A seguito del duplice intervento della Corte costituzionale con l’accoglimento dei motivi posti alla base del conflitto di attribuzioni sollevato dal Presidente della Repubblica contro la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, benché sovrastato dall’eco di vicende politico-istituzionali più complesse da cui sono derivati lo scioglimento delle Camere e l’indizione di nuove elezioni politiche, meritano di essere elaborate una serie di valutazioni sui riflessi che il dispositivo della sentenza n.1/2013 della Corte comporta sui principi costituzionali coinvolgenti la natura e la tenuta del regime parlamentare. Implicazioni, di certo, ben più significative delle pur importanti motivazioni poste a base del conflitto di attribuzioni sollevato dal Presidente Napolitano, che lamenta la pretesa violazione, da parte della Procura, delle prerogative costituzionali riconosciute al Presidente della Repubblica. Guarentigie ritenute, invero,cosìestese da comprendere anche gli atti ed i comportamenti posti in essere “fuori dell’esercizio delle sue funzioni” come nel caso specifico delle intercettazioni “indirette ancorché casuali” di comunicazioni effettuate dal sen. Nicola Mancino (4 intercettazioni su 9.295 attivate nell’arco di circa sette mesi). Ora, prescindendo da quanto potrà ancora aggiungersi alle perspicue argomentazioni contenute nella memoria di costituzione della Procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo (elaborata dai Professori Pace, Serges e Serio) ai fini di una valutazione delle motivazioni che sorreggono la decisione adottata, di recente, dalla Corte, quel che importa focalizzare nell’ambito di un’analisi volta ad approfondire la natura del ruolo che l’organo-Presidente della Repubblica deve svolgere nelle dinamiche della forma di governo parlamentare, concerne la varietà dei guasti che l’accezione dominante della nozione “Capo dello Stato” può cagionare al funzionamento correttodelsistema parlamentare. Si sono, infatti, consolidate una serie di interpretazioni dottrinali più o meno ambigue, suscettibili di legittimare atti o comportamenti che si pongono in contraddizione con la natura dei rapporti che gli organi costituzionali dovrebbero intrattenere fra essi o con il ruolo che ciascun organo dovrebbe svolgere in base al rispetto dei Principi fondamentali caratterizzanti la nostra forma di stato e di governo. Nell’ultimo trentennio si è assistito, del resto, al prevalere di interpretazioni ambigue circa le modalità che dovrebbero caratterizzare una dialettica tra popolo, corpo elettorale, partiti e Camere coerente con i Principi fondamentali del nostro modello costituzionale. Occorre evidenziare, in primo luogo, come la figura del Capo dello Stato collocata al vertice di tutti gli ordinamenti costituzionali, risulti come una sorta di “relitto storico”. Questa constatazione assume un rilievo specifico in riferimento all’originale modellocostituzionaleitaliano contrassegnato dalla sostituzione della “sovranità regia” con la “sovranità popolare” fondata, oltretutto, sul lavoro. Il nostro ordinamento dispone, infatti, di un armamentario istituzionale idoneo ad aprire il varco ad una democrazia “effettiva”, poiché riconosce alla classe sociale che in precedenza era stata esclusa da ogni forma di esercizio del potere, la legittimazione a concorrere all’esercizio del potere stesso sul terreno socia e politico. L’innovazione decisiva contenuta nel modello costituzionale italiano consiste, pertanto, nel fatto che l’Ordinamento della Repubblica è stato reso funzionale alla realizzazione dei Principi fondamentali e, quindi, al pieno dispiegamento della dialettica democratica nei Rapporti civili, etico-sociali, economici e politici disciplinati dalla Costituzione. La disciplina dell’assetto dei poteri istituzionali è stata dislocata conseguentemente nella Parte seconda della Costituzione, proprio per marcare la lorodestinazionerigorosamente operativa. Le istanze politico-sociali derivanti dallo svolgimento dei rapporti sopramenzionati devono trovare, infatti, il loro sbocco e la loro sintesi organica nel ruolo “centrale” del Parlamento che è stato collocato prima di tutti gli altri organi nella struttura del modello costituzionale. Questa caratteristica vale di per sé a contraddistinguere l’assetto istituzionale delineato dalla Costituzione italiana da quelli prefigurati negli altri modelli costituzionali dell’Occidente europeo e Nordamericano, anche se questa diversità è stata evidenziata solo da una parte della dottrina nel corso della significativa fase di lotta sociale e politica degli anni ’70 del Novecento. Il Parlamento è stato collocato al primo posto della sequenza degli organi costituzionali perché considerato come decisivo organo di sviluppo della dialettica democratica, destinata a svolgersi mediante il ruolo dei partiti politici considerati strumenti istituzionali essenzialiper consentireal popolo sovrano di “concorrere alla determinazione della politica nazionale” (art. 49 Cost.). La scelta di relegare il Governo al terzo posto della sequenza degli organi costituzionali prima della magistratura e degli enti di autonomia politico-amministrativa già enunciati nell’art. 5 dei Principi Fondamentali assume, pertanto, una valenza determinante. In tale contesto, si rivela, tuttavia, problematica la collocazione dell’organo-Presidente della Repubblica al secondo posto della sequenza, con la previsione di funzioni che si estendono, da un lato, verso il Parlamento e, dall’altro, verso la Magistratura, i Consigli regionali e la Corte Costituzionale, nonché, in modo articolato, verso il Governo, di cui il Presidente della Repubblica costituisce un tramite permanente sia pur nel quadro dei rapporti con gli altri poteri. Questa configurazione ordinamentale ha posto le premesse per l’erosione della centralità del Parlamento e per la reviviscenza di profili distampo monarchicodel ruolo del Capo dello Stato considerato come “capo dell’esecutivo”. Si è assistito, cioè, alla rinascita di caratteristiche che sarebbero dovute scomparire definitivamente con l’attivazione del circuito della “sovranità popolare”, cui la Costituzione ha assegnato il compito di realizzare un modello istituzionale opposto a quello fascista/corporativo caratterizzato dalla “diarchia” Re-Capo del governo, ossia un sistema democratico privo di vertici “monocratici”. Dopo sessantaquattro anni dall’entrata in vigore della Costituzione democratica e antifascista, ci troviamo travolti, invece, da una crisi non solo istituzionale ma anche politico-sociale, nel cui ambito il “relitto storico” di un organo-potere di poco affievolitosi rispetto all’apogeo dell’assolutismo precedente la nascita dello “stato moderno”, è stato coinvolto in un trama di rapporti istituzionali che - per il tramite di cinque Presidenti della Repubblica (Pertini, Cossiga, Scalfaro, Ciampi,Napolitano) - ha contribuitoa destrutturare la forma di stato e la forma di governo delineate dalla Costituzione, sicché il modello di Repubblica parlamentare che avrebbe dovuto aprirsi al protagonismo incisivo delle forme di partecipazione sociale e politica risulta ridotto ormai a “relitto storico”, sia pur nella continuità della sopravvivenza formale dei suoi punti cardine, ad onta dei ripetuti tentativi di “revisionismo” posti in essere dagli anni Ottanta del Novecento in poi. Fra le cause generatrici dell’alterazione del modello democratico occorre richiamare il trasformismo ideologico e politico della classe dirigente che ha avallato il consolidarsi di un assetto istituzionale divergente dalle prescrizioni del modello costituzionale e legittimato gli strappi inferti alla legittimità dell’azione istituzionale, che si sarebbe dovuta svolgere, invece, in modo coerente con le caratteristiche della forma di governo parlamentare. Si è assistito, infatti, all’incremento dicomportamenti non trasparenti e,quindi, lesivi della “sovranità popolare” posti in essere dai “Capi di Stato-rappresentanti dell’unità nazionale”, che hanno trovato copertura nel ruolo oscuro che la figura del Presidente della Repubblica è venuta assumendo nei vari settennati. In questo contesto si colloca l’incontinenza che ha indotto il Presidente della Repubblica a sollevare, nell’imminenza dello scadere del mandato, un conflitto di attribuzioni con la magistratura, le cui ragioni poggiano su cause di fondo ben più rilevanti dall’asserita necessità di provvedere - sulla base di un’asistematica interpretazione delle norme vigenti - “all’immediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali” concernenti il Presidente medesimo. A fronte di una problematica che coinvolge la questione della responsabilità penale per gli atti del Presidente della Repubblica posti in essere “fuori dell’esercizio delle sue funzioni”, non si può non evidenziare la gravitàpolitico-istituzionale di eventi che coinvolgono unex Ministro degli interni per comportamenti concernenti la controversa, intricata e debordante questione della c.d. “trattativa stato-mafia”, di cui si hanno riscontri in sede giudiziaria e sulla quale grava un assordante silenzio foriero di corrività plurime e autorevoli in sede politico-parlamentare, ossia proprio nella sede che dovrebbe costituire il reale punto nodale dell’esercizio di poteri in nome del popolo sovrano. Occorre osservare, del resto, come i profili “giuridici” delle questioni concernenti l’esercizio di competenze ricollegabili ai vari rapporti istituzionali, coinvolgano, necessariamente, anche i significati “politici” delle questioni medesime. Basti considerare, a questo proposito, i conflitti di attribuzione in materia già decisi dalla Corte Costituzionale. Non si può evitare, peraltro, di cogliere l’occasione per collocare l’insieme degli elementi ricavabili dalle esperienze recenti nel quadro complessivo cheil “settennato” - ormai in scadenza - concorre adelineare. Si deve rilevare, comunque, come in tutte le esperienze di conflitti di attribuzione concernenti le competenze del Presidente della Repubblica, abbia finito con l’affermarsi una metodologia interpretativa tesa a qualificare i “poteri presidenziali” ben oltre l’ambito delineato dall’art. 87 Cost. Questa interpretazione estensiva ha potuto radicarsi anche in virtù delle lacune previsionali prospettate dall’articolo medesimo, il quale racchiude una sorta di “elenco” di attribuzioni che non appaiono, tuttavia, esaustive ai fini di una ricostruzione completa della posizione del Capo dello Stato nell’ambito di un sistema politico-parlamentare improntato sulla “sovranità popolare”. Non appare opportuno, pertanto, concentrare l’analisi su singoli atti o comportamenti del Capo dello Stato, ma occorre valutare, piuttosto, nel solco degli andamenti della storia politico-istituzionale, la valenza che tali atti e comportamentihanno assunto nel corso delle dinamiche istituzionalicomplessive dell’ultimo ventennio, comprese quelle più recenti. Questo approccio organico e complessivo, richiede