DOSSIER
"La sanità senza frontiere".
 











Il prossimo 25 ottobre scade il termine per il recepimento da parte degli Stati membri della Direttiva europea 2011/24/UE sull’assistenza sanitaria transfrontaliera. Ma a quella data nulla cambierà perché ci sarà tempo fino al 4 dicembre in base a quanto previsto dalla legge delega che ha recepito la direttiva.
La direttiva, in ogni caso, ha l’obiettivo di istituire uno scenario giuridico chiaro relativamente ai diritti dei pazienti (libera scelta del luogo di cura) e al loro accesso e rimborso all’assistenza sanitaria al di fuori del proprio Paese per cure, esami, consulenza, chirurgia e quant’altro. Ma non per tutte le cure: la normativa infatti non si applica ai servizi di assistenza di lunga durata, ai trapianti d’organo e ai programmi pubblici di vaccinazione.
Le precisazioni del Ministero della Salute sulle scadenze
Ma perché il timing del 25 ottobre non sarà rispettato? Il motivo ce lo ha spiegato il Ministero della Salute che ci hafatto sapere come “la Direttiva 2011/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera, entrata in vigore il 25 aprile 2011, all’art. 21 prevede che gli Stati membri dovranno farsi carico dell’onere di renderla operativa entro due anni  (il termine fissato è il 25 ottobre 2013), adottando a tal fine tutte quelle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per raggiungere gli obiettivi da essa sanciti. Il 4 settembre 2013 è entrata in vigore la legge 6 agosto 2013, n.16 recante “delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea-Legge di delegazione europea 2013”, avviando così la fase conclusiva dell’iter formale di recepimento della Direttiva 2011/24/UE, che avverrà tramite decreto legislativo, da adottarsi entro e non oltre tre mesi dall’entrata in vigore della suddetta legge di delegazione.L’individuazione del temine per l’emanazione del Decreto legislativo di recepimento della direttiva UE è previsto dall’art. 31, comma 1, della legge n.234 del 24 dicembre 2012 recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione Europea”.  Il citato articolo dispone  che il Governo debba adottare i decreti legislativi entro il termine di due mesi antecedenti a quello di recepimento indicato dalla Direttiva (nel caso della Direttiva 2011/24/UE, il termine era il 25 agosto 2013). La detta norma prevede, altresì, che ove il menzionato termine fosse scaduto all’entrata in vigore della legge di delegazione europea (la legge di delegazione europea n. 96/2013 è entrata in vigore il 4 settembre 2013) oppure scada nei tre mesi successivi, il Governo adotta il decreto legislativo di recepimento entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della medesima legge, vale a dire entro il 4 dicembre 2013”. Eper tutto ciò nella Legge di Stabilità è previsto uno stanziamento per il 2014 di 121 milioni di euro.
Quindi, la ‘dead line’ su cui concentrarci sarà per il 4 dicembre. L’Italia, come del resto la maggiore parte degli altri Paesi Ue coinvolti, è in grave ritardo rispetto all’applicazione delle misure previste dalla direttiva. Per cui, fino al prossimo 4 dicembre restano salvi i diritti previsti dai regolamenti che già oggi disciplinano l’assistenza al di fuori dal proprio Stato di appartenenza, ma la direttiva Ue non potrà essere applicata. I nodi da sciogliere, almeno per il nostro Paese sono infatti ancora molti. C’è il tariffario ancora da definire, il sistema per le autorizzazioni non si sa ancora se verrà adottato o no, i certificati e le fatture non sono ancora stati tradotti in tutte le lingue Ue. Nebulose permangono anche in merito alla definizione dei punti di contatto e rispetto al censimento delle strutture che erogheranno l’assistenza sanitaria. Insomma, tanti tasselliin sospeso che hanno anche portato le Regioni a chiedere al Governo un decreto legge ad hoc. E che soprattutto fanno emergere come sul tema le Istituzioni, al di là degli annunci, si siano mosse con estremo ritardo.
Ma ecco come funzionerà (o come dovrebbe farlo) la nuova direttiva quando sarà a regime e, soprattutto cosa cambierà per il cittadino.
