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Retinite pigmentosa. L’Ema designa rhNGF farmaco orfano Con il termine retinite pigmentosa si definisce un gruppo di patologie ereditarie dell’occhio che possono condurre alla progressiva perdita della vista, per la quale ad oggi non sono disponibili trattamenti mirati soddisfacenti, all’interno dell’Unione Europea. Per questo risulta ancora piu importante la designazione di farmaco orfano (Orphan Drug Designation) ricevuta da rhNGF (Nerve Growth Factor ricombinante umano) per il trattamento della malattia dall’Ema proprio in questi giorni. Il riconoscimento rappresenta un ulteriore passo nello sviluppo di questo farmaco, che trae origine dalla ricerca del Premio Nobel Rita Levi Montalcini. RhNGF, il fattore di crescita nervosa ricombinante umano, e il medesimo tipo di proteina che viene naturalmente prodotta dall’organismo e che favorisce lo sviluppo e la sopravvivenza delle cellule nervose, comprese quelle della retina. L’NGF si e dimostratoefficace nell’inibire la degenerazione della retina indiversi modelli animali di retinite pigmentosa. L’NGF ricombinante umano potrebbe quindi integrare l’NGF naturale e migliorare la sopravvivenza delle cellule retiniche rallentando l’avanzare della patologia e quindi favorendo il mantenimento delle capacita visive. La ricerca su NGF e iniziata in seguito all’osservazione degli effetti di questa proteina solubile, di origine murina, in un limitato numero di persone affette da grave cheratite neurotrofica, una malattia rara della cornea. Sulla scorta di quei primi studi clinici Dompe ha sviluppato uno specifico progetto di ricerca presso il proprio Centro di Ricerca & Sviluppo dell’Aquila, per assicurare la produzione biotecnologica di un farmaco a base di NGF ricombinante umano. Proprio L’Aquila rappresenta l’unico polo produttivo al mondo di questa proteina ricombinante, destinata a farmaci per somministrazione oculare. "Il farmaco viene prodotto attraverso la tecnologiadel DNA ricombinante, ovvero attraverso iltrasferimento in un batterio di materiale genetico umano, con il batterio stesso che diventa in grado di produrre NGF", ha precisato Marcello Allegretti, Chief Scientific Officer Dompe, azienda che ha messo a punto il farmaco. "Attualmente stiamo conducendo con rhNFG lo studio REPARO (fase I-II di sviluppo clinico) nel trattamento della cheratite neurotrofica, patologia rara che nelle forme piu gravi puo interessare circa una persona su 10.000 nel mondo. Come nel caso della Retinite Pigmentosa, questa patologia ad oggi non dispone di alcune terapia specifica ed e legata ad un danno progressivo della cornea che puo condurre anche a cecita". Nei pazienti che soffrono di retinite pigmentosa i fotorecettori (le cellule della retina chiamate coni e bastoncelli che hanno il compito di cogliere il segnale visivo per inviarlo al cervello) vengono danneggiate e vanno incontro a progressiva degenerazione. Attualmente la retinite pigmentosa colpisceapprossimativamente 3 persone su 10.000nell’Unione Europea, per un totale di circa 153.000 pazienti: e quindi ampiamente sotto la soglia di malattia orfana, che "scatta" per patologie che interessano non piu di 5 persone su 10.000. Al momento della designazione a farmaco orfano, non sono disponibili nell’Unione Europea trattamenti mirati soddisfacenti per la retinite pigmentosa. I pazienti che ne soffrono ricevono, infatti, solamente consulenza genetica per essere informati sui rischi di trasmissione della malattia ai figli e un trattamento generale di supporto. "Siamo particolarmente orgogliosi della designazione dell’EMA, che ci sprona a proseguire nel nostro impegno nell’individuazione e sviluppo di farmaci ad altissimo valore tecnologico per la cura delle malattie rare che attualmente non dispongono di alcuna opportunita terapeutica, come la retinite pigmentosa", ha spiegato Eugenio Aringhieri, CEO del Gruppo Dompe. "Continueremo a puntare sulla nostra capacita digenerare innovazione per dare risposta abisogni non soddisfatti dei Pazienti, come gia avvenuto con Reparixin, attualmente in Fase III di sperimentazione clinica, farmaco che ha ottenuto la Orphan Drug Designation da parte dell’FDA e dell’EMA, a riprova dell’importanza che questa molecola potrebbe avere nel rappresentare una concreta alternativa per il pazienti con diabete di tipo I non controllabile con le attuali terapie".