che l’analisi non debba essere rivolta riduttivamente all’esame del compendio delle singole competenze del Capo dello Stato, ma debba spingersi a valutare la natura del suo ruolo nell’ambito del sistema dei rapporti politico-istituzionali disciplinati dalla Costituzione. Si potrà comprendere, in questo modo, come gli atti ed i comportamenti posti in essere dal Capo dello Stato, non possano considerarsi “episodici”, bensì espressivi di una tendenza degenerativa del modello costituzionale, operante ormai da tempo. Basti pensare, a questo proposito, alla connessione tra le inopinate dimissioni del governo di centrodestra rese in mancanza di un voto di sfiducia e la nomina “ex abrupto” di un senatore di diritto effettuata allo scopo di conferirgli la titolarità della presidenza del consiglio, cui ha fatto seguito lavotazione di una “fiducia” ottenuta mediante lasommatoria dei voti parlamentari delle due opposte coalizioni politiche. Per comprendere sino in fondo le ambiguità che permeano le attribuzioni del Capo dello Stato, è sufficiente, comunque, annotare le varie concettualizzazioni elaborate dalla dottrina, che si sono nutrite degli equivoci strutturali della forma di governo presenti in tutti gli ordinamenti costituzionali contemporanei a partire da quelli definiti di “democrazia classica” (Gran Bretagna, Usa). Questa chiarificazione appare fondamentale in relazione al modello costituzionale italiano che risulta democraticamente più avanzato rispetto ai modelli costituzionali degli altri Paesi occidentali, perché imperniato sulla “centralità del parlamento” (oggi tanto demonizzata) e, in specie, sul sistema del “bicameralismo eguale”, sia pur “corretto” e “corrotto” dal ruolo proteiforme assegnato al Capo dello Stato. Anche a voler considerare - sia pur con qualche forzatura -l’art. 87 Cost. esaustivo dell’insieme dellequalificazioni ascrivibili alla figura del Presidente della Repubblica, non si può, comunque, non evidenziare come la natura “monocratica” del “relitto storico-Capo dello Stato” incida in modo rilevante - con il suo carico di ambiguità - sulle caratteristiche democratiche dell’ordinamento costituzionale. Il Presidente della Repubblica è stato considerato - in virtù della qualifica di “rappresentante dell’unità nazionale” conferitagli dall’art. 87 Cost. - come “potere neutro”. Si è voluta qualificare, in tal modo, la titolarità di una funzione autonoma svolta “super partes” e nel tentativo di attribuire un significato non elusivo alla “neutralità” si è fatto ricorso alla nozione di “imparzialità” considerata come caratteristica inerente alle modalità di svolgimento dei compiti di controllo e coordinamento delle altre funzioni statali. Su tali basi gli è stata riconosciuta una funzione di “garanzia” da svolgere nelle dinamiche fisiologichee patologiche del sistema ed è statoqualificato, di conseguenza, come “arbitro tra le forze politiche” e “custode” della Costituzione, in quanto partecipe delle funzioni degli altri poteri statali, pur non occupando una posizione di “vertice” rispetto ad essi. Non si è mancato di evidenziare, peraltro, come questo “potere intermediario” eserciti - nella ricerca di una sintesi e di una solidarietà tra le forze politiche - una funzione di “impulso” rispetto alla politica governativa, giungendo ad esercitare un’influenza sulle decisioni politiche. Si è sostenuto, del resto, che il Capo dello Stato possiede la “contitolarità dell’indirizzo politico costituzionale”, in quanto controlla l’indirizzo politico di maggioranza. Si è giunti, infine, ad immaginare la figura di “reggitore” dello stato o a configurare quella di organo attraversato dal c.d. primo “circuito sussidiario” necessario per surrogare il normale circuito democratico parlamentare. Si può rilevare, pertanto, comequeste formule non possiedano una capacitàesplicativa reale ed esprimano una concezione fondata sulla “personalizzazione del potere”, ossia sul potere conferito ad un’unica persona che non potrà non agire in base alle proprie ispirazioni umane e politiche. La dottrina dominante attribuisce, del resto, uno scarso peso al passaggio monarchia-repubblica e giunge a sminuire la portata del principio rappresentativo, che contraddistingue le forme di stato democratiche rispetto a quelle dinastiche. Il principio di “rappresentatività” ha permeato, del resto, gli stessi ordinamenti dinastici, com’è dimostrato dal fatto che le forme “monarchico-costituzionali” si differenziano dalle altre forme dinastiche, per il tipo di conformazione che il suddetto principio imprime al ruolo e alle funzioni dell’organo “monocratico”. La permanenza della figura del Capo dello Stato implementa, quindi, la produzione di effetti distorsivi, perché i suoi fondamenti storico-culturali risultano incompatibilicon la forma repubblicana e, in specie, conquella delineata dalla Costituzione italiana, la cui natura democratica risulta accentuata dalla previsione costituzionale che attribuisce la sovranità al popolo e non allo “stato-persona”. Gli organi costituzionali dovrebbero sviluppare, pertanto, le caratteristiche democratiche del nostro modello costituzionale, senza alterarle o deformarle con il ruolo pervasivo di un organo ormai privo della “sacralità” riconosciutagli dal regime monarchico. La notazione acquista maggior rilievo se si pone attenzione alla congerie di questioni collegate ai rapporti fra il Capo dello Stato ed il Governo a partire da quella concernente l’istituto della controfirma in caso di autorizzazione del Presidente della Repubblica alla presentazione dei disegni di legge di iniziativa governativa alle Camere (art.87 Cost.), per giungere a quella concernente l’istituto della controfirma funzionale alla garanzia dell’irresponsabilità politica del Capo dello Stato (art.89 Cost.). Risultano singolari, a questoproposito, le posizioni dottrinali che - nel timore di una possibile attenuazione del ruolo del sindacato del Capo dello Stato sulle iniziative del Governo - hanno rimarcato la pregnanza effettiva dell’autorizzazione presidenziale alla presentazione dei disegni di legge governativi ed hanno evidenziato, di conseguenza, che la controfirma non rappresenta un semplice “residuo storico”. Si deve evidenziare, viceversa, come questi orientamenti che sono spesso condizionati dai concreti svolgimenti politico-istituzionali, non si rivelino coerenti con i canoni democratici della forma di governo parlamentare imperniata sul principio della sovranità popolare. Basti pensare, a questo proposito, agli indirizzi dottrinali che considerano l’autorizzazione presidenziale come un “veto sospensivo” (persino, in c.d. forma “riservata”) funzionale allo svolgimento del “riesame”. Si individua, insomma, un’analogia con l’istituto del “veto sospensivo” funzionaleal riesame parlamentare delle leggi che devetener conto delle indicazioni contenute nel messaggio motivato di rinvio (artt.74 e 87 Cost.) e sulla base di tale premessa si allude, in modo indiretto, all’esistenza di un rapporto tra Capo dello Stato e Governo simile a quello esistente tra Capo dello Stato e Parlamento. Queste problematiche ci mettono, quindi, a contatto con tutto il peso del dibattito sviluppatosi sulla questione della “controfirma”, che ha visto sedimentarsi quell’impostazione metodologica che qualifica alcuni atti come “presidenziali” ed altri come “governativi” a seconda che rientrino o meno nella competenza prevalente del Presidente della repubblica. Occorre evidenziare, a questo proposito, come i fautori di questa impostazione ritengano possibile, da un lato, operare una selezione nell’ambito della collaborazione tra il Capo dello Stato e i Ministri, ma non riescano a spiegare, dall’altro, le ragioni per cui la nomina dei cinque giudici della Cortecostituzionale e dei cinque senatori a vita, lapromulgazione della legge, il rinvio della legge al Parlamento, possano trasformare, volta a volta, la “collaborazione” del Presidente o dei Ministri in “controllo”. L’impostazione dottrinale dominante, con il pretesto di individuare gli elementi necessari per adeguare alla realtà la valutazione dei rapporti tra i due organi (il primo dei quali non può più esser considerato “organo del potere esecutivo”), persegue, in realtà, il fine di celare valutazioni di carattere politico che incidono sulla qualificazione giuridica degli atti accompagnati da controfirma. La figura del Capo dello Stato complica, quindi, le questioni definitorie concernenti i rapporti istituzionali che intercorrono fra essa e il Governo. Una soluzione al problema non sembra provenire, del resto, dalle opinioni che riconoscono al Capo dello Stato una posizione di c.d. “autonomia” (in sostanza, di “quarto potere”) nello svolgimento delle funzioni di cooperazioneall’indirizzo politico considerato come “fontenormativa” direttamente subordinata alla Costituzione. La nozione di “autonomia” è definita, infatti, in termini astratti e rischia, quindi, di svolgere una funzione di legittimazione dell’incidenza del ruolo Capo dello Stato negli ambiti di competenza degli altri organi costituzionali e di riportare, quindi, la sua figura nel solco della “tradizione”. Nonostante si specifichi che il Capo dello Stato “coopera all’indirizzo politico” mediante un’“influenza indiretta”, non si può non rilevare come essa risulti, in realtà, molto ampia in ragione delle varie funzioni cui gli atti del Capo dello Stato si connettono. La corretta individuazione del ruolo attribuito dalla Costituzione al Capo dello Stato presuppone, invece, un’analisi delle differenti fasi storico-politiche e, su tali basi, una valutazione delle caratteristiche strutturali che contraddistinguono la forma “monarchica” da quella “repubblicana”. La dottrina giuridica produce,quindi, sofisticazioni scarsamente feconde perchéassume la “giuridicità” come categoria “razionalizzatrice” prescindendo dalla storia e dalla politica, salvo a dover annotare il peso e l’incidenza di un processo storico che nulla vale a cancellare, come si ammette implicitamente quando si osserva che, nell’ambito della monarchia limitata, il sovrano era “titolare dell’indirizzo politico”. Gli studi che hanno analizzato gli interventi principali dei Capi di Stato nel periodo 1948-2012 allo scopo di valutare la natura dei rapporti tra Capo dello Stato, Governo e Parlamento, hanno evidenziato, comunque, come gli atti ed i comportamenti dei Presidenti della Repubblica siano stati contraddistinti dalle differenti personalità politico-culturali dei soggetti titolari della carica. A prescindere dalle attribuzioni radicate (o radicabili) in singole norme costituzionali e dalle qualifiche escogitate per definire le funzioni del Capo dello Stato (neutra; di garanzia; di arbitro; di custode;di intermediario), si è evidenziato, insomma, comesia emersa una vasta gamma di manifestazioni di “potere” espressive della personalità dei singoli Capi di Stato e, quindi, del modo in cui essi si sono rapportati istituzionalmente alle