La prima domanda a cui rispondere è: perché l’esigenza di una nuova direttiva? Attualmente è già possibile fruire di prestazioni sanitarie in uno Stato diverso dal proprio attraverso due regolamenti: 883/04 e 987/09. Le due norme, però, garantiscono l’assistenza a determinate categorie protette (per esempio i cittadini che si recano all’estero per turismo, studenti, lavoratori, pensionati, familiari di lavoratori residenti) e per specifiche situazioni (temporaneo soggiorno o residenza all’estero per motivi di lavoro, trasferimento all’estero per cure). In pratica i regolamenti garantiscono l’assistenza a chi si trova già in un Paesediverso da quello di affiliazione, con l’eccezione del trasferimento per cure di alta specializzazione che hanno una modalità particolare. Ma i Regolamenti, e soprattutto l’883/04 sono risultati essere molto controversi, e oggetto di molte pronunce della giustizia europea, soprattutto per quanto riguarda l’obbligo di autorizzazione preventiva e in tema di rimborsi. E anche per queste ragioni è nata la nuova Direttiva che, però, va specificato, non sostituirà i regolamenti esistenti, ma andrà ad affiancarli.
Cosa prevede la nuova direttiva? Come dicevamo la Direttiva è volta a garantire il diritto di libera scelta del luogo di cura nell’ambito dei Paesi Ue. Ed è questa la principale novità, a prescindere dagli aspetti tecnici. Ma l’applicazione di questo principio non vuol dire che non vi siano dei ‘paletti’ e che soprattutto vi sia una sorta di “tana libera tutti”. La normativa prevede infatti una serie di strumenti che dovranno essere regolamentati e recepiti dagli Stati membri.Insomma, potremmo andarci a far curare fuori ma per aver diritto al rimborso delle spese bisognerà rispettare delle regole.
E quali sono questi strumenti che dovranno essere recepiti dagli Stati? I punti cardine sono essenzialmente tre: Autorizzazione, Criteri di rimborso e Accordi di confine. Accanto a questi la direttiva affronta poi anche altri aspetti legati all’assistenza sanitaria: Libera circolazione dei professionisti, Tariffe, Prescrizione farmaci e presidi, Reti di riferimento europee (centri di eccellenza e malattie rare), Valutazione delle tecnologie, Sistemi informativi, Punti di contatto.
Ma vediamo i punti principali:
Autorizzazione preventiva. Quando serve e come funziona
Per evitare il rischio di destabilizzare il sistema (a livello finanziario e di programmazione) con fughe in massa di cittadini verso Paesi più sviluppati in ambito sanitario, la direttiva prevede che ogni Stato possa (non vi è obbligo) disporre un sistema di autorizzazione preventivaattraverso la formulazione di un elenco dettagliato delle prestazioni che non prevedono l’autorizzazione. Autorizzazione che, però, “non può costituire un ostacolo ingiustificato alla libera circolazione dei pazienti”. In ogni caso, l’autorizzazione preventiva potrà essere obbligatoria (l’Italia non ha ancora deciso il da farsi, ndr) per l’assistenza che comporta il ricovero del paziente per almeno una notte; nei casi in cui è richiesto l’utilizzo di una struttura o apparecchiature mediche altamente specializzate e costose; e quando è prestata da un soggetto sanitario che suscita preoccupazioni in merito a qualità e sicurezza.
Ma a prescindere da ciò l’autorizzazione preventiva può essere rifiutata se: il paziente sarà esposto a un rischio per la sua sicurezza ritenuto inaccettabile; il prestatore di assistenza suscita preoccupazioni su qualità e sicurezza; l’assistenza può essere erogata sul proprio territorio entro un termine giustificabile dal punto di vista clinico. Da notarecome l’autorizzazione preventiva non può essere rifiutata se sono soddisfatte le condizioni previste dal regolamento 883/04.
E quali sono le procedure che vanno rispettate? Le modalità per la richiesta e per il rilascio dell’autorizzazione dovranno prevedere: la prescrizione su ricetta Ssn; l’indicazione diagnostica terapeutica, il luogo prescelto per la prestazione e l’importo che verrà rimborsato al richiedente.
Criteri di rimborso
In primis la direttiva dispone che sia lo Stato membro a determinare a livello locale, regionale e nazionale l’assistenza sanitaria per cui una persona assicurata ha diritto alla copertura dei costi e il loro livello di copertura.
In seconda istanza è previsto che i costi siano rimborsati al paziente o direttamente pagati allo Stato membro di affiliazione come se l’assistenza sanitaria fosse stata prestata sul loro territorio senza che la copertura superi il costo effettivo stabilito. Ovvero, tutti i costi per le prestazioni ricevute in unaltro Stato che superano il costo previsto nel Paese di residenza, sono a carico del singolo. In ogni caso, lo Stato membro può rimborsare (è un opzione non un obbligo) il costo eccedente, così come può decidere di rimborsare le spese di alloggio e di viaggio o i costi supplementari sostenuti a causa di una disabilità se questi sono sufficientemente documentati.