(...) Gli occhiali che daranno la vista ai ciechi? Distrofia retinica autosomica recessiva. Scovata la causa genetica Gli occhiali che daranno la vista ai ciechi? Tornare a vedere. Certo con tutte le discriminanti del caso. Ma è già un successo poter dissipare il buio. Il tutto grazie a un paio di occhiali, una fotocamera e un impianto nella parte interna dell’occhio. Si tratta di Argus II, una rivoluzionaria protesi retinica già testata anche da alcuni pazienti italiani con retinite pigmentosa che hanno riacquistato una certafunzione visiva grazie all’impianto di una protesi effettuato presso l’ospedale di Pisa. La retinite pigmentosa è una rara malattia ereditaria che conduce a cecità e di cui si stima siano affette in Italia circa 15mila persone. La protesi Argus è un tipo di soluzione molto promettente. Il Dottor Humayun, che già aveva partecipato allo sviluppo della protesi MARC, ha sfruttato l’esperienza acquisita per continuare a ampliare il progetto di sviluppo di una protesi visiva artificiale capace di restituire la vista agli individui che l’hannopersa a causa della degenerazione delle cellule fotorecettici della retina. Il nuovo team di ricerca, chiamato Intraocular Retinal Prosthesis Group, con sede presso il Doheny Retina Institute della University of Southern California, è nato dalla collaborazione tra il Dottor Humayun e il Dottor Eugene de Juan. CHE COSA E’ ARGUS La protesi Argus è un tipo di impianto epiretinale molto promettente. Il Dottor Humayun, che già aveva partecipatoallo sviluppo della protesi MARC, ha sfruttato l’esperienza acquisita per continuare a ampliare il progetto di sviluppo di una protesi visiva artificiale capace di restituire la vista agli individui che l’hanno persa a causa della degenerazione delle cellule fotorecettici della retina. Il nuovo team di ricerca, chiamato Intraocular Retinal Prosthesis Group, con sede presso il Doheny Retina Institute della University of Southern California, è nato dalla collaborazione tra il Dottor Humayun e il Dottor Eugene de Juan. L’ Intraocular RetinalProsthesis Group ha provveduto alla progettazione di un dispositivo per il ripristino della visione all’avanguardia e si è affidato alla compagnia privata Second Sight per gran parte della sovvenzione e per la realizzazione materiale del dispositivo stesso, battezzato Argus. Funzionamento della protesi Il principio di funzionamento di Argus è analogo a quello della protesi MARC. Una telecamera montata su un paio di occhiali riprende le immaginiesterne, che vengono poi digitalizzate da un’unità di videoprocessamento; questi segnali sono quindi trasmessi al vero e proprio impianto via onde radio, attraverso una piccola antenna montata dietro l’orecchio. Tale impianto è composto da due parti, di cui una extraoculare e una intraoculare. L’electronic case extraoculare viene attaccato chirurgicamente all’area temporale del cranio e un piccolo cavo subcutaneo lo collega all’electrode array intraoculare. L’electrode array delle protesi Argus sino ad ora realizzate ha dimensioni 4x5mm2 ed è composto da 16 microelettrodi di forma circolare in platino disposti in una griglia 4x4, ma nel corso dell’ultimo anno il team di ricercatori è riuscito a sviluppare un dispositivo con 60 elettrodi e si presume sia possibile arrivare anche a 1000 elettrodi, con una sempre maggiore definizione delle immagini. Studi su efficacia, resistenza e biocompatibilità della protesi La protesi Argus in ogni fase sperimentale ha dimostrato dipossedere ottimi requisiti di sicurezza e biocompatibilità. I ricercatori sono riusciti a stabilire il range ottimale di intensità degli stimoli elettrici forniti dai microelettrodi necessari per ottenere l’evocazione di fosfeni (sensazioni luminose puntiformi) chiari, senza compromissioni a carico di occhio e corteccia visiva. Un potenziale problema avrebbe potuto essere lo spostamento della protesi dovuto ai movimenti oculari, con conseguente danneggiamento della retina o distacco della retina, ma in realtà questo problema non si è maipresentato. Una strategia di particolare interesse riguarda il rivestimento e la protezione delle parti elettroniche e circuitali interne della protesi: i ricercatori hanno infatti sviluppato un diamon coating per il dispositivo. Questo sottile film di diamante con struttura ultrananocristallina (UNCD) fornisce un sigillo ermetico estremamente resistente, che isola elettricamente l’impianto e garantisce sicurezza e lunga durata (dawikipedia.org) Distrofia retinica autosomica recessiva. Scovata la causa genetica Si chiama ADAMTS18 il nuovo gene identificato come responsabile della distrofia retinica autosomica recessiva a esordio precoce, una rara malattia genetica oculare. Lo studio che ne parla, pubblicato su Orphanet Journal of Rare Diseases, è frutto di una collaborazione fra mondo dei pazienti e della ricerca visto che è stato finanziato dall’Associazione per la retinite pigmentosa e altre malattie della retina - RP Liguria, e condotto dal gruppo di ricercaguidato da Sandro Banfi dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Napoli. Per arrivare al risultato gli scienziati hanno applicato innovative tecniche per l’analisi del genoma umano, quelle per il "sequenziamento di nuova generazione" che consentono di esaminare grandi quantitativi di Dna alla volta. “Siamo partiti cercando di chiarire il difetto genetico responsabile della grave disfunzione retinica