dinamiche specifiche dei vari processi politico-istituzionali. Una gamma che risulta talmente ampia da riempire pagine intere di “manuali” articolati in “rubriche”. Il rischio di fenomeni distorsivi del ruolo del Capo dello Stato derivanti dalle ambiguità della disciplina concernente le attribuzioni del Capo dello Stato non era stato percepito nella fase costituente, né si era manifestato nella fase di avvio della forma di governo, quando pure si cercò di facilitare il transito dalla monarchia alla repubblica con l’elezione di Einaudi motivata dalla sua ascendenza “monarchica” e si utilizzarono come criteri di qualificazione reale del primo settennato le motivazioni di alcuni suoi interventi contenute nel volume intitolato: Lo Scrittoio delPresidente. Questo strumento fu utilizzato, infatti, dalladottrina per tessere una tela interpretativa volta a delimitare il ruolo della “controfirma” in alcuni suoi atti, che furono considerati come mere attestazioni di regolarità formale. Si deve riconoscere, in particolare, ai tre grandi partiti di massa e alla loro capacità di “concorrere alla determinazione della politica nazionale” con modalità costituzionalmente coerenti, il merito di avere delineato quel tracciato di rapporti politico-istituzionali che portò a declinare il ruolo del Capo dello Stato come “notarile”. A queste conclusioni si pervenne nonostante la serie eterogenea e contraddittoria di definizioni escogitate dalla dottrina per qualificare la figura del Capo dello Stato. Se dev’essere valutato, comunque, positivamente il fatto che le Costituzioni contemporanee hanno attribuito alle forze politiche il compito di includere il Capo dello Stato nella trama complessa dei procedimenti politico-istituzionalideterminando così il superamento delle forme di “assolutismo” piùo meno “illuminato” che avevano contrassegnato le fasi precedenti la nascita stato moderno, non si può non rilevare, tuttavia, come la configurazione ambigua della figura del Capo dello Stato e l’ampiezza degli strumenti conferitigli possano porre le premesse per un grave vulnus alla democrazia e specie per il modello “avanzato” recepito dalla Costituzione italiana. Attraverso l’uso di tali strumenti il Capo dello Stato può incunearsi, infatti, nel sistema politico, svilendo la sovranità popolare. L’autonomia delle forze politiche risulta, infatti, fortemente circoscritta dagli ambiti sempre maggiori di autonomia riconosciuti al Capo dello Stato, che può esplicarsi sino al confine estremo dell’”alto tradimento” o dell’“attentato alla Costituzione” (art. 90 C.). Ora a prescindere dal fatto che possa ritenersi plausibile che in questo tipo di infrazioni rientrino solo le fattispecie riconducibili a ipotesi di reato giàpreviste dai codici penali, quel che appare inquietante osservare ècome la dottrina e la prassi abbiano recepito dal mondo anglosassone il convincimento che al Capo dello Stato spetti una funzione di c.d. moral suasion che assorbe in sé ogni deviazione dal quadro istituzionale italiano, col rischio di riaccreditare l’esercizio di quel potere “invisibile” espressivo della “ragion di stato” della monarchia assoluta, il quale diviene così una sorta di categoria dello spirito che riaccredita la tesi schmittiana del “Capo dello Stato come decisore”, ossia quella prospettiva contrapposta a quella kelseniana che evidenzia, invece, l’antitesi tra la figura del Capo dello Stato e la concezione stessa della democrazia. Occorre osservare, del resto, come nelle analisi dei giuristi si possa rilevare in misura maggiore - rispetto alle analisi dei filosofi della politica, dei politologi e dei sociologi - la presenza di mistificazioni concettuali che alterano la fisionomia delle istituzionipolitiche del nostro ordinamento costituzionale. I giuristi tendono adeludere, infatti, la questione del “potere” come accade quando affrontano le questioni connesse al tema della “separazione dei poteri”. Essi si limitano, infatti, all’analisi dei soli profili “formali” dei rapporti, scindendoli da quelli “sostanziali”. Un approccio coerente con la concezione organica della Costituzione dovrebbe caratterizzarsi, invece, non per la scomposizione delle articolazioni del sapere, ma per la loro connessione, che risulta essenziale per cogliere l’unità/totalità delle strutture della realtà sociale e politica. Il “potere” dev’essere considerato, pertanto, come una costante “organica” sia pur caratterizzata da sfaccettature che riflettono la diversa consistenza delle sue quote connesse alle attribuzioni (maggiori e minori) degli organi costituzionali, ossia alla diversa volontà degli organi che esercitano un’influenza sul sistema di relazioni complessive, le quali si traducono,appunto, in rapporti di potere. Le tesi dominanti che rimarcano la posizione di“autonomia” del Capo dello Stato ponendola in connessione con l’esercizio della funzione di indirizzo politico , pur essendo sorrette da un linguaggio apparentemente idoneo a motivare il disancoraggio del Capo dello Stato dal potere esecutivo, finiscono col riproporre l’antistorica incombenza di un organo monocratico su un sistema democratico che punta vanamente a realizzare i suoi fini: sia perché il popolo perde progressivamente la sovranità a causa della manipolazione delle leggi elettorali, sia perché - in ragione di ciò - l’assemblea elettiva, già sottoposta a distorsioni a causa dello storico e arbitrario ripudio del mandato imperativo, risulta ormai priva di potere conseguente. Il tentativo teorico di imperniare il Parlamento sul “potere di revoca” sperimentato nella storica Comune e rimasto, dopo Marx, senza patrocinatori, dovrebbe essere rivalorizzato dagli studiosi che intendono imprimereuna svolta efficace alle derive sociali ed istituzionali dilaganti. Essi nondovrebbero attardarsi a perorare le ragioni di un’anodina “democrazia costituzionale” che affronta la questione dei “diritti” senza connetterla con la questione dei “poteri” e che identifica l’essenza della democrazia unicamente nel rispetto dei “limiti” costituzionali al potere legislativo e, quindi, nel ruolo svolto dal controllo di costituzionalità (peraltro nato negli USA). Ne consegue che il sistema politico-istituzionale è interpretato in modo sbilenco, con il rischio di suffragare un’ulteriore concezione riduzionistica della sovranità popolare già resa schermo illusorio del circuito sovrastante relativo ai rapporti governo-parlamento che viene descritto, infatti, come un sistema al cui vertice è posto un Capo dello Stato cui si ricollega una funzione di c.d. “garanzia” che urta persino “formalmente” con il dettato costituzionale, il quale racchiude, invero, le Garanzie costituzionali nella forbicedel ruolo complessivo della Corte Costituzionale (Tit. VI) chiamata a svolgereuna funzione di garanzia dello svolgimento dei rapporti fra poteri coerente con i canoni fissati dalla Costituzione e, quindi, una funzione di garanzia della continuità dei Principi fondamentali rispetto alle dinamiche trasformatrici, che possono rinvenire una legittimazione solo entro i limiti procedurali e sostanziali statuiti dalla Costituzione per l’esercizio del consenso parlamentare e popolare. Se, dunque, la figura del Capo dello Stato costituisce un “relitto storico”, occorre spostare l’asse della visione garantista dei rapporti intrinseci alla forma di governo, sul versante del ruolo più articolato della Corte Costituzionale, facendo leva sulla competenza concernente i conflitti tra i poteri dello Stato, che nella prassi sono stati surclassati dagli interventi della Corte sulle controversie relative alla legittimità delle leggi (e degli atti aventi forza di legge) dello stato e delle regioni,con il ben noto sovraccarico provocato dal maldestro cedimento alle pressionipseudo autonomistiche miranti a provocare il passaggio dallo stato regionale allo stato c.d. federale. La questione del “potere”, su cui i costituzionalisti non si soffermano, rinvia alla realtà dei rapporti di “forza” che la figura del Capo dello Stato - così come conformata dalla dottrina dominante - è indotta ad alimentare, poiché parte anch’essa di una dialettica cui partecipa con modalità varie consentitegli dall’essere considerata espressione della “suprema carica statale”. Occorre considerare, del resto, che in un regime repubblicano (sulla cui natura - come s’è detto - si è poco riflettuto), il Capo dello Stato si trova al centro di dinamiche istituzionali condizionate dal peso (variabile ma certo) della sua affinità con uno o più degli indirizzi politico-culturali caratterizzanti una democrazia pluralista, i quali sono riferibili alle maggioranze politiche non “governative” che sono alla base dielezioni presidenziali spesso assai contrastate a causa del quorum richiestodall’art. 83 Cost. Senza che, per converso, la vagheggiata “imparzialità” dei candidati all’elezione di Presidente possa sottrarsi nei fatti agli obiettivi perseguiti dalle “parti” politiche che si disputano l’esito dell’elezione destinata a coprire ciascun “settennato”, cercando di incidere con il potere di maggioranza “governativa” sul potere di “unità nazionale”: sicché in presenza di un modello “monocratico” di Capo dello Stato non si può eludere il fatto che il potere della sua elezione costituisce l’effetto di una decisione politica implicante - con la volontà di scelta dei candidati - l’esercizio di una “funzione” il cui disimpegno entra a far parte delle “dinamiche” caratterizzanti la forma di governo fissata costituzionalmente. Appare necessario, quindi, superare il carattere “monocratico” dell’organo, trasferendo ad un’istituzione “collegiale” la competenza a giudicare la legittimità degli attiche esprimono la collaborazione tra governo e parlamento come più avantiprospettata. Non si tratta, però, di ipotizzare soluzioni come quella respinta dal voto referendario del 2006 intesa ad evitare l’emanazione del decreto presidenziale di scioglimento delle Camere tramite la votazione di una mozione per appello nominale mirante a sancire la continuità di un programma di legislatura in crisi, ma occorre eliminare, piuttosto, il rischio di ostacoli al libero svolgersi della dialettica politica ivi compresa quella che si traduce nella scelta delle forze politiche di interrompere il mandato politico. Si dovrebbe eliminare, in specie, quella sorta di dualismo tra “nomina” del Presidente del Consiglio e “voto di fiducia” parlamentare che inquina la genuinità di un regime imperniato sulla forma di governo parlamentare. I voti di fiducia e di sfiducia costituiscono, infatti, gli strumenti istituzionali idonei e sufficienti per garantire lo svolgimento di una dialettica tra corpo elettoraleparlamento e governo coerente con il principio fondamentale dellasovranità popolare. L’“imparzialità” presunta e la “neutralità” apparente del Capo dello Stato costituiscono, quindi, uno schermo che nasconde l’assenza di una trasparenza effettiva e, quindi, di un requisito essenziale per un reale sistema