Il riscatto della Nazione
 











Quaranta e più anni fa, il banchiere franco-svizzero Edmond de Rothschild, riassunse in una frase quale fosse l’unica strada per restituire una dinamica al capitalismo: “il lucchetto da scassinare è la nazione” (Entreprise, 18 luglio 1971). Soltanto così, infatti l’internazionale finanziaria avrebbe avuto le mani libere per avviare la più completa finanziarizzazione dell’economia mondiale.
Crollato nel 1989 il muro di Berlino, saltati gli equilibri est-ovest, avviata la globalizzazione e il cosiddetto libero mercato (fine dell’Uruguay round e costituzione dell’Omc) nella nostra Europa il ruolo tecnico di scassinatore fu delegato al club dell’eurocrazia di Bruxelles. Uno dopo l’altro, (1991-1992) gli Stati nazionali europei firmarono il primo suicidio della propria sovranità, chiamato Trattati di Maastricht, il volano delle attuali Ue e Uem (eurozona). Con quel trattato furono fissati i cosiddetti “parametri” (inflazione non superiore all’1,5%;deficit di bilancio inferiore al 3% del pil; indebitamento pubblico non superiore al 60% del pil) e fu totalmente sottratta ai Paesi membri dell’unione monetaria ogni sovranità sull’emissione della moneta unica (euro), delegata alla Banca centrale europea. Fu quella l’origine della stretta generale alla spesa pubblica (case, scuole, ospedali, stato sociale, pensioni, etc.) e alla parallela privatizzazione delle principali imprese strategiche delle nazioni (energia, telecomunicazioni, trasporti, siderurgia, industria meccanica e agroalimentare).
Il progressivo depauperamento delle residue sovranità nazionali giunge quindi con i Trattati di Nizza (2001; con la norma che correlando i voti dei membri Ue alla popolazione apre ulteriormente le porte europee all’immigrazione), con l’inizio della crisi dei mutui negli Usa (2007-2008), con la firma del Trattato di Lisbona (2007; che, sostituendo i termini “legge” e legge-quadro” con le espressioni “regolamenti” e “direttive” trasferisce difatto il potere legislativo reale nell’Ue dai parlamenti nazionali all’eurocrazia di Bruxelles) e, last but not least, con il recente (2012-13) “Trattato sulla stabilità”, il Mes, che, all’art. 3 dispone che il deficit strutturale non dovrà superare lo 0,5% del pil, con conseguenti sanzioni e ritorsioni in caso di non osservanza…
Tacciamo qui, per amore di noi stessi e di quelli come noi, le altre considerazioni sulla sovranità nazionale perduta. Che non è stata la sola privazione di quella economica, finanziaria e monetaria, ma di quella sociale, di quella culturale, di quella – per l’Italia dal 1945 – militare.
Schiavi o colonizzati in ogni sezione di vita, insomma: ma questo lo chiamano “democrazia” e “libertà”.
I devastatori nazionali
Per l’ennesima volta – ma repetita juvant – tracciamo in scheletrico sunto sia gli “attori” che le “opere” della devastazione della comunità nazionale italiana, a partire dal fatidico 1989. Con il mondo unipolare emerso dal crollo del murodi Berlino e dalla liquefazione dell’Urss e dei suoi satelliti, nell’Europa occidentale, e particolarmente in Italia, viene scatenata un’offensiva volta alla liquidazione definitiva degli Stati nazionali dotati di un’economia mista pubblico-privata.
Unica in grado di preservare le attività economiche industriali di una nazione, come l’Italia, fortemente soggetta alla bolletta energetica verso i Paesi produttori di gas e petrolio.
Inoltre, col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il Paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato,disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».
Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. Le parole d’ordine diventano di conseguenza “produttività”, “mobilità”, flessibilità”: i privati intendono fare profitti finanziari: con la fine degli investimenti produttivi è il crollo dell’economia reale.
 Con le grandi privatizzazioni delle industrie strategiche – di cui fu volano iniziale l’accordo raggiunto nel 1992tra boiardi di Stato italiani, speculatori, finanzieri e rappresentanti della Banca d’Inghilterra e delle grandi banche d’affari internazionali graziosamente ospitati nel panfilo Britannia di Sua Maestà la Regina Elisabetta - negli anni ’90 di fatto scompare la nostra industria a partecipazione statale, l’industria di trasformazione, il “motore” dello sviluppo nazionale del dopoguerra. Inizia la deindustrializzazione. Il patto Andreatta-van Miert (commissario a Bruxelles) è all’origine della grande rapina. Si tratta della fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato, una chiusura vanamente contrastata dal Psi di Craxi e dal vicepresidente dell’Istituto, Pini. Si giunge così allo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), Nuovo Pignone, nonché la Banca Commerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.
Le banche sono un altropassaggio decisivo: con la sospensione di fatto della riforma bancaria voluta negli Anni Trenta dal fascismo nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie speculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi.
Un sistema saltato, nella sua patria, gli Usa, nel 2007: nessuna banca infatti volle prestare liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario.  Di qui una crisi di liquidità provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè«più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano. Nella stessa direzione di rapina alle nazioni e di profitti per gli oligarchi, la politica adottata dalla Bce di Mario Draghi che ha iniettato liquidità per le sole banche, non per gli Stati.
I grandi istituti bancari-finanziari sono così tutelati dal fallimento: le banche centrali, Fed e Bce in testa, controllate dalle stesse banche-canaglia, li riforniscono infatti di nuova liquidità. A soffrire è l’intero sistema-Italia, fin da quando – nel lontano 1981 – la finanza pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia.
Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato non solo la moneta, ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.
Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. E, in pienarecessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile, al sottosviluppo.
Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale: Trilateral, Bilderberg, Britannia, Gruppo dei 30, dei 10, “Illuminati di Baviera”. Centri di pressione che hanno sempre lo stesso obiettivo: annullare le nazioni, le identità nazionali, gli Stati nazionali al fine di poter il potere nel pianeta su basi sovranazionali, multinazionali e internazionali.
Per uscire da questo girone infernale bisogna fermare, anzitutto, in Italia, gli autori del disastro, i loro successori e le strategia che anche dopo di loro si perpetuano a esclusivo danno dei popoli – da Ciampi a Amato, da Andreatta a Prodi, da Draghi a Monti, a Saccomanni, agli eurocrati: ribaltando la politica europea, uscendo dall’eurozona, fermando il governo di Bruxelles schiavo degli oligarchi. Tornando alla sovranità monetaria e cancellando il concetto del debito pubblico come problema. Basta puntaresulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Ugo Gaudenzi

 

 









   
 



 
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