riscontrata inun paziente già nei primi anni di vita che non era spiegabile con le conoscenze che avevamo fino a quel momento”, ha spiegato Banfi. “Purtroppo non sono pochi i pazienti in questa situazione: basti pensare che ad oggi non siamo ancora in grado di fare una precisa diagnosi molecolare oltre la metà delle persone affette da malattie ereditarie della retina, visto l’alto numero di geni responsabili molti dei quali ancora non noti. Anche in assenza di una terapia, questo è un presupposto essenziale per mettere in atto oggi le strategie più adatte per preservarela capacità visiva residua e per eventualmente indirizzare il paziente in futuro a terapia sperimentali specifiche”. Analizzando il patrimonio genetico del paziente, i ricercatori napoletani hanno individuato un’anomalia in un particolare gene, ADAMTS18, che però fino a quel momento non era mai stato associato a quel tipo di malattia genetica della vista: per confermare che si trattasse effettivamente della mutazione responsabiledella malattia hanno quindi innanzitutto analizzato il Dna di oltre 500 individui sani, senza riscontrare il difetto in nessuno di essi. Successivamente, hanno verificato in un modello animale quale fosse la funzione normale del gene in questione. Ivan Conte, altro ricercatore Tigem coinvolto in questo lavoro ha poi aggiunto: “Nel pesce medaka, che condivide con l’uomo una percentuale molto alta di geni, abbiamo visto che l’inattivazione di ADAMTS18 si traduce nella comparsa di problemi a carico del sistema nervoso, soprattutto a livello della retina,proprio come nel nostro paziente. Abbiamo quindi non solo avuto la conferma della diagnosi nel nostro paziente, ma abbiamo anche scoperto un nuovo gene-malattia responsabile di distrofia retinica ereditaria”. Questo studio rappresenta quindi un nuovo tassello in quel complicato puzzle che è la mappa delle basi genetiche delle malattie ereditarie della retina responsabili di cecità, che contribuirà a migliorare non solo la diagnosigenetica di queste malattie, ma anche la comprensione dei meccanismi biologici alla base dello sviluppo del danno retinico. Una migliore conoscenza di questi meccanismi è infatti il presupposto essenziale per la messa a punto di terapie efficaci, sia tradizionali sia avanzate come la terapia genica. “Siamo molto soddisfatti per questo importante risultato raggiunto ancora una volta la sinergia tra un’associazione dei pazienti e validi ricercatori ha dimostrato di essere la carta vincente in un periodo di crisi economica nazionale dove è fortementepenalizzato il mondo della ricerca”, ha concluso il presidente dell’Associazione RP Liguria Claudio Pisotti. “Resta quindi fondamentale anche per il futuro il sostegno che ogni paziente può dare alle associazioni affinché possano aiutare la ricerca a conquistare questi rilevanti traguardi”. (...) Allergie e occhi. I consigli di ’Difesa Vista’ La primavera in alcune zone d’Italia sta tardando ad arrivare, ma per chisoffre di allergia, i sintomi si stanno già facendo sentire. Pollini, polveri – e più avanti granelli di sabbia - sono alcune delle principali cause di occhi rossi e irritati quasi sempre sintomi di congiuntivite, un’infiammazione della sottilissima membrana trasparente che avvolge il globo oculare. “Anche se al Nord, il maltempo le ha in parte ritardate, le allergie arriveranno e tutte insieme!», avverte il Professor Francesco Loperfido, consulente della Commissione Difesa Vista e professore a contratto presso L’Università Vita e Salute dell’Ospedale San Raffaele di Milano. «A provocarle principalmente pollini, appartenenti alla famiglia degli allergeni, che entrano in contatto con l’organismo. Gli allergeni sono costituiti da sostanze presenti un po’ ovunque: nei peli degli animali domestici, nella polvere e nei pollini di alcune piante che, dispersi dal vento otrasportati dagli insetti possono sviluppare reazioni allergiche”. Le malattie allergiche sono aumentate negliultimi anni, soprattutto quelle agli occhi. Può sembrare un’esagerazione, ma un italiano su cinque soffre di un’allergia, più o meno grave. I sintomi variano dalla rinite all’asma, dalle congiuntiviti alle forme alimentari. Si tratta di allergie stagionali perché insorgono prevalentemente in determinati periodi dell’anno, in particolar modo in primavera, con i primi pollini e continuano a creare problemi per tutta l’estate. Variano da regione a regione e da nord a sud, in base alle piante che fioriscono in quella determinata zona e dalla percentuale di umidità ed inquinamento contenuta nell’aria. E proprio nei periodi di fioritura l’occhiale da sole diventa un prezioso alleato per fare da filtro contro i pollini. È importante che l’occhiale sia di qualità - costruito con materiali anallergici, che rispettano tutti gli standard in materia di tutela della salute - eacquistato in canali distributivi “certificati”. Bisogna non solo proteggere gli occhi