democratico. La mancanza di trasparenza spinge, infatti, i cittadini colpiti dagli effetti socialmente dannosi della frattura fra “palazzo” e “popolo”, ad aderire a progetti politici trasformisti, frazionisti e populisti o a legittimare comportamenti politici di stampo criminale. La verticalizzazione del potere determina, con le sue oscurità, sfiducia nei confronti delle istituzioni, come è accaduto, del resto, in occasione della condotta istituzionale assunta, di recente, dal Capo dello Stato che, oltre ad aver sollevato un conflitto di attribuzioni nei confronti della magistratura, ha posto in essere tre comportamenti significativi: ha coperto le dimissioni inopinate (perquanto condivise da una parte dell’elettorato “bipolare”) delPresidente del consiglio e si è avvalso della prerogativa di nominare “senatore a vita” un personaggio considerato così “benemerito” da meritarsi la nomina a Presidente del Consiglio. Questi comportamenti ambigui sono stati adottati sotto la spinta dell’Unione europea che esercita un’influenza pervasiva anche sull’autonomia politica degli Stati membri, servendosi della mediazione dei Capi di stato e di governo che - in nome dell’europeismo e sotto il ricatto dei default finanziari – sono riusciti ad imporre la nomina di governi “tecnici” ritenuti capaci di porre le premesse per il risanamento delle finanze pubbliche. Le forze politiche italiane - i cui rapporti sono ormai contrassegnati da una bellicosità condita di corruttele inarrestabili - hanno mescolato, pertanto, i rispettivi voti di fiducia per dar vita ad una formula di governo che è stata definita “strana” maggioranza o “nuova convergenza parallela”, nonostantel’enfasi posta sui difetti e sulle distorsioni della c.d. “primarepubblica”. Ci troviamo, insomma, nel pieno di uno snaturamento istituzionale che risulta aggravato dal ruolo del Capo dello Stato divenuto centro ispiratore di sconvolgimenti incisivi della forma di governo. Basti pensare al ruolo di “picconatore” svolto dal Capo dello Stato agli inizi degli anni ’90 ed alla pervicacia interventista manifestata da quello in carica. Occorre predisporre, pertanto, una linea di rilegittimazione delle implicazioni organizzative dello Stato fondato sulla sovranità popolare, in direzione nettamente antipresidenzialista. Franco Cordero, nel suo contributo autorevole pubblicato su Micromega (fasc. n. 8/2012) a complemento della “memoria” di costituzione della Procura della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzioni promosso dal Presidente Napolitano, ha evidenziato come la figura del Capo dello Stato stia perdendo le caratteristiche di “presidente” per assumere quelle di“sovrano”. Questo valido rilievo costituisce la premessa necessariaper avanzare una proposta coerente con le caratteristiche della nostra forma di stato e di governo, ossia quella di collocare i poteri del Capo dello Stato nelle competenze di un “organo collegiale” suscettibile, per sua natura, di superare le deviazioni derivanti dalla scelta di conferire “natura monocratica” agli organi costituzionali. Le suddette deviazioni appaiono vieppiù evidenti nella fase attuale contrassegnata da un’alterazione “personalistica” del sistema politico-istituzionale assediato da lobbies e da manifestazioni di potere che si rincorrono da Roma a Bruxelles, in un’orbita in cui il potere stesso finisce col svelare la sua “nudità” pur celata dallo schermo di “informalità” debordanti dai principi posti a fondamento del nostro modello “democratico-sociale”. Al di là delle motivazioni poste a supporto dell’esorbitante protezione riconosciuta al Capo dello Stato in materia di intercettazionitelefoniche, quel che colpisce della sentenza n. 1/2013 è costituito dalfatto che la Corte ha utilizzato la sua peculiare funzione di garanzia in modo tale da evocare il noto brocardo “quis custodiet custodies”. Le considerazioni svolte nella valutazione “complessiva” delle attribuzioni costituzionali del Presidente della Repubblica, se non configurano “un fuor d’opera” tendono, invero, a “provar troppo”. La Corte - dopo aver affermato che il Capo dello Stato in quanto organo collocato al di fuori dei tradizionali poteri dello Stato, si colloca “naturalmente al di sopra di tutte le parti politiche” (non menzionando in modo singolare gli “organi del sistema dei tre poteri”) - ha soggiunto che tale singolare posizione differenziale non incide “sul principio di parità tra gli stessi”. Ha sostenuto, inoltre, che le attribuzioni del Presidente della Repubblica non implicano, per loro natura, “il potere di adottare decisioni nel merito di specifiche materie”, ma ha evidenziato, nelcontempo, che il Presidente è titolare di propri poteri formali estrinsecantesinell’emanazione di “atti determinati e puntuali previsti dalla Costituzione”. E’ giunta, infine, a legittimare l’uso di “attività informali” connesse inestricabilmente a quelle “formali” sostenendo addirittura che la suddetta attività informale “costituisce il cuore del ruolo presidenziale nella forma di governo italiana” (v. par. n. 8.2 e n. 8.3). Il senso di queste argomentazioni risulta, poi, aggravato dal fatto che la sentenza rafforza la legittimazione del c.d. “potere di persuasione” (moral suasion), considerandolo come manifestazione di un ruolo di inedita “magistratura di influenza” che, in quanto tale, “deve poter contare sulla riservatezza assoluta” non solo rispetto ad “una specifica funzione”, ma per “l’efficace esercizio di tutte” (v. par. 9). Si comprende, pertanto, come - a seguito dell’emanazione di tale sentenza - emerga la necessità di riconsiderare, sin dalle origini, la questione delruolo del Presidente della Repubblica come “rappresentante dell’unità nazionale”per verificare se a ciò sia rapportabile l’invalidazione della tradizionale teoria della divisione dei poteri mediante l’aggiunta di un “quarto potere” a quello esecutivo, a quello legislativo ed a quello giurisdizionale. Se è vero, infatti, che il Capo dello Stato è un organo autonomo ed indipendente, resta da valutare se e come anche gli altri organi della divisione dei poteri siano inquadrabili nel sistema politico-istituzionale in condizioni di rispettiva autonomia ed indipendenza. Una volta acquisito dalla storia costituzionale il superamento della posizione “regia” del Capo dello Stato come “capo dell’esecutivo” (pur meccanicamente ed incoerentemente riproposta nei governi parlamentari europei), si impone la necessità di attribuire al Presidente della Repubblica un ruolo coerente con le esigenze di sviluppo dei sistemi politico-istituzionali che mirano a realizzare una democrazia integrale, ossiaun modello democratico che non tollera il primato dei “poteri monocratici” e chedeve, quindi, essere imperniato su un’organizzazione del potere fondata sul primato degli “organi collegiali” a partire dal corpo elettorale e via via risalendo agli altri organi della divisione dei poteri (Camere, Consiglio dei Ministri, Corte costituzionale). Va aperta, pertanto, in sede dottrinale e politica, una discussione che - prima di prospettare proposte di revisione costituzionale oggi immature e destabilizzanti - ponga le premesse per abolire la natura “monocratica” del Presidente della Repubblica, investendo tutte le attribuzioni previste su due distinti fronti. Occorrerebbe conferire, in primo luogo, ad una sezione della Corte costituzionale i compiti di controllo “giuridico-formale” degli atti sin qui rimessi al raccordo Capo dello Stato-Governo: autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge governativi alle Camere (art. 87, quarto comma, Cost.); promulgazione delle leggi edemanazione degli atti aventi forza di legge e dei regolamenti (art. 87, quintocomma, Cost.); concezione della grazia e commutazione delle pene (art. 87, undicesimo comma, Cost.). Bisognerebbe, in secondo luogo, statuire - in vista di una futura revisione costituzionale che sostituisca l’organo “monocratico” con un organo “collegiale” simile a quello svizzero - una “convenzione costituzionale” capace di avviare un processo di transizione circa i rapporti di tipo politico che il Capo dello Stato è abilitato ad intrattenere con il Parlamento (rinvio delle leggi alle Camere: art. 74, primo comma, Cost.; ratifica dei trattati internazionali: art. 87, ottavo comma, Cost.; dichiarazione dello Stato di guerra: art. 87, nono comma, Cost.). L’indicata convenzione potrebbe instaurarsi prima della creazione di un organo collegiale e dovrebbe stabilire l’instaurazione, in tutti gli ambiti di competenza, di un raccordo fra l’organo “monocratico” e gli altri organi (individuali e collegiali)simile a quello previsto dall’art. 88 Cost. Secondo questa previsione, infatti,il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere o una sola di esse, solo dopo aver “sentito i loro Presidenti”. Il raccordo del Capo dello Stato con gli altri organi potrebbe concretarsi in una collaborazione sistematica dell’organo monocratico con i Presidenti o anche con gli uffici di Presidenza delle due Camere, imputando formalmente al Capo dello Stato l’esito delle consultazioni intrattenute con i vertici sopraindicati. Tale innovazione avrebbe un peso significativo se applicata alla nomina del Presidente del Consiglio specie in occasione di crisi extraparlamentari, collegandosi oltretutto alle modalità con cui è già previsto il modo di procedere allo scioglimento delle Camere. Sulla base di tali premesse, sembra importante rimarcare come verrebbero a cadere tutte le varianti interpretative soprariassunte, che inducono la dottrina ad immergersi nell’ambiguità delle norme vigenti. Estendendo il circuito delle relazioni delineato dall’art. 88 Cost. all’ambito dioperatività delle altre norme costituzionali, si potrebbe garantire un minimo di trasparenza ritenuto oggi impossibile e financo vietato (come sembra evincersi dai pronunciamenti della Corte costituzionale). Va osservato, a tal proposito, come il suddetto tipo di raccordo potrebbe applicarsi anche alle modalità di scelta dei candidati alla nomina dei dieci membri della Corte costituzionale ripartiti tra Presidente della Repubblica e Parlamento, superando in questo modo la necessità dell’anodina distinzione tra atti c.d. “presidenziali” e atti c.d. “governativi”. Salvatore d’Albergo-già ordinario di Diritto pubblico nell’Università di Pisa (...) Partiti, non solo finanziamenti pubblici: ecco chi sono i “benefattori” della casta Anche nel passaggio dalla lira all’euro lo scalino è stato ammortizzato. Tanto era allora, il doppio dopo. Anzi, i benefattori della politica sono stati al passo con gli appetiti crescenti: bonifici con zeri abbondanti a coprire unaperenne campagna elettorale. I nomi sono quasi sempre gli stessi: presunti capitani d’industria come la famiglia Riva, imprenditori dall’aspetto illuminato tipo la famiglia Benetton. O Diego Della Valle, sempre presente negli ultimi vent’anni. I più generosi e attenti? Tutte le realtà legate al mondo della sanità e dell’edilizia. Destra, sinistra, centro. Questo ballo coinvolge tutto il Parlamento. Sulla via Emilia Metodici. Puntuali. Con cifre crescenti. Sono i Merloni, proprietari dell’omonima azienda legata al mondo degli elettrodomestici e della termoidraulica. Nel 1994 intervengono con un assegno da dieci milioni a favore diBeniamino Andreatta, uno da 30 per Gerardo Bianco, 60 al PartitoPopolare e 80 per la neonata Forza Italia. Ma la generosità non finisce qui: ecco 270 milioni al Patto Segni, sotto la formula del “deposito fruttifero a garanzia di scopertura bancaria” e altri 20 per il suo leader Mariotto. Cambia stagione, non la generosità. Nel 1999: 50milioni ai Ds, altrettanti al Ccd. Occhio alla data: 2001. È l’anno della chance per Francesco Rutelli come leader del centrosinistra, l’anno della frase “mangio pane e cicoria”. Per rendere più sfizioso il companatico, i Merloni si presentano con 100 mila euro; al Patto Segni e all’Udeur appena 10 mila. Finisce la disponibilità. Nel 2008 l’azienda entra in crisi: chiusi due stabilimenti, amministrazione straordinaria e debiti per 543,3 milioni di euro. Parentesi “alimentare” sulla via Emilia: nel 1994 Parmacotto si presenta con 100 milioni per Forza Italia e altrettanti per il candidato locale, Elio Massimo Palmizio. Non meno generoso è mister Idrolitina, alias Giuseppe Gazzoni Frascara, candidato nel 1995 asindaco di Bologna. Tra il 1994 e il 1996 si presenta con oltre 300 milioni tra Forza Italia e il Ccd. A chi fa le scarpe? 