Usa verso il default: anche lì si impone la logica del ricatto
 











Che dire? La destra americana sembra ormai sempre più simile a quella italiana. Non è un fatto di responsabilità, parola dietro cui si copre il blocco della democrazia e l’asservimento ai mercati internazionali. E’, invece, un problemi di ricatti, di avventurismo, di utilizzo delle istituzioni per tentare di soffocare il paese e promuovere semplicemente interessi di parte, quando non personali.
In Italia le beghe giudiziarie di un pregiudicato sono diventate il pretesto per tentare di violentare ulteriormente la Costituzione e la natura democratica del nostro Stato: tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, non esiste un monarca legibus solutus.
In America, poco meglio. La destra fanatica ha deciso di muoversi secondo la logica del “muoia Sansone con tutti i filistei”. Se non ci date quel che vogliamo, blocchiamo tutto. E visto che l’obiettivo principale dei Tea Party e dei loro sostenitori è la timidissima e modesta riforma sanitariadi Obama, qualsiasi mezzo è lecito per bloccarla. La legge è già stata approvata, quindi la maggioranza di cui gode il Partito Repubblicano alla Camera dei Rappresentanti non può più impedirne l’entrata in vigore. Senonché i signori del Great Old Party hanno pensato bene di ricattare l’amministrazione e, in effetti, tutto lo Stato Federale, bloccando l’innalzamento del debito che deve venire, una volta di più, ratificato dal Congresso, a meno di una sospensione di un anno della suddetta riforma.
Si tratta di qualcosa di semplicemente inaudito. Senza innalzamento del tetto del debito – cosa successa già oltre 70 volte dagli anni 30 – si costringe lo Stato Federale a chiudere cassa, molti servizi e pagamenti sono in effetti bloccati già da oggi. Più o meno la bancarotta. Si badi bene, i due provvedimenti – riforma sanitaria, e innalzamento del debito – non sono tra loro minimamente collegati. Si tratta semplicemente di una ritorsione. Ritorsione ben finanziata e con precisi scopipolitici, con i Repubblicani che ormai sono semplicemente il portavoce dei grandi interessi economici e finanziari di Wall Street, disposti ad una guerra senza freni per consolidare il loro già enorme potere. Non si fermano davanti a nulla: lo stop del debito blocca stipendi, toglie il lavoro ad un numero enorme di cittadini (800 mila), e rischia di tagliare il PIL dell’1.4%. Ma si tratta solo danni collaterali di una guerra per il controllo del potere.
In America come in Italia la destra si dimostra avventuriera e rabbiosa, inaffidabile e pericolosa. Il dramma vero, però, è continuare, dall’altra parte (ci vergogneremmo a chiamarla sinistra) a trattare questi personaggi come partner e interlocutori. Salvo poi accorgersi, sempre in colpevole ritardo, che si tratta di un manipolo di invasati pronti a fare a pezzi un paese pur di averla vinta. Obama ha dimostrato in passato tutta la sua debolezza politica continuando a cercare il dialogo con una parte dell’establishment politico edeconomico che ha solo provato a mettere i bastoni tra le ruote. Il blocco del governo federale non è invero qualcosa di inaspettato, già lo scorso anno i Repubblicani lo minacciarono se non si fossero tagliate in maniera consistente le spese pubbliche, evento poi evitato con un compromesso al ribasso di Obama. Ed ancora prima, quando i democratici avevano una solida maggioranza, Obama cercò a tutti i costi il dialogo sia sulla riforma finanziaria che su quella sanitaria, ottenendo soprattutto di annacquare e ridurre lo scopo della riforma. Risultati miseri, anzi, negativi. La politica è compromesso, certo, ma il compromesso non lo si può fare a qualsiasi costo, altrimenti ci si infila in una logica da gioco d’azzardo, con il partner pronto a spararla sempre più grossa per ricattare la controparte. Questi repubblicani sono pronti a riportare l’America in recessione pur di bloccare una riforma che, in qualche maniera, è stata comunque confermata dagli elettori con la rielezione di Obama.Gli interessi, per altro biechi e reazionari, di una minoranza tengono in scacco un intero paese. Si scrive Washington, ma si legge Roma. Nicola Melloni

 









   
 



 
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