Anche Apple coi suoi utili alimenta la recessione
 











Ottenere un profitto (tra l’altro molto lauto in diversi casi) senza dover gestire un processo produttivo e il principale fenomeno che interessa l’attuale periodo storico "post industriale". Un fenomeno "battezzato" correntemente come "finanziarizzazione" delle attivita economiche.
Esso e gia oggetto di studi approfonditi di molti economisti e di molte Universita, specialmente in America, in quanto rappresenta un cambiamento strutturale importantissimo sia nella gestione che nell’evoluzione del libero mercato.
Tra gli studiosi che se ne occupano in modo professionale non poteva mancare ovviamente il premio Nobel Paul Krugman, che infatti ha pubblicato recentemente un articolo su questo argomento. Krugman pero, mettendo a confronto i periodi storici del secolo scorso con quello attuale, rileva che il fenomeno della finanziarizzazione non riguarda soltanto il comparto finanziario "puro" (cioe quello delle istituzioni bancarie e finanziarie), macoinvolge, chi piu chi meno, anche le principali aziende produttive a livello globale.
Un vero e proprio caso di studio. Egli preferisce percio usare le definizioni date dalla metodologia e terminologia classica degli studiosi, e identifica un caso piu frequente di quel che si creda come "Monopoly rents", cioe vendita di prodotti in regime di monopolio o quasi monopolio.
Il "monopoly rents" produce profitti che non derivano, come nelle produzioni classiche, dal ROI (return on investment) cioe il piu classico degli indicatori che definiscono la profittabilita di un investimento, ma deriva dalla posizione dominante che una azienda ha nel mercato relativamente al suo prodotto. Talvolta, dice Krugman, la posizione dominante e giustificata, altre volte no, ma in ogni caso la crescente importanza nel mercato di questo tipo di dominanza produce un nuovo tipo di sconnessione tra la produzione e il profitto che ne consegue.
Sconnessione che puo diventare un fattore aggravante in questogia difficile periodo di crisi. Al fine di evidenziare in modo comprensibile a tutti le ragioni di questa aggravante Krugman mette a confronto le due aziende produttive dominanti di due distinti periodi storici, e cioe la General Motors degli anni 50 - 60 e la Apple di oggi.
Entrambe le aziende hanno potuto godere nel rispettivo periodo di un enorme potere dominante sul mercato, e quindi fare ottimi guadagni, ma mentre la GM derivava tale potere essenzialmente dalla sua capacita produttiva, formata da centinaia di stabilimenti e con una forza lavoro pari al 1% di tutta la mano d’opera americana (esclusa la mano d’opera agricola), la Apple oggi, pur essendo in testa alla classifica delle imprese americane come quotazione di borsa, occupa negli Usa meno dello 0,05% della mano d’opera nazionale. L’impatto differenziale delle due aziende sull’economia nazionale e quindi fortissimo.
La maggior parte della produzione dei gadget Apple (iphone ecc.) avviene in Cina, quindi con un costodella mano d’opera da cinque a dieci volte inferiore a quanto costerebbe negli Usa, tuttavia il profitto maggiore non e dovuto a questo gap sui costi di produzione ma alla sua posizione dominante sul mercato, dove l’azienda puo far pagare i suoi prodotti praticamente cio che vuole avendo conquistato la posizione di "monopoly rents". La Apple fa dunque ottimi profitti in questo modo, ma intanto non rende un buon servizio al suo paese andando a costruire i suoi prodotti all’estero, facendo cioe lavorare e crescere economicamente i cinesi invece che gli americani, e in secondo luogo non e buona cosa quando il profitto deriva dalla posizione dominante di semi-monopolio sul mercato invece che dalla normale competizione sul prodotto e sui costi di produzione. Naturalmente la Apple e presa solo a titolo esemplificativo.
Numerose altre aziende, anche se meno redditizie della Apple attuale, si trovano in posizione altrettanto dominante. E quando nel mercato i casi di "monopoly rents" sonomolti, l’effetto sull’economia diventa depressivo, perche in questi casi viene a cadere il fattore competitivo che induce le aziende a reinvestire buona parte dei profitti nella produzione e ne consegue una compressione significativa sulla crescita degli investimenti necessari a combattere la crisi.
Se ci aggiungiamo che, per ragioni fiscali, anche gli utili conseguiti non ritornano in patria ma rimangono parcheggiati all’estero in attesa di decidere il da farsi, ci si trova in presenza di una enorme massa di capitali privati inutilizzati proprio nel momento in cui potrebbero essere maggiormente utili a generare investimenti, dato che in questa fase di crisi i capitali pubblici latitano a causa delle politiche di austerity imposte da certa politica sconsiderata. Roberto Marchesi









   
 



 
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