19 marzo 2006. Vicenza. Silvio Berlusconi attacca violentemente Diego Della Valle. Il signor Tod’s replica dalla platea. Sembranolontani umanamente e politicamente, almeno lì. Eppure qualche anno prima la storia era tutt’altra. Nel 1994 il proprietario della Fiorentina si presenta da Forza Italia con 100 milioni, mentre sono 135 per il Patto Segni, sempre con la formula del “deposito fruttifero”. Ma la vera amicizia è quella con Clemente Mastella: nel 1998 dà 50 milioni ai Cristiano Democratici per la Repubblica e 150 mila all’Udeur per la campagna del 2006, a firma di Andrea (altri 100 mila per la Margherita, da parte di Diego, maggiore dei fratelli). Parallelamente alla passione politica, cresce anche il pacchetto aziende, tanto da entrare, nel 2011, nella classifica di Forbes dedicata agli uomini più ricchi al mondo; al marzo del 2013egli è al 965° posto (20° italiano), con un patrimonio di 1,5 miliardi di dollari. Fattore di “mercato” Coerente. Munifico e coerente. È Maurizio Zamparini, spesso in tv o sui giornali, perché proprietario del Palermo calcio. È un uomo di destra, e quella parte finanzia.Nel 1994 batte ogni record con due “assegni” da 250 milioni l’uno, a favore del defunto Msi, in procinto di trasformarsi in Alleanza nazionale. Nel 2001 diventano 200 mila euro; 103 nel 2006 al Ccd, mentre nel 2008 seduce l’Mpa di Lombardo con altri 100. Freccia a destra Qualche dubbio, un’unica certezza: un misterioso benefattore spedisce nel 1994 97 milioni di lire all’Msi, da poco al governo con Silvio Berlusconi. Sono tre bonifici provenienti dal Lussemburgo, una situazione talmente ingarbugliata da costringere Gianfranco Fini a scrivere: “La vostra somma non è stata ancora utilizzata. Vi preghiamo di volerci segnalare la causale di tale versamento”. Il titolare dellasocietà non sa cosa rispondere, ma si rifugia in un diplomatico “sostegno e stima da italiani residenti all’estero”. Peccato che dietro ci fosse il banchiere italo-svizzero Pierfrancesco Pacini Battaglia, poi condannato a sei anni di carcere per appropriazione indebita nell’inchiesta di ManiPulite. Il “re” trasversale Per Alfredo Romeo una condanna a quattro anni in primo grado, due e mezzo in appello e la prescrizione in Cassazione, a causa di Tangentopoli. Definiva i politici come “della cavallette! Anzi, delle iene”. Ma per lui una seconda opportunità, con un patrimonio immobiliare di 48 miliardi di lire da gestire e 160 milioni di incassi. E la capacità di intervenire, dove utile, con finanziamenti trasversali: 27.900 euro nel 2002 ai Ds di Roma, 12 aForza Italia. Altri 20, sempre al partito di Fassino, per il 2005. E ancora 30 mila nel 2013 a Nicola Latorre, 25 al Centro Democratico. Oppure a Torino nel 2001: 30 mila per il sindaco Sergio Chiamparino, 40 aForza Italia. Infine ha dato 60 mila euro a Renzi per le primarie. Attenzione: il business di Alfredo Romeo è di servizi offerti agli enti pubblici. Il 13 aprile di quest’anno la terza sezione della Corte d’appello di Napoli, lo ha condannato a tre anni per corruzione. Poche settimane primaaveva vinto una gara bandita dall’Anci per diventare partner della società che si occuperà della riscossione dei tributi. La famiglia Riva Tutti e tre schierati. Il padre Emilio Riva, assieme ai figli Nicola e Fabio: sono i proprietari dell’Ilva di Taranto, ora agli arresti domiciliari. Nel 2006 finanziarono la campagna elettorale di Pier Luigi Bersani con 98 mila euro. L’ex leader del Pd diventò ministro dello Sviluppo economico. Ma due anni prima, i tre uomini Riva, avevano elargito 330 mila euro a Forza Italia attraverso tre bonifici. Più altri “spicci”, ai berlusconiani di Bari, Taranto e Milano. 42 miliardi in sei anni Nessuno ha mai negato cheForza Italia fosse la struttura politica di Publitalia 80, la concessionaria pubblicitaria di Mediaset, la più potente d’Italia ancora oggi. E nessuno ha creduto a Silvio Berlusconi quando si lamentava per i soldi spesi in campagna elettorale. Publitalia ha pompato denaro dal ’94 al 2000 a ForzaItalia e ai propri alleati fra cui Alleanza nazionale, Lega Nord e Udc, ma anche la lista Pannella e Bonino Presidente: spesso si trattava di sconti sugli spazi pubblicitari oppure sconti “praticati secondo generali orientamenti di strategia commerciale”. Qualsiasi fosse la definizione giusta, il passaggio di favore e l’esborso di Cologno Monzese, la cifra ufficiale è spaventosa: circa 42 miliardi di lire in sei anni. Ma per confermare la generosità di Berlusconi va fatto notare un assegno di Forza Italia ai leghisti di Bossi e Maroni nel 2003, e non c’è scritto che si trattasse di divisione dei rimborsi pubblici: 300.000 euro. Sergio Scarpellini Il re del mattone dilusso, soprattutto romano, Sergio Scarpellini ebbe i contratti per gli affitti di Montecitorio nel 1997. Qualche anno dopo, l’imprenditore donò 50 milioni di lire ai Ds calabresi e poi 48 mila euro ai Ds romani. Ma ha sempre contribuito alle spese dei partiti con le sue società, Milano 90 e Progetto90. Sempre attento ai Ds prima e Pd poi: 200 mila euro in totale, 20 mila euro diretti a Michele Meta. Non manca il fronte centrodestra: 100 mila euro all’Udc, 50 mila al Pdl, 35 ai Cristiano Popolari di Baccini e 25 ai leghisti. Ma chiunque spende con speranza. Come Giuseppe Grossi, morto un paio di anni fa, vicino a Comunione e Liberazione, che aveva monopolizzato le bonifiche in Lombardia: per caso, prima dell’arresto, qualche anno addietro (2001 e 2004), diede 450 mila euro a Forza Italia. Funziona molto la tecnica della presenza costante con l’associazione Federfarma che pensa a tutti, proprio a tutti i partiti e ai tanti candidati. Picconatore inaereo L’aneddoto su Francesco Cossiga, allora presidente emerito, merita un racconto. Il picconatore viaggiava tanto e spesso a spese altrui: nel 1999, la Eliar lo portò tra la Spagna e l’Italia; nel 2000, Silvio Berlusconi in persona gli regalò un volo privato Roma-Nizza; poi la Joint Oriented pagò un Roma-Nizza.Ma chi si spese di più fu la Tiscali del conterraneo Soru che gli garantì un trasporto annuale gratuito – era il 2003 – da Cagliari a Roma e da Cagliari a Milano, andata e ritorno ovviamente. Questo introduce gli oltre 420 mila euro che la Energex diede al Ccd di Casini prima che diventasse Udc: la società anonima, sede in Lussemburgo, si occupa di noleggio aereo e la Camera non sa spiegare questi soldi di “capitale straniero”. Re del mattone Il costruttore romano Domenico Bonifaci, per la campagna elettorale fra Romano Prodi e Silvio Berlusconi, la sfida numero uno, diede in prestito 3 miliardi di lire al Pds. Ma è soltanto un esempio diquanto, in questi anni, abbiano speso costruttori e immobiliaristi per sostenere i partiti: non mancano i Gavio o Toto. Da quando Pier Ferdinando Casini ha sposato la figlia Azzurra, Gaetano Francesco Caltagirone, attraverso le varie società di famiglia o in prima persona, non si è risparmiato: ha donato 2 milioni di euro in pocotempo. Anche se, dieci anni fa, diede un piccolo contributo di 20.000 euro ai Democratici di sinistra romani. I Ds in giro per l’Italia, e in particolare nella Capitale, hanno sempre potuto contare sui signori del mattone. Salini non si è sprecata, scarsi 100.000 divisi fra le varie sezioni rosse, stessa cifra per Italiana Costruzioni che, però, ne ha dati 25mila all’Udc, più 120 milioni del ’96 al Pds. I Ds di Roma, a colpi di 10 milioni di lire poi diventati 20mila euro, sono stati finanziati tanto dai potenziali o reali clienti come Romeo di Global Service o come Mondialpol che ha creduto anche nei progetti di Marrazzo presidente del Lazio o dell’Udc delmunifico Casini. La bolognese Astaldi, che realizza grandi opere, ha sempre preferito la destra come testimoniano i 100 mila euro a Forza Italia che mal si sposano con i 70 mila ai Ds di qualche anno prima. I Cantieri Italiani di Pescara, anche con piccole somme di 5 mila euro, hanno cercato di tenere in piedi il centrosinistraitaliano in Abruzzo: dai Democratici di Sinistra al Partito popolare hanno effettuato più di 30 donazioni. Tra i grandi finanziatori va ricordato Giannino Marzotto, amico di Enzo Ferrari, scomparso qualche anno fa, che in un colpo solo diede un milione di euro ciascuno a Forza Italia e Lega Nord. Supermercati Il patrón di Esselunga, Bernardo Caprotti, non ha mai nascosto le sue preferenze politiche. E i supermercati enormi, che puntellano soprattutto la Lombardia, sono merito di sapienza imprenditoriale e di un buon affiatamento con gli amministratori locali. Esselunga ha sempre finanziato i candidati di Forza Italia con bonifici di 20milioni di lire, stiamo parlando degli anni che vanno dal 1996 al 2000, e tra i benificiari si trovano anche l’allora sindaco di Milano, Gabriele Albertini e l’attuale ministro Mario Mauro: entrambi, però, hanno mollato il Cavaliere per il professor Monti. Una volta sola, nel 2002, Caprotti stacca un assegno a suo nome di 200milioni di lire per Forza Italia: l’anno prima la controllata Orofin ne aveva dati 500. Anche i centristi di Casini (Ccd) sono nelle grazie di Caprotti, che contribuisce con 210 milioni di lire in due rate. Il colore dei soldi La famiglia Benetton ha sempre fatto i propri (lauti) affari con debita distanza dai palazzi romani, ma accade qualcosa di strano nel 2006. Quando si comincia a parlare di una fusione tra Autostrade per l’Italia e la spagnola Albertis, un’operazione internazionale, e dunque anche politica. Prima di conoscere l’inquilino di Palazzo Chigi, se ci sarà la