Per le cure non ospedaliere, i pazienti saranno in grado di farsi curare all’estero senza autorizzazione preventiva o formalità e chiedere il rimborso al loro ritorno a casa. Da notare come anche con l’introduzione della direttiva, il regolamento 883/04 (che prevede che i costi ragionevoli di viaggio siano rimborsati al paziente anche se i tempi di pagamento sono spesso ‘biblici’) continuerà in ogni caso ad esistere e potrebbe essere che i pazienti valutino più favorevole l’applicazione delle regole già esistenti rispetto a quelle della nuova direttiva.
Accordi fra Stati e Punti di contatto nazionali
A prescinderedelle misure su autorizzazioni e rimborsi che come si è visto sono strettamente legati, anche per la mobilità internazionale sono auspicati accordi fra gli Stati. Gli Stati membri devono infatti cooperare per agevolare l’attuazione della direttiva. In particolare, dovranno sostenere la creazione di reti di riferimento europee di fornitori di assistenza sanitaria allo scopo di contribuire a promuovere la mobilità degli esperti in Europa e l’accesso a cure altamente specializzate, grazie alla concentrazione e all’articolazione delle risorse e delle competenze disponibili. Ogni Stato, in sostanza, dovrà creare un Punto di contatto nazionale,dove il pubblico può trovare informazioni su quale tipo di assistenza è disponibile e in quale Paese europeo e a quale costo. Questi punti di contatto forniranno ai pazienti informazioni sui propri diritti, così come sugli aspetti pratici dell’assistenza sanitaria transfrontaliera (ad esempio su chi fornisce assistenza sanitaria, sulla qualità esicurezza delle cure, sull’accessibilità degli ospedali per le persone con disabilità, per consentire ai pazienti di compiere una scelta informata.
Prescrizioni, Malattie rare ed E-health
Gli Stati membri dovranno riconoscere la validità delle prescrizioni mediche rilasciate in altri Stati membri, se i medicinali prescritti sono autorizzati sul loro territorio. Sarà necessario anche adottare misure volte ad agevolare il riconoscimento reciproco e la verifica dell’autenticità delle prescrizioni da parte dei professionisti della sanità.
Gli Stati sono inoltre incoraggiati a collaborare nell’ambito del trattamento delle malattie rare grazie allo sviluppo di capacità di diagnosi e di cura.
La direttiva prevede la creazione di una rete di autorità nazionali responsabili dell’assistenza sanitaria on line al fine di rafforzare la continuità delle cure e garantire l’accesso a un’assistenza sanitaria di qualità. Infine, la creazione di una rete delle autorità o degli organiresponsabili della valutazione delle tecnologie sanitarie contribuirà a facilitare la cooperazione tra le autorità nazionali competenti in questo settore.
Risarcimento danni. La direttiva affronta anche questa questione e dispone come essenziale la previsione di obblighi comuni chiari in relazione alla previsione di meccanismi volti ad affrontare i casi di danni derivanti dall’assistenza sanitaria, così da evitare che la mancanza di fiducia in questi meccanismi costituisca un ostacolo al ricorso all’assistenza sanitaria transfrontaliera. I sistemi di risarcimento dei danni nello Stato membro di cura dovrebbero far salva la possibilità per gli Stati membri di estendere la copertura offerta dal proprio sistema nazionale ai pazienti del proprio paese che si avvalgono di un’assistenza sanitaria all’estero, quando il ricorso alle cure in un altro Stato membro sia più opportuno per il paziente stesso.
“Un decreto legislativo che colga l’occasione per ridurre le differenze a livelloregionale e che, in primo luogo, garantisca l’assistenza diretta ai cittadini per evitare che la Direttiva sulle cure transfrontaliere diventi una opportunità solo per ricchi. E soprattutto chiediamo un atto formale di coinvolgimento della nostra associazione nell’implementazione della Direttiva”, è quanto ha chiesto oggi Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva nel corso dell’evento “Cure senza frontiere: da oggi si può?”. L’evento è stato promosso dalla associazione in merito all’applicazione della Direttiva europea sulle cure transfrontaliere che entra in vigore domani 25 ottobre in tutti gli Stati membri della Ue e che l’Italia si è impegnata a recepire entro il 4 dicembre.