dai corpi estranei, ma anche evitareallergie alla pelle. Inoltre un buon occhiale da sole serve da schermo per la fotofobia, ovvero il fastidio verso la luce, che è uno dei problemi che sviluppa il soggetto allergico. Preferibilmente avvolgenti come barriera di protezione per l’occhio per tenere lontani i corpi estranei. Ai soggetti che indossano lenti a contatto, a maggior ragione, è consigliabile l’utilizzo di occhiali da sole. Nei casi più acuti di allergia sarebbe meglio sospendere per un certo periodo l’utilizzo delle lenti e sostituirle con gli occhiali da vista o con lenti giornaliere in modo tale che gli allergeni depositati sulla lente vengano gettati con la lente stessa. Paese che vai polline che trovi Ogni anno, nel periodo che va da marzo ad ottobre circa, circa 10 milioni di italiani soffrono di un’allergia fastidiosa ai pollini. Si tratta appunto di problemi stagionali perchéinsorgono prevalentemente in determinati periodi dell’anno. E non solo. Variano anche da zona a zona: nell’Italia settentrionalenei primi mesi dell’anno bisogna stare attenti alla fioritura di Betulla-Nocciolo-Carpino. Da Marzo a Luglio invece sono i mesi di Ortica e Parietaria, salice e pioppo in marzo e aprile, la graminacee da maggio fino a settembre luglio. Tenendo conto che quest’anno la primavera è sbocciata con leggero ritardo, molte fioriture si sono sovrapposte. Ecco quindi che anche le allergie “sbocciano” tutte insieme! I pollini poi “viaggiano” con l’aria, ed è quindi difficile evitare il contatto. Tutti, nessuno escluso Le allergie non colpiscono più soltanto soggetti in fase di evoluzione, ma anche adulti e persone in età avanzata. Questo significa che chi non è allergico può diventarlo nel tempo. Certo la componente ereditaria gioca comunque un ruolo importante. Secondo recenti statistiche risulta che un bambino con genitori non allergici ha il 12,5% dipossibilità di essere colpito da allergie, con solo un genitore allergico ha il 19,8% di possibilità, la percentuale sale al 42,9% nel casodi un bambino con entrambi i genitori allergici. La famigliarità non determina l’allergia a qualcosa. Ovvero se il genitore è allergico alle graminacee non è detto che anche il figlio lo sia. Ma sappiamo che il bambino avrà una certa predisposizione alle allergie, che, con grande probabilità, il suo sistema immunitario svilupperà anticorpi per gli allergeni. L’esperto di CDV consiglia di “portarsi sempre dietro degli anti allergici non cortisonici quando ci si sposta nei giorni di vacanza. Un cambiamento climatico può far sfociare allergie mai manifestate precedentemente: un soggetto, infatti, può rivelarsi allergico a qualcosa che non c’è dove vive ma c’è dove va in vacanza”. Qualsiasi sia l’età del soggetto che manifesta fenomeni allergici, è importante intervenire fin dai primi sintomi: iperemia (rossore) binoculare, prurito, improvvisalacrimazione. Davanti a questi sintomi il consiglio è quello di un controllo dallo specialista, sarà il medico a prescrivere adeguatiaccertamenti. Tra le prove allergiche più efficaci: lo skin prick test e la ricerca delle IgE specifiche sul siero. Assolutamente vietato…strofinare gli occhi Lacrimazione e una irresistibile voglia di grattarsi gli occhi? Nel soggetto allergico sono Un errore da non fare, perché peggiora solo la situazione. «Strofinare gli occhi rende più “amici” anticorpi e antigeni (polline o altro elemento allergizzante) con la liberazione di istamina che aumenta il prurito stesso», spiega Loperfido. «Inoltre il soggetto allergico solitamente ha una lacrimazione “difettosa”. La meccanica dello strofinamento potrebbe anche provocare delle lacerazioni alla cornea». Cosa, invece, bisogna fare La congiuntivite allergica non va sottovalutata perché, a lungo termine, può determinare un danno alla superficie oculare. La cura è di due tipi: si può bloccarein fase acuta con colliri al cortisone. Oppure si può intraprendere un’azione preventiva 15 giorni prima del periodo di esplosionedell’allergia, intervenendo con colliri antiallergici - mattina e sera – che impediscono un contatto diretto tra allergeni e anticorpi e quindi non si libera stamina. Infine, sarebbe utile avere sempre con sé delle salviettine umidificate per la pulizia del bordo palpebrale (si trovano in commercio in farmacia): rimuovono eventuali allergeni e questo è importante perché oltre alle congiuntiviti ci sono anche le blefariti allergiche. Glossario Blefariti: sono infiammazioni delle palpebre, in particolar modo degli angoli. E’ un disturbo molto comune e puo’ essere associato a una piccola infezione batterica o ad una condizione generale della pelle. Congiuntiva palpebrale: sottile membrana mucosa trasparente che ricopre la superficie interna delle palpebre e la superficie esterna del bulbo oculare, esclusa la cornea. Cornea: areatrasparente anteriore dell’occhio, che ricopre iride, pupilla e camera anteriore, assicura