conferma di Silvio Berlusconi o il ritorno di Prodi, la societàinveste 1,1 milioni di euro e li distribuisce, sotto forma di donazioni, ai partiti. Un assegno di 150 mila euro ciascuno per la coalizione di centrodestra, Alleanza nazionale, Forza Italia, Lega Nord e Udc; stessa cifra per la coalizione di centrosinistra, Comitato per Prodi, Democratici di Sinistra, La Margherita e soltanto 50mila euro per la piccola Udeur di Clemente Mastella. Il governo di Prodi avrà l’onore di battezzare lo scambio imprenditoriale con lo spagnolo Zapatero, ma Antonio Di Pietro, allora ministro per le Infrastrutture, si oppone con durezza. Finché il progetto non va malamente in archivio. Alessandro Ferrucci e Carlo Tecce,ilfatto (...) Enrico Letta & Compagni Finalmente dopo tanto tuonare piovve! Del resto la rielezione, a furor di popolo, di Napolitano al Colle non poteva che prevedere un seguito di questo genere: un intervento massiccio del Presidente nell’arena politica, questo senza che nessuna delle “vergini vestali” della tanto amata Costituzione della Repubblica alzasse almeno, non dico una voce di dissenso, ma un tumido lamento. La vera evoluzione del sistema italiano è questa: il Presidente della Repubblica si sta arrogando compiti e ponendo in essere comportamenti concludenti che sono assolutamente al di fuori di quanto stabilito dalla Cartacostituzionale. Questo tipo di atteggiamento è iniziato con le esternazioni picconatrici di Cossiga; proseguito con il “non ci sto” autoreferenziale e del tutto inopportuno di Scalfaro; con la nomina abusiva ed assolutamente anticostituzionale di 5 senatori a vita operata sia da Cossiga che da Scalfaro. Anche Ciampi svolse e la cosa è estremamentesignificativa, una serie di interventi squisitamente politici che non spettavano alla figura del Presidente. Con Napolitano si arriva ad un alto grado di ingerenza della Presidenza della Repubblica nella vita politica italiana e nello svolgimento dei compiti ad essa assegnati: la cosa è estremamente significativa in quanto il personaggio è sicuramente il referente dei cosiddetti Poteri Forti e dei circoli Mondialisti che contano. Al termine del mandato Napolitano aveva fatto un passo indietro, spinto in primo luogo dal fattore età, ma poi è stato costretto dalla tragicomicità degli eventi, a ritornare in pista e, secondo me, lo ha fattocon un ostentato senso di abnegazione che gli ha guadagnato il plauso e l’appoggio da parte della stragrande maggioranza dei “partiti che contano”. Il vizio del ghettizzare e demonizzare gli avversari pericolosi non abbandona mai la Casta e la sinistra in particolare! Ma sicuramente la mossa del Presidente aveva ben chiaro due cose: unomettere in evidenza che si sarebbe dovuto fare quello che diceva lui e che, alla fine, il suo mandato era destinato a terminare prima del termine del settennato, o, perché rimesse le cose in carreggiata (pio desiderio) poteva ritirarsi con in mano la palma del salvatore della Patria; oppure, aggiungo io, per evidente legge di natura: Giorgio Napolitano, come sappiamo, ha 88 anni: non sembra vero, ma anche i politici talvolta muoiono, Andreotti docet! I grandi referenti internazionali, evidentemente, non sono rimasti molto soddisfatti dal governo tecnocratico di Monti, non tanto per l’operato da lui svolto, nel solco di quello che gli era statoordinato, anche se con qualche sbavatura non proprio secondaria in merito alle privatizzazioni delle aziende di stato, ma soprattutto per aver fatto il salto quantistico, passando dalla categoria tecnocrate a quella di politico: il che gli ha tolto la foglia di fico del super partes: questo è un grave errore ed impedisce di entrare nel Gothadei santi mondialisti. Anche Napolitano non ha gradito questo salto della quaglia: lo aveva, per metterlo al riparo, nominato senatore a vita e che bisogno aveva di fondare un partito, per di più con quei due marpioni di Fini e Casini e per avere un risultato elettorale così misero e così prevedibile? Questo scherzetto ha, oltretutto, impedito al PD, su cui i liberal mondialisti avevano puntato tutte le carte, di poter formare un governo stabile senza aiuto di nessuno: Monti quindi era out, in fondo poi il “buonista” Giorgio II ha fatto anche la figura del buon samaritano non propinando più al popolo quella figura di professorino, con il Lodensaccente ed affamatore che si era cucita addosso: come si dice con una fava ha preso due piccioni.1 Ma Re Giorgio doveva sistemare le cose anche dentro il PD ritirando un concorrente pericoloso per la Segreteria, così non si sa quanto “spintaneamente” la scelta si è indirizzata su quest’altro giovane rampante con tutte le carte in regolaed anche con i quarti di nobiltà a posto, vista la parentela con il “Consigliori” di Berlusconi, lo zio Gianni: un nome davvero alLETTAnte. Vediamo allo scanner questo virgulto del nuovo vivaio Eurocratico, questo “Lucifero, o stella mattutina nascente” del firmamento radical chic. Il nuovo Presidente del Consiglio è quindi un uomo della Casta, quella più élitaria, ma anche la più sgradevole espressione di quei milieu più “avanzatamente progressisti” e politically correct, saldamente asserviti e legati ai poteri fortissimi filoamericani, filo sionisti, con forti agganci negli ambienti dell’alta finanza apolide mondialista, ben accetto anche aquella burocrazia europeista dogmatica pura e dura. Alle sue spalle ha un percorso formativo tutto svolto all’insegna del “più Europa c’è, meglio è” che tanto accende i desideri intimi della Merkel: c’è davvero da chiedersi se la sua sia stata solo un circostanza fortunata oppure se qualcuno gli abbia dato un suggerimento ed un aiutinoper fargli fare le scuole dell’obbligo proprio a Strasburgo alla “choucroute” come dicono i Francesi. Poi però torna a studiare Giurisprudenza ed a laurearsi in Diritto Internazionale (chissà come mai), alla facoltà di Legge della prestigiosa Università toscana. Ma, quando si dice la fortuna, si specializza in Diritto delle Comunità Europee alla Scuola Superiore di studi universitari e di perfezionamento Sant’Anna, fucina italiana di dirigenti di partito, manager e specialisti di ogni sorta una scuola pubblica, ma internazionale e selettiva: “molto stimolante”. A venticinque anni, per i suoi spiccati meriti, diventa Presidente dei Giovani del PPE,ma nel 1990 la sua strada incrocia quella di Beniamino Andreatta detto “l’Ippopotamo” a causa della sua stazza, allevatore di “cavalli di razza” padrino politico e mentore, tra gli altri di Romano Prodi. Era proprio lui lo stesso che nel 1981, da Ministro del Tesoro, parlando della separazione tra Banca d’Italia e Tesoro attuato da GuidoCarli - svincolo che impedì, da allora, all’Italia di finanziare il proprio debito pubblico con l’esercizio della sua sovranità monetaria, cioè stampando moneta - così scriveva: “… Naturalmente la riduzione del signoraggio monetario e i tassi di interesse positivi in termini reali si tradussero rapidamente in un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il fabbisogno del Tesoro e l’escalation della crescita del debito rispetto al prodotto nazionale …” 2 C’era davvero di che vantarsi: in altre nazioni civili la cosa si sarebbe risolta davanti ad un plotone d’esecuzione per alto tradimento! Per il nostro rampollo di buonafamiglia, inizia la scalata sociale ed il suo progressivo e costante “cursus honorum”: entra come ricercatore all’Arel, creata nel 1976 dall’Ippopotamo e da “Umberto Agnelli, Urbano Aletti, Adriano Bompiani, Franco A. Grassini, Ferrante Pierantoni, avverte l’esigenza di un luogo ove approfondire, con i più moderni e rigorosi strumentid’indagine e con un forte segno di innovazione culturale, i più rilevanti temi economici, amministrativi e istituzionali italiani e internazionali.” Ne diventa segretario nel 1993, sempre esclusivamente grazie ai suoi meriti, per poi nello stesso anno fare il debutto nel mondo politico, come capo della Segreteria di Andreatta, allora Ministro degli Esteri del Governo Ciampi. Nel 1996 sarà, sempre lo stesso Ciampi che gli affida, presso il Ministero del Tesoro, l’incarico di segretario generale del Comitato per l’euro. Dal gennaio 1997 al novembre del 1998 ricopre la carica di Vicesegretario del Partito Popolare Italiano, nello stesso anno entra a soli32 anni, enfant prodige, nel primo governo D’Alema come Ministro delle Politiche Comunitarie: è il più giovane Ministro della Storia della Repubblica battendo Andreotti che lo diventò a 35 anni. Nel 2000, con il secondo governo D’Alema, diventa Ministro del Commercio, Industria ed Artigianato, incarico che ricopre anche con ilGoverno Amato per i quale ricopre anche la carica di Ministro del Commercio Estero, fino al 2001. Diventa, allo stesso tempo, anche deputato ed aderisce alla Margherita: nel 2004 si dimette da deputato per presentarsi, come capolista nella circoscrizione Nord Est alle elezioni europee nella lista dell’Ulivo: ovviamente torna a Strasburgo come deputato europeo. Nella XV legislatura è di nuovo deputato al parlamento italiano e diventa, fino al maggio 2008, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di Romano Prodi. E’ lo stesso incarico, quasi di famiglia, che lo zio Gianni ricoprirà nel Governo Berlusconi: strani giochi del destino!! Quando nasce ilPartito Democratico si presenta alle primarie per la Segreteria, il 14 ottobre 2007, ottenendo anche un lusinghiero risultato: oltre l’11% dei voti. L’anno successivo, come capolista del PD, viene eletto in Lombardia,di nuovo alla Camera dei Deputati: Veltroni lo chiama nel suo Governo Ombra (noi italiani siamo davvero maestrinello scimmiottare le cose più inutili che fanno gli altri e solo per il gusto di chiacchierare e di sembrare dei soloni) come ministro del Welfare. Nel 2009 al Congresso del PD, appoggia la linea Bersani: il novembre 2009 viene nominato dall’Assemblea nazionale del Pd Vicesegretario unico. Parallelamente dal 2004 assume la carica di Vicepresidente di Aspen Institute Italia, filiazione italiana del prestigioso think tank mondialista americano del quale fa autorevolmente parte anche l’onorevole Dottor Professor Giuliano Amato, detto il Dottor Sottile. Ma vediamo di accendere un faro su questo Istituto per meglio capirne i fini e ciò ci sarà di ausilioanche per cercare di intravvedere quale sarà, al di là del fumo profumato sparso per i citrulli, quali saranno le linee programmatiche reali del nuovo Governo presieduto da Enrico Letta. L’Aspen Institute è un’organizzazione internazionale non profit3, fondata nel 1950 da un gruppo di intellettuali e uomini d’affari americaniconvinti della necessità di rilanciare il dialogo, la conoscenza e i valori umanistici4, in una realtà geopolitica complessa e in continua evoluzione. Il fine ultimo è incoraggiare le leadership illuminate, le idee e i valori senza tempo e il dialogo sui problemi contemporanei. L’istituto e i suoi partners internazionali, perseguono la creazione di un terreno comune di comprensione