclusione è che al ceto politico nostrale non solo manca assolutamente una cultura geopolitica che dia respiro alle scelte di natura internazionale, ma l’Italia non è in grado neppure di mettere il naso fuori dai propri confini e acque territoriali. In una simile situazione celebrare, ostentare, retoricizzare l’appartenenza nazionale appare quasi una tragica caricatura di ciò che dovrebbe essere e che non è (7). L’unica indipendenza che ancora vanta l’Italia è quella sportiva. Gli allenatori sono gli unici “primi ministri” che decidono senza interventi terzi la composizione delle nostre rappresentative a livello di Olimpiadi e campionati mondiali ed europei. E Coni, Figc, Fip, ecc. sono gli unici “governi” a legittimare il nostro Paese in parallele organizzazioni internazionali: Cio, Fifa, Fiba,Uefa, ecc. Il resto è pochade. Federico Homburg
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