buona parte del potere diottricooculare. Istamina: sostanza liberata dalle mastcellule nello scatenamento dei fenomeni allergici. Provoca vasodilatazione dei capillari e vasocostrizione delle arteriole e venule con conseguente edema; stimola la secrezione gastrica. Prick test: Il prick test può essere effettuato a tutte le età. E’ un’indagine semplice e sicura e in genere, rappresenta l’esame di prima istanza di fronte al sospetto di un’allergia. Prick test e Prick by Prick test si esegue sulla cute della superficie flessoria dell’avambraccio. i punti sottoposti ad indagine vengono segnati con un pennarello, culla cute viene posta una goccia di estratto allergenico diluito, che viene attraversata da una lancetta sterile (un minuscolo spillo), fatto penetrare per circa 1 mm nell’epidermide (prick in inglese significa appunto pungere). Dopo circa un minuto la goccia viene asportata con unpezzetto di carta assorbente e dopo 15/30 minuti si osserva la risposta cutanea. L’esame è considerato positivo se compare unpomfo di diametro uguale o superiore ai 3 mm, circondato da un alone eritematoso (arrossamento), che generalmente provoca prurito. Rast test ed allergie: acronimo di RadioAllergoSorbent test - è il nome di un’indagine diagnostica allergologica di secondo livello. Quest’esame si basa sul presupposto che una persona allergica ad una determinata sostanza presenta nel sangue anticorpi specifici contro quel dato allergene. (...) La prima retina artificiale italiana, è targata IIT E’ stata realizzata in Italia la prima retina artificiale fatta con materiali organici e quindi biocompatibili. Funziona come una minuscola cella solare ed è stata messa a punto dal gruppo di ricerca coordinato da Fabio Benfenati, dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) a Genova. La retina artificiale, descritta sulla rivista Nature Photonics, è stata testata in laboratorio ma già si sta lavorando alla sperimentazione animale e se tutto va bene, osserva Benfenati nel prossimo futurosi potrebbero avere i primi studi pilota sull’uomo. Nata dalla collaborazione con il gruppo del Centro per le nanoscienze e tecnologie dell’Iit presso il Politecnico di Milano di Milano coordinato da Guglielmo Lanzani, la ricerca dimostra il potenziale di realizzare protesi visive con materiali biocompatibili organici, piuttosto che con semiconduttori inorganici come il silicio utilizzati finora per le retine artificiali. Protesi visive di questo tipo potrebberoessere utili soprattutto alle persone con retine diventate poco sensibili alla luce a causa di malattie come la retinite pigmentosa o la degenerazione maculare, causano di gravi problemi alla vista, fino alla cecità. Cruciale per la ricerca è stato il tipo di materiale organico usato, un polimero semiconduttore utilizzato comunemente nelle celle solari organiche, chiamato P3HT, a base di carbonio. La sua struttura, rileva Benfenati, somiglia molto a quella della proteina che nella retina è sensibile allaluce. Nell’esperimento i ricercatori hanno sistemato unaretina di ratto con fotorecettori danneggiati (coni e bastoncelli) su un polimero organico fotovoltaico”. Lo strato di polimero, colpito dalla luce, ha funzionato come un fotorecettore artificiale, stimolando i neuroni della retina. Anche se tali retine non sono ancora abbastanza sensibili per operare su tutta la gamma di condizioni di luce naturale, i ricercatori ritengono che vi sia un ampio margine per ottimizzarequesta tecnica e sono già al lavoro per cominciare ad impiantare la retina artificiale nei ratti. Le retine artificiali realizzate finora, basate sul silicio, spiega Benfenati, hanno molti inconvenienti: "necessitano di microtelecamere che acquisiscono le immagini e poi le informazioni devono essere elaborate da un computer ed inviate alla retina artificiale, inoltre devono essere alimentate da batterie". La retina artificiale "che abbiamo realizzato - osserva Benfenati - ha il vantaggio di essere autonoma,quindi non necessita di batterie o altri sistemi che la alimentino, ha la capacità di stimolare i neuroni e non produce calore, a differenza delle altre protesi retiniche". Monica Nardone-repubblica (...) Approvata ocriplasmina per il trattamento della trazione vitreo maculare La Commissione Europea ha approvato l’uso di ocriplasmina, in iniezione intravitreale, nell’Unione Europea per il trattamento della trazione vitreomaculare (VMT), anche quando associata a fori maculari di diametro pari o inferiore a 400 microns. La VMT è spesso causa di sintomi progressivi che possono compromettere la vista e causare la perdita irreversibile della visione; si stima che nella sola Europa 250.000-300.000 persone soffrano di questa patologia. Con il passare degli anni, la separazione del vitreo (la sostanza gelatinosa all’interno dell’occhio che aiuta a conferire la forma sferica) dalla retina avviene naturalmente. Tuttavia, in alcune persone