approfondita in uno scenario non ideologizzato attraverso seminari, programmi culturali, conferenze e iniziative di promozione della leadership. La sede centrale ufficiale è a Washington, ma vi sono dei campus di riferimento ad Aspen, nel Colorado, e a Chesapeake Bay, nel Maryland.Negli anni si è formata una rete internazionale che ha visto la rapida ramificazione dell’Istituto in giro per il mondo: Berlino, Roma, Lione, Tokyo, Nuova Delhi e Bucarest: il chiché è sempre il medesimo certe organizzazioni partono dagli Stati Uniti e poi si incistano in quei paesi dove la potenzialità economica e di profittoè più alta. L’Aspen Institute è finanziato da fondazioni come la Carnegie Corporation, la Rockefeller Brothers Fund e la Ford Foundation, attraverso quote di iscrizione a seminari e donazioni individuali. Tra i suoi affiliati ci sono leader della politica, dell’economia e intellettuali tutti di primissimo livello, in Italia visto il parterre piuttosto provinciale e scarsino vi entra che è il meno peggio. Attualmente il presidente dell’Aspen e suo CEO è Walter Isaacson. È, nonostante la figura non conosciutissima al grande pubblico, l’ex presidente della CNN5, il canale televisivo statunitense più potente e conosciuto al mondo e che trasmette soltanto news 24ore su 24. Pensate, soltanto che quest’uomo ha rinunciato ad una delle poltrone più ambite del pianeta pur di sedere in cima all’Aspen Institute. Da ciò facilmente se ne deduce che tipo di importanza mondiale questa organizzazione possa racchiudere in sé. L’organizzazione, ufficialmente comincia il suo percorso italianonel 1984. Di forte caratterizzazione filo atlantica come tutte le organizzazioni del genere, l’Aspen Institute Italia ha due sedi: a Roma in Via SS. Apostoli 49, e a Milano in Via Vincenzo Monti 12. L’attuale presidente della sezione italiana è Giulio Tremonti, ex Ministro dell’Economia e della Finanza del Governo Berlusconi. L’Aspen Institute Italia riunisce il meglio dell’industria italiana, delle banche e delle assicurazioni, della cultura e della politica, non c’è settore che manchi all’appello: Generali, Fincantieri, Confindustria, la Rai, Mediaset, Pirelli, Poste Italiane, società Autostrade, Enel, Fiat. È un elenco incredibile, tutti i capitalistiitaliani, di ogni settore, convergono nell’Aspen Institute come Soci sostenitori. I loro, forse sarebbe meglio dire i nostri, danari, versati ufficialmente tramite una somma annuale uguale per tutti, vanno a finanziare le attività benefiche dell’organizzazione: non risulta che i suoi bilanci siano in rosso. Chi sono i socisostenitori? Sono quelli che mettono i soldi e vengono ammessi a far parte dell’associazione dal Comitato Esecutivo e sono rappresentati nel Consiglio Generale dell’Istituto dai propri Presidenti, Amministratori Delegati o Direttori Generali. Inoltre ci sono anche i cosiddetti Soci ordinari, personalità italiane e internazionali provenienti dal mondo accademico, politico, culturale e dei media, che sono chiamati a far parte dell’associazione dal Comitato Esecutivo, ufficialmente, per la loro fama accademica ed eccellenza professionale. Si legge sul sito italiano che essi: “Mettono a disposizione dell’Istituto la loro competenza e contribuiscono così allaqualità intellettuale e al patrimonio di idee dei programmi di Aspen, collaborando in forma gratuita alle diverse iniziative. Partecipano, tra l’altro, a gruppi di lavoro e task force che affrontano specifici problemi del panorama politico ed economico internazionale”. Insomma, che grande lungimiranza e altrettanto disinteressatoattaccamento al bene, dimostrano questi soci che non solo portano avanti le loro idee, ma si rendono disponibili ad appoggiare eventi specifici: “Su tematiche di rilevante interesse strategico”. Praticamente al di fuori di questo fumoso linguaggio semi esoterico, hanno il potere di veicolare ed indirizzare le politiche del nostro martoriato paese. Se, infatti, diamo una sbirciatina ai nomi dei soci ordinari, più che una serie di fantasiose congetture questa altro non è che la mera e dolorosa realtà oggettiva: oltre al nostro già citato Presidente del Consiglio Enrico Letta, troviamo nomi come: Mario Draghi, Giorgio Napolitano, Romano Prodi, MassimoD’Alema, Fedele Confalonieri, Lucia Annunziata, Paolo Mieli, Francesco Caltagirone, Cesare Geronzi, Franco Frattini, Gianfranco Fini, Gianni Letta, Luca Montezemolo, Sergio Marchionne, Emma Marcegaglia, Giuliano Amato, John Elkann, Lucio Stanca. Né possiamo sicuramente ipotizzare che sia, questo parterre nobile, soltanto il comitatopreposto per la divulgazione della cultura nei quartieri poveri o degradati d’Italia, Questi colori pastello, questo sfumato, questo modo melenso di presentare la loro organizzazione è tutto artatamente posto in essere, per addolcire e abbassare i toni sui loro reali fini: sembra tanto lo statuto del Rotary o del Lions Club! Veramente restiamo commossi da tanto disinteressato altruismo e possiamo star tranquilli che con un Capo di Governo di tal fatta siamo destinati sicuramente ad uscire da qualsiasi tipo di crisi ed imboccare sicuramente, con il sorriso sulle labbra, la via della totale rovina. Come sempre succede in questi casi chi è membro diuno di questi “particolarissimi club” finisce per essere cooptato poi in altre organizzazioni similari, Il buon Enrico Letta non fa eccezione ed infatti il suo nome compare anche tra i membri di altre due, forse più potenti, organizzazioni del pianeta. Una è la Trilateral Commission, gruppo di interessi e di orientamentoassolutamente ultra neoliberista, fondato nel 1973 da David Rockefeller, presidente della Chase Manhattan Bank, e da alti dirigenti mondiali, i soliti noti, tra cui Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, la vera e propria “mente” del progetto Trilateral. Il 31 maggio 2012 Letta ha anche presenziato alla annuale sessione del Bilderberg Group che si svolge, solitamente, in paesi che direttamente o indirettamente saranno coinvolti nei loro piani di “avanzamento” del grande progetto mondialista. L’anno scorso la riunione si è tenuta a Washington, la capitale degli USA, cliccando sul link http://www.informarexresistere.fr/2012/06/01/bilderberg-2012-lista-partecipanti/#ixzz2SVAEqI4l potrete avere un’idea del formidabile schieramento di personalità internazionali presenti. Pare ovvio che la partecipazione di Letta non fosse certamente di importanza capitale, ma caso davverobuffo, ora siede sulla poltrona di Primo Ministro. Mere coincidenze fortunate, per lui naturalmente! Comunque in questo ambito si creano le crisi economiche, militari e sociali. L’unico scopo è raggiungere l’obiettivo finale: il Governo Mondiale. È noioso ripetersi, ma purtroppo è questa la realtà effettuale. I leader politici vengono invitati per essere indottrinati e servire la causa, manipolando poi l’opinione pubblica a seconda della loro posizione specifica occupata ed impegnandosi, nel segreto e nel silenzio protetto dal clamore dei media, le fila delle loro oscure trame. In verità nellacapitale americana l’anno scorso la presenza di personalità politiche si era molto assottigliata mentre manager, grandi capitalisti industriali e giornalisti facevano la parte del leone. Indubbiamente, fa molto riflettere la presenza di un personaggio come Lilli Gruber, scelta per rappresentare il mondo dei media italiani: chissà quale compiti avrà ricevuto la rossa “pasionaria” di La7? Letta è ospite fisso, da moltissimo tempo, del Workshop Ambrosetti, “tradizionale” appuntamento che si tiene ogni anno dal 1975 nella prima settimana di Settembre nella Villa d’Este di Cernobbio, sull’incantevole scenario del lago di Como. L’evento, cui partecipano i massimi vertici della politica, della finanza e dell’industria internazionale, è secondo soltanto al Forum di Davos, annuale, equivalente appuntamento svizzero, organizzato dal prestigioso Studio Ambrosetti che si serve di una sua particolare branca la European House Ambrosetti. Le linee programmatiche del nuovo governo sarannosicuramente l’Agenda Monti ed il recentissimo documento redatto dai dieci Saggi insediati da Napolitano, ma il piatto forte saranno di sicuro le privatizzazioni, con le quali l’Italia sarà definitivamente spoliata dei suoi gioielli più preziosi e più redditizi: il neo Presidente del Consiglio lo spiegava al Direttore di Affariitaliani.it, Angelo Maria Perrino in margine al Festival di Lodi,quando era ancora soltanto vice segretario del PD: “Dobbiamo lavorare molto sul tema privatizzazioni. Il patrimonio pubblico è ancora enorme. Da una parte bisogna lavorare su una scatola finanziaria che valorizzi il patrimonio pubblico e grazie a questo riesca ad abbattere il debito. Bisogna, poi, cominciare a mettere nel mirino ulteriori privatizzazioni di pezzi di Eni, Enel e Finmeccanica”. “Non immediatamente perché il mercato non lo consente”. Un economista con i fiocchi e di una lungimiranza assoluta!! E così chiosava: “ … ma è possibile farlo perché oggi con la legge sulla golden share,che è vidimata da Bruxelles, possiamo difendere queste aziende da possibili attacchi ostili senza dover per forza avere, come Stato, il 30% di proprietà di quei gruppi. Avevamo già posto in Parlamento alcune cose e sarà uno dei temi del nostro esecutivo quando, mi auguro, che gli elettori ci faranno governare, perché non si può più caricare oltremodo sui cittadini il peso delrisanamento”. Le prime aziende ad essere cedute saranno, come da copione: Eni, Enel e Finmeccanica che di compratori a quattro soldi, s’intende, come già saggiamente fece Prodi con Nuovo Pignone e Credito Italiano, hanno tantissimi potenziali compratori soprattutto quei sant’uomini dei tedeschi che graziosamente, ci farebbero il piacere di passarci dei “loro preziosi” euro per permetterci di restare a fare i paria alla loro corte! Siamo ormai ridotti come dei mentecatti o come quei derelitti decerebrati che, nel libro Ritorno al Nuovo Mondo dell’Alto Iniziato Aldous Huxley, chiedevano al termine di una giornatadi fatica, soltanto “SOMA” una droga esilarante ed energetica che li ricaricava, facendoli scordare delle fatiche di oggi per poter affrontare il lavoro di domani! Ovviamente senza mai minimamente protestare. Ovviamente, in Italia, chiunque arrivi può imporre al Governo delle posizioni oltremodo pesanti: la Commissione Europea, la signora Cancelliera Merkel, madame Lagardepotentissima direttrice del FMI, da ultimo mancava anche l’Ocse che si è espresso per l’assoluta non cancellazione dell’IMU: domanda, ma a norma della ormai obsoleta Costituzione la sovranità non spettava al popolo? L’amara realtà è un’altra: è necessario scatenare il caos. Un caos essenziale e fondamentale per l’instaurazione di un ordine gerarchico selettivo, propedeutico ad un sistema totalitario assoluto e totalmente repressivo, che, tra poco vedrà la luce a livello planetario, dalle tenebre in cui è stato nascono, preparato e collaudato per decenni, in tutta la sua potenza. La distruzione