il distacco non è completo edil vitreo rimane attaccato alla retina, soprattutto alla macula (l’area della retina preposta alla visione centrale, necessaria nella vita di tutti i giorni per guidare, leggere o riconoscere un volto). Questo fenomeno prende il nome di adesione vitreomaculare. Learee interessate da adesione vitreomaculare possono esercitare una ‘trazione’ sulla macula, una condizione chiamata anche trazione vitreomaculare (VMT). La VMT può persino causare un foro nella macula e causare spesso sintomi progressivi che possono compromettere la vista e causare la perdita irreversibile della visione. Il target dell’ocriplasmina, una forma ricombinante di proteina umana (plasmina), è costituito dalla fibre proteiche che causano la trazione anomala tra vitreo e macula. Dissolvendo queste proteine, la molecola separa il vitreo dalla macula, eliminando la trazione vitreomaculare e contribuendo a chiudere il foro maculare (se presente). Questa iniezione in un’unica somministrazione risolve precocemente laVMT, anche quando associata a fori maculari di diametro pari o inferiore a 400 micron. L’ok arriva a seguito di studi pubblicati sul New England Journal of Medicine,che hanno dimostrato che i pazienti trattati con ocriplasmina risolvevano con successo VMT e forimaculari rispetto al placebo al termine del 28° giorno. Dopo 28 giorni di trattamento, il 26,5% dei pazienti trattati con la proteina risolveva con successo la VMT (rispetto al 10,1% dei pazienti trattati con placebo [P<0,001]). Inoltre, nel 40,6% dei pazienti trattati con ocriplasmina si otteneva la chiusura del foro maculare entro il 28° giorno (rispetto al 10,6% dei pazienti trattati con placebo [P<0,001]). Gli effetti collaterali osservati sono correlati all’eliminazione della trazione ed analoghi a quelli riscontrati per le iniezioni intravitreali. Tra le reazioni avverse più comuni rilevate negli studi clinici con ocriplasmina (>2%) figurano: miodesopsia, fotopsia, emorragia congiuntivale, dolore oculare dainiezione, vista annebbiata, diminuzione dell’acuità visiva ed edema retinico. Queste reazioni sono state generalmente ritenute da lievi a moderate e sono state risolte senza complicazioni. "L’approvazione di ocriplasmina da parte della Commissione Europeaè unimportante passo avanti per le persone affette da VMT e per i professionisti del settore oftalmico i quali, fino ad ora, potevano fare affidamento unicamente sull’intervento chirurgico per trattare questa debilitante patologia dell’occhio. Ora possono intervenire precocemente con una singola iniezione di Ocriplasmina”, ha dichiarato Stuart Raetzman, Presidente Area Europa, Medioriente e Africa di Alcon, divisione di Novartis che ha acquisito i diritti di commercializzazione del farmaco al di fuori degli Stati Uniti dalla società biofarmaceutica belga ThromboGenics. "Ocriplasmina risponde ad un vero e proprio bisogno insoddisfatto dei pazienti e dimostra l’impegno di Alcon a fornire trattamenti innovativi per le persone inEuropa e nel mondo.” (...) Piccola puntura nella retina e i topi ciechi tornano a vedere Una piccola puntura e ai topi di laboratorio è tornata la vista. Nella retina dei roditori malati sono state trapiantate cellule fotosensibili alla luce. L’esperimento di un gruppo di studiosi dell’ 1University College London Institute of Ophthalmology 2, appena pubblicato su Nature 3, apre nuove speranze nella cura della cecità e delle malattie degenerative degli occhi anche nell’uomo. Iniettando nella retina cellule progenitrici dei bastoncelli, che insieme a i coni sono i fotorecettori chiave della vista, l’équipe è riuscita per la prima volta a guarire topi ciechi. Il bastoncello è un è una cellula fotosensibile della retina, un cosiddetto fotorecettore, e permette di vedere in condizioni di scarsa luminosità. I fotorecettori trapiantati sono estremamente importanti per vedere al buio. Per l’esperimento, i ricercatori, guidati da Robin Ali dell’Istituto di oftalmologiadell’ateneo britannico, hanno utilizzato bastoncelli immaturi prelevati dagiovani topi sani, che dopo 4-6 settimane hanno iniziato a funzionare come cellule ’originali’, attivando anche le connessioni necessarie a trasmettere gli impulsi visivi al cervello. Dopo sei settimane una cellula ’trapiantata’ su sei era riuscita a ricostruire le informazioni necessarie alla guarigione. Per testare la vista dei roditori, i ricercatori hanno creato un percorso a ostacoli in acqua. Gli animali si muovevano in penombra. I topi da laboratorio sottoposti a trapianto, sono riusciti a spostarsi senza difficoltà e a uscire dall’acqua, mentre gli altri sono rimasti bloccati all’interno del piccolo labirinto. "Abbiamo dimostrato per la prima volta che fotorecettori trapiantati possono integrarsi con successo nei circuiti della retina e migliorare la visione - afferma Ali - .Speriamo di essere presto in grado di replicare questo successo con fotorecettori ottenuti da cellule staminali embrionali, einfine di avviare studi sull’uomo. Nonostante ci siano numerosi passi primadi arrivare a un’eventuale terapia per i pazienti - precisa lo studioso - in futuro potrebbero beneficiarne migliaia di persone che hanno perso la vista a causa di una malattia degenerativa". "E’ il primo passo per una serie di importanti test medici che coinvolgono sperimentazioni sulla vista, ma anche altri settori - commenta il dottor Rob Buckle del Medical Research Council, fra i finanziatori della ricerca - . Dimostra per la prima volta che, nella cura della cecità, il trapianto di cellule può portare alla guarigione. E’ un nuovo filone di studio per sviluppare terapie nuove per i milioni di persone che soffrono di malattie della vista nel mondo".Valeria Pini-repubblica (...) Torna a vedere grazie a un occhio bionico Tre anni senza vedere. Aveva perso la vista a causa di un’ustione da calce viva. Sostanza altamente caustica che, nel suo caso, gli aveva distrutto quasi tutto ilcorpo vitreo. Tanto da far scrivere ai medici che la superficie oculare si era "parzialmente cicatrizzata". Che la situazione fosse disperata l’ha provato anche il tentativo, da parte dei chirurghi, di «rigenerare» l’occhio con un trapianto di staminali prelevate da un donatore. Il suo corpo, però, ha rigettato quelle cellule sconosciute. Non restava che provare che una tecnica sperimentale: l’installazione di una protesi artificiale, un cilindro ottico della lunghezza di cinque millimetri che andasse a rimpiazzare il cristallino. Un’operazione riuscita nonostante la delicatezza dell’intervento, portata a termine dall’équipe dell’Unità operativa complessa di Oculistica di Borgo Trento, diretta dal professor Giorgio Marchini, la prima ad essere portata a termine a Verona e nel Veneto."La difficoltà dell’operazione consiste nell’integrare la protesi artificiale con i tessuti biologici umani - spiega Marchini - per questo è stato necessario effettuare due interventi distinti l’unodall’altro, a distanza di due mesi". Con il primo, i chirurghi hanno prelevato della mucosa dalla bocca dell’uomo per ricoprire la superficie oculare, quindi hanno impiantato la protesi e suturato le palpebre. "Un’operazione indispensabile per consentire alla cilindro ottico di attecchire - prosegue Marchini - in seguito siamo nuovamente intervenuti per fissare definitivamente la protesi alle strutture corneali". Ora, il paziente, un sessantenne, è tornato a vedere di nuovo, anche se parzialmente. "La vista è stata recuperata per tre decimi - specifica Marchini - quanto è sufficiente ad essere autonomi nella vita di ogni giorno". Casi come questi, spiegano i medici, solitamente si curano con un trapianto delle staminali adulte prese dal limbus, un’area periferica della cornea, il piùdelle volte dall’occhio dello stesso paziente. Ma questa volta le ustioni erano talmente gravi da non poter consentire quest’operazione". Si è così optato per una protesi messa a punto da un italiano,Stefano Pintucci, morto prematuramente nel 2007. Visto l’eccezionalità dell’intervento è stato necessario l’autorizzazione del ministero della Sanità. «Per la protesi artificiale non c’è rischio di rigetto - conclude Marchini - anche se l’operazione mette a serio rischio l’integrità della retina. In futuro qualche speranza viene data dalla bioinformatica e dall’impianto di microchip». Con i medici si sono congratulati l’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto, il direttore generale dell’azienda ospedaliera di Verona Sandro Caffi e il prorettore dell’Università (a cui afferisce la clinica oculistica) Bettina Campedelli. (...) Edema maculare secondario. Approvata in Europa una soluzione di aflibercept per iniezione La Commissione europea ha approvato EYLEA (soluzione di aflibercept per iniezione) per il trattamento del danno visivo causato da edema maculare secondario a occlusione della vena centrale della retina (CRVO). Il farmaco si basa su studi cheriguardano il VEGF, proteina che si trova normalmente all’interno del corpo umano, studiata a lungo dagli scienziati di tutto il mondo per le sue implicazioni nella crescita anomala di vasi sanguigni nell‘occhio. A dare notizia dell’ok dell’organo europeo Bayer HealthCare, che ha sviluppato il farmaco. Il ruolo normale della proteina VEGF, in un organismo sano, è di innescare la formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) supportando la crescita dei tessuti e degli organi. Tuttavia, questa molecola è associata anche alla crescita anomala di nuovi vasi sanguigni all’interno dell’occhio, che portano a un’aumentata permeabilità che causa l’edema. Il risultato finale è spesso costituito da cicatrici e perdita di risoluzione nella visione centrale. EYLEA è una proteina ricombinante risultante dalla fusione di porzioni extracellulari dei recettori umani VEGF 1 e 2 con la frazione Fc dell’IgG1 umana e formulato