totale saràl’anticamera dell’instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale, composto da superstati centralizzati in cui il ruolo del cittadino sarà esattamente quello del manzoniano “servire e tacer” senza nessuna possibilità di scampo. La nostra martellante propaganda di cinquant’anni ci ha staccato qualsiasi circuito reattivo e ci fa accettare dalle tasse, alle umiliazioni in sedeeuropea, alla tragicomica vicenda dei Marò e ci ha anche perfettamente educati alla servitù, mai nessuno tenterà di ribellarsi coscientemente: ci mancherebbe non è democratico ed antifascista!! Non si vede in quest’ottica come una dittatura altamente e marxianamente scientifica, citando ancora Aldous Huxley, dovrebbe crollare una dittatura integralmente scientifica ed assolutamente perfetta in quanto guidata dai migliori tra gli Illuminati. Questo tipo di totalitarismo capitalista e fabiano allo stesso tempo, è un sistema quasi perfetto, o al massimo leggermente perfettibile, ma la sua base resta quella espressadalla legge di Pareto: il 20% della popolazione deve detenere l’80% della ricchezza esistente sul pianeta in cui una massa di sub ominidi schiavi continueranno a produrre per loro: tutti i problemi sarebbero risolti: lavoro, delinquenza, proprietà, ricchezza benessere, mercato: sarebbero armonicamente intonati nel coro del Novus Ordo Seclorum! Tremo e nello stessomomento mi indigno, quando qualcuno davanti a questa congiuntura economica ed a questa prospettiva propone, nel miglior stile “sinistro” di aprire “un Forum per parlarne tra noi”: continuare cioè a parlarci addosso per cercare di fare cosa? Che tutto cambi restando identicamente uguale a prima: cioè parlarci addosso in un bla bla bla infinito tra le risate scroscianti dei vassalli del Signore di questo mondo. Uno dei pilastri portanti di questo sistema, siamo volenti o nolenti soltanto noi, che lo continuiamo ad alimentare quotidianamente con ogni nostro pensiero ed azione e con una marea di parole che crediamo,erroneamente amplificate dai social network. Se non agiamo adesso, ci troveremo dinanzi un futuro impensabile: schiacciati dal potere, in tutte le sue forme, non avremo da scegliere che tra il suicidio e la disperazione come profeticamente ci ammoniva il professor Giacinto Auriti. Le prime avvisaglie sono già nelle prime pagine dei telegiornali e dei grandi media. E perfinire tutti in Convento: allegria! L’Illuminatissimo signor Presidente così scrive su Tweet: “Domenica e lunedì 24 ore di ritiro, in un’abazia in Toscana, solo i ministri. Per programmare, conoscersi, “fare spogliatoio”. Ognuno paga per se (senza accento naturalmente)”. Ha fatto o no le migliori scuole del mondo, volete che sappia di italiano? Provinciali, retrogradi nazionalisti! Nella home page della stupenda struttura in Val d’Orcia, prima di tutto si deve scegliere, al suono di una melodia rilassante, la lingua che dia tutte le istruzioni per l’uso: in verità per prima compare la bandierina inglese poi, per icafoni, anche quella italiana: come purtroppo succede spesso, il target di riferimento può essere formato anche da poveri zoticoni italiani, ma ben forniti di portafoglio, quindi sopportabili. Poi si legge con interesse: “Entrare nei nostri silenzi, incontrarsi, studiare, conoscere, lavorare insieme e … trovare emozioni.” Adesso pensate al rumore di fondo della TVche deve stare sempre accesa, tanto fa compagnia, come dice mia madre; al casino infernale delle discoteche, o alle bolge dantesche che sono diventati gli stadi di calcio e vi renderete conto che qui siamo in un altro mondo: nel mondo e del mondo allo stesso tempo. Sembra, nonostante tutto, che siano finiti i bei tempi di quando il Professor Prodi radunava tutti, a porte chiuse, a Caserta o in altro residence a San Martino in Campo vicino a Perugia e faceva trovare qualche regalino per gli ospiti ministeriali, cosucce come una stilo d’oro, tanto per fare un presente. Ora un altro Professorone ha fatto scuola e siimpone sobrietà: quindi “Ognuno paga per se”, tanto poi basta girare la nota spese al ministero di competenza ed il gioco è fatto. Unicuique suum. Ma non dobbiamo mai fermarci alla superficie delle cose, occorre andare a fondo: ricordate che in certi ambiti la forma è sostanza, come nel rito! Pensate che la scelta di una abazia “del 1085 e che rappresenta un esempio delmonachesimo italiano e toscano” sia casuale? Ma assolutamente no! Intanto non sapevo che esistesse un monachesimo toscano, anche io ho fatto studi antiquati come il Liceo Classico di quarantacinque anni fa, dove certe sostanzialità non venivano insegnate: ricordo vagamente dell’esistenza di un monachesimo occidentale e di uno orientale molto distanti tra loro, che quello occidentale fu praticamente messo su da un certo San Benedetto da Norcia, uno di quei “santucoli”, sconosciuti ai più, di cui la Chiesa Cattolica si serviva, ora grazie a Dio non c’è più bisogno di Santi, per darsi lustro e fare “squadra”. Ma dimonachesimo “toscano” scusate l’ignoranza, non avevo mai sentito parlare. Intanto vediamo chi sono i proprietari: la famiglia Tagliapietra uno dei cui eredi è sposato con niente meno che Marsilia Cuccia la nipote del Grande e Silente Timoniere di Mediobanca che parlava con gli occhi ai suoi attentissimi sottoposti. Ma Cuccia non era quello che si incontrava in un’altraabazia, quella di Chiaravalle, vicino a Milano, con i suoi strettissimi amici una volta l’anno per assistere ad una messa, in latino, in suffragio di un certo Raffaele Mattioli, un amico ed un maestro, allevatore di banchieri e di politici polivalenti di razza? E Raffaele Mattioli non è forse sepolto nella stessa abazia nel sepolcro dell’eretica Guglielmina la Boema? Tutte strane e casuali coincidenze, dai può succedere ogni tanto. Poi scopriamo che in questa oasi di 800 ettari si fa “Team Building” cioè si forgiano i gruppi, come dicono gli americani: chapeau! Diciamocelo fuori dai denti: siamo molto piùtranquilli così no? Dopo una riunione di spiriti magni, come questa, l’Italia non avrà più problemi assolutamente! Non solo nella stupenda costruzione medioevale, apprendiamo con sollievo, che tra il 9 ed 10 giugno il Laboratorio Yoga, (poteva mancare in questo gioiello?) organizzerà un fine settimana “in armonia con se stessi e con la natura” essenziale per il caotico mondodi oggi; addirittura, poi, evento da non perdere, il 21 giugno ci sarà un simposio dedicato a Dante Alighieri e la musica indiana. Notissimi i legami tra le due cose!! Qui si fanno audaci equilibri più avanzati di morotea memoria! Il mondo, da sempre conosce l’esoterismo dantesco ed i suoi stretti legami con le metafisiche orientali e le musiche che questi esoterismi caratterizzano e sprigionano! Non poteva mancare di certo la ciliegina sulla torta: questo ritiro è stato benedetto ed anche vivamente consigliato e sollecitato, dal Reich Kanzler Frau Merkel: noblesse oblige, si poteva rifiutare un invito cosìaltruisticamente pressante e provvido? Come vedete noi siamo il popolo e la casta politica più integrata in questa Europa di Banksters ed appena c’è qualche cambiamento politico, si deve correre ad omaggiare chi graziosamente governa anche i nostri insani e deliranti sogni: il popolo italiano non ha nessun potere e l’investitura deve, per forza, venire da chi il potere lodetiene davvero e ci permette molto magnanimamente di poter restare alla sua corte per fedelmente servire ed essere insultati come i giullari medioevali: a noi sta benissimo così, anzi è troppo poco!! Luciano Garofoli NOTE 1 Vi consiglio, per chi vuole o è in grado di farlo di andarvi a vedere un filmato postato su Youdem redazione Web su Youtube: Intervento di Bersani sul futuro dell’Europa tenuto al German Council on Foreign Relations: davvero esilarante, il solito modo di parlare semifunereo, la cadenza emiliana sempre marcata, il sacro ricordo della II guerra mondiale, la venerazione per Ciampi, ilrichiamo ai figli che possono vivere e studiare in Europa dove vogliono e magari essere costretti ad emigrare in Germania per trovare uno straccio di lavoro, ma noi italiani siamo sempre più europeisti di tutti che bello!!! Il, pericolo dell’Ungheria di Orban, di Alba Dorata in Grecia dei populismi che voglio far saltare questa meravigliosa costruzione. Una sequela di luoghi comunie di banalità senza frontiere. Il capo della sinistra ex comunista italiana che propone riunioni congiunte del parlamento italiano e tedesco (chissà poi solo di quello: noblesse oblige?) indovinate per fare che? DISCUTERE, chiacchierare amabilmente sui massimi sistemi. Forse adesso capirete meglio per quale motivo i milieux che contano puntavano tutto su questo campione del riformismo. Era garanzia della totale disintegrazione del sistema Italia. E colui che avrebbe spianato la strada, stendendo un tappeto rosso, alle loro mire su tutto quello che di economicamente rilevante esiste nel nostro paese e chepotesse essere acquistato con quattro soldi a prezzi di assoluto realizzo. Del resto non era sempre lui che faceva le famose “lenzuolate” di liberalizzazione che l’Italia aspettava da sempre? Abolizione delle licenze per i taxisti, libera vendita di parafarmaci all’interno delle Coop: tutti i problemi erano stati risolti. E poi con l’avallo ed il placet del sempre sorridente ProfessorMortadella Romano Prodi! Meglio non dimenticare certe cose quando certi ambienti suonano e cantano come sirene promettono ancora una volta l’Eden in terra italica, dopo aver preso, per l’ennesima volta, gli ordini dai padroni del vapore! 2 Fonte Il Sole 24 Ore. 3 E’ davvero curioso come la prima cosa che tutti questi riservatissimi club evidenzino è quella di essere “enti no profit”. Bontà loro: in realtà in certe loro riunioni e sedi si decidono i destini economici dei popoli, la loro sorte politica, la stessa loro sopravvivenza. Di certo che non ci rimette mai solo i loro membri che in barba acrisi, rovesci economici, crolli di borse, guerre sono gli unici che ne traggono profitti sostanziosi: quindi non profit solo perché i circoli direttamente non ne traggono vantaggi specifici e, per la loro sopravvivenza, dipendono dalle turgide mammelle esentasse delle grandi fondazioni soprattutto americane. 4 Attenzione alla terminologia usata: umanistici non umani, quindi l’area diprovenienza di riferimento è chiaramente massonica o massonicheggiante. 5 La Cnn ha, ovviamente, una sede anche in Italia, dove si appoggia al gruppo editoriale L’Espresso S.p.a., cui azionista di maggioranza è l’ingegner Carlo De Benedetti, che controlla una parte non indifferente del potere mediatico italiano. A proposito di media, uno dei giornalisti di matrice CNN in Italia è Alessio Vinci, che ha preso il posto di Chicco Mentana nella conduzione della trasmissione Matrix (in effetti quel “grazie, buona notte ed arrivederci presto” che recita alla fine di ogni puntata, da qualche parte doveva purvenire!!).
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