come soluzione iso-osmotica per somministrazione intravitreale:nota anche nella letteratura scientifica come VEGF Trap-Eye, agisce come recettore esca che lega il VEGF-A e il fattore di crescita placentale (PlGF), inibendo così il legame e l’attivazione dei recettori VEGF affini. Il farmaco è purificato specificamente e contiene concentrazioni iso-osmotiche che lo rendono adatto per l’iniezione all’interno dell’occhio. L’ok arriva a seguito di due studi di fase III, condotti da ricercatori dell’Università di Bonn. “I risultati dei due studi di fase III sono stati incoraggianti nella maggior parte dei pazienti con occlusione della vena centrale della retina, nei quali EYLEA ha migliorato significativamente l’acuità visiva”, ha detto Frank G. Holz, docente presso il Dipartimento di Oftalmologia dell’ateneo tedesco e Lead Principal Investigator del trial Galileo. EYLEA è già approvato in USA per il trattamento delle forme essudative di degenerazione maculare senile e per l’edema maculare secondario a CRVO. Si stima che oltre 100.000 personenegli Stati Uniti, e più di 66.000 nelle principali nazioni europee siano affette da CRVO. La CRVO è causata dall’ostruzione della vena centrale della retina, che porta a un accumulo di sangue deossigenato e fluido all’interno della retina. Questo causa un danno della retina e conseguente perdita della visione. Il rilascio di VEGF contribuisce a una maggiore permeabilità vascolare nell’occhio e all’edema maculare. Il trattamento anti-VEGF ha mostrato di contribuire alla diminuzione della permeabilità vascolare e dell’edema nella retina dei pazienti affetti da CRVO. EYLEA ha anche ottenuto l’approvazione in Europa, Giappone e Australia, oltre a molte altre nazioni, per la cura delle forme essudative di degenerazione maculare senile, oltre ad essere già autorizzato in alcune nazioni del Sudamerica per l’edema maculare secondario a CRVO. “Il farmaco sta già aiutando i pazienti affetti dalla forma umida di degenerazione maculare senile. L’approvazione di questa ulteriore indicazione èun’ottima notizia per i pazienti europei, dato che la CRVO è una malattia molto debilitante per la visione centrale,” ha dichiarato Kemal Malik, membro dell’Executive Committee Bayer HealthCare e Head del Global Development. “La perdita della visione causata dall’occlusione della vena centrale della retina ha un forte impatto non solo sulla vita dei pazienti, ma anche su quella delle loro famiglie.”(...) Retinite pigmentosa. Anche dagli USA arriva la designazione di rhNGF come farmaco orfano L’Fda ha approvato la designazione di farmaco orfano (Orphan Drug Designation) per rhNGF (Nerve Growth Factor ricombinante umano), molecola che trae origine dalla ricerca del Premio Nobel Rita Levi Montalcini. Il farmaco, sviluppato dalla ricerca Dompé, rappresenta una nuova speranza per la terapia della retinitepigmentosa, patologia attualmente orfana di cura, ed è oggi in avanzata fase di sperimentazione clinica per la cura della cheratite neurotrofica, grave patologia della cornea. Il riconoscimento, segue di pochi mesi l’attribuzione di farmaco orfano da parte della gemella europea dell’FDA, la European Medicine Agency (EMA). “Siamo particolarmente orgogliosi di questo risultato”, ha commentato Eugenio Aringhieri, CEO Dompé. “Nei prossimi mesi prenderà il via uno studio clinico con l’obiettivo di valutare efficacia e sicurezza di rhNGF nel trattamento della retinite pigmentosa. Il farmaco viene prodotto attraverso la tecnologia del DNA ricombinante, ovvero attraverso il trasferimento in un batterio di materiale genetico umano, con il batterio stesso che diventa in grado di produrre NGF”, ha poi precisato Marcello Allegretti, Chief Scientific Officer Dompé. “Attualmente stiamo già conducendo con rhNGF lo studio REPARO (fase I-II di sviluppo clinico) nel trattamento della cheratiteneurotrofica, patologia rara che nelle forme più gravi può interessare circa una persona su 10.000 nel mondo. Come nel caso della retinite pigmentosa, questa patologia ad oggi non dispone di alcuna terapia specifica ed è legata ad un danno progressivo della cornea che può condurre anche a cecità”. Lo sviluppo di rhNGF è stato seguito da Dompé in tutti i suoi passaggi, dalla produzione alla clinica: l’azienda ha sviluppato uno specifico progetto presso il Centro di Ricerca & Sviluppo dell’Aquila, per assicurare la produzione di un farmaco a base di NGF ricombinante umano (rhNGF), sulla scorta dei primi risultati della somministrazione della proteina murina in un limitato numero di persone affette da cheratite neurotrofica. Da quella prima indicazione si è poi passati alla sintesi della proteina ricombinante umana e quindi alla valutazione del possibile effetto terapeutico di questo farmaco, prodotto nel mondo solamente nella sede Dompé dell’Aquila, anche nel trattamento dellaretinite pigmentosa.
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