“La Direttiva ha un impianto positivo, e può diventare uno strumento non solo per curarsi viaggiando, ma per pretendere che in ogni luogo di cura, in ogni Stato, Regione o Asl, ci sia la possibilità di avere uguali diritti all’accesso alle cure,all’informazione alla libera scelta, alla innovazione, alla qualità e sicurezza delle cure, al reclamo. È una sfida dunque per tutti, e lo è anche per l’Italia che deve rendere fruibili ai cittadini, e non solo agli addetti ai lavori, i dati sulla qualità e la sicurezza delle strutture, contenuti ad esempio nel programma Esiti di Agenas e nello stesso Audit civico del nostro Tribunale per i diritti del malato”.
A che punto siamo, in Italia e negli altri Stati (vai a dossier completo)
Italia: il decreto legislativo di attuazione della Direttiva è ancora in itinere, se ne prevede l’emanazione entro il 4 dicembre. E’ stato attivato il Punto di Contatto Nazionale (PCN), presso il Ministero della Salute, ma lo stesso non è ancora attivo. Non è presente alcuna informazione sulla presenza e i riferimenti del PCN, né una pagina internet dedicata. Lo stesso dicasi per i punti di contatto regionali, che sembrerebbero previsti in Veneto, Liguria, Trento e Valle d’Aosta. Le associazioni dipazienti e cittadini non sono state, al momento, coinvolte e non sono stati individuati i centri di eccellenza del nostro Paese.
Dalla rilevazione effettuata tramite le associazioni europee aderenti alla rete europea di Cittadinanzattiva, ACN (Active citizenship network), risulta che:
Leggi di recepimento sono in discussione leggi nazionali di applicazione della Direttiva in Austria, Croazia, Estonia, Francia, Malta, Norvegia. La Germania ha affermato che non farà una legge ad hoc, perché molte delle previsioni della Direttiva sono già contenute in altre leggi o atti vigenti.
Coinvolgimento formale delle associazioni di cittadini: hanno effettuato consultazioni pubbliche formalizzate l’Austria, l’Estonia, la Francia e la Norvegia.
Punto di contatto nazionale: è per il momento attivo solo in Lettonia, anche se fornisce poche info ai cittadini.
Le organizzazioni europee sono preoccupate che la Direttiva lasci agli Stati un eccesso di discrezionalità e temono che i continuitagli alla sanità pubblica rendano di fatto irrecepibili alcuni principi della stessa. Inoltre, disapprovano che il cittadino debba anticipare i costi della prestazione e che sia sostanzialmente solo nel processo di scelta ed orientamento. Inoltre, negli Stati più poveri o al alto impatto turistico, si teme che la mobilità vada a svantaggio dei residenti, per il rischio dell’aumento dei tempi di attesa e di un indebitamento del proprio servizio sanitario.
“I problemi che possono derivare dalla implementazione della Direttiva sono di due ordini”– continua Aceti. “In primo luogo, rischi di natura economica per il cittadino: veniamo da un sistema di rimborso che, almeno sulla carta, dà assistenza diretta a tutti quelli che scelgono di andare all’estero per curarsi e alcune regioni coprono tutte le spese; con la direttiva invece, si rischia un rimborso solo dopo aver sostenuto la prestazione  e, inoltre, lo stesso potrebbe essere parziale, cioè senza spese di soggiorno e coneventuali possibili differenze tra costo della prestazione nel Paese di residenza e costo nello Stato “curante”, differenza che peserebbe sulle tasche dei cittadini. In secondo luogo, rischi a carico degli Stati: da una parte per i verosimili aumenti del contenzioso derivanti dall’applicazione dell’assistenza indiretta, dall’altra per ricoveri inappropriati determinati dal fatto che i cittadini, soprattutto quelli affetti da malattie croniche e rare, potrebbero scegliere i paesi all’avanguardia nella prescrizione di farmaci innovativi di cui, secondo la nuova direttiva, potrebbero usufruire in ambito ospedaliero e ambulatoriale. In entrambi i casi, l’Italia è un paese a rischio: perché il cittadino potrebbe subire anche a livello europeo le storture del nostro federalismo regionale e perché, in riferimento al mercato dei farmaci, sappiamo che nel nostro Paese trascorrono due anni in media dall’approvazione di un nuovo farmaco da parte dell’Ema alla sua effettiva disponibilità per ipazienti italiani”.
Curarsi oltre confine: cosa succede oggi in Italia, dalle segnalazioni giunte al PIT salute
Nel corso del 2012, il Tribunale per i diritti del malato ha ricevuto 269 segnalazioni sul tema delle cure all’estero. Oltre un terzo dei cittadini (36%) ha lamentato la mancata o ritardata autorizzazione da parte dell’Asl di residenza; un altro 27% segnala eccessiva burocrazia o la carenza di informazioni sulle procedure da seguire; il 23% il rifiuto all’autorizzazione; il 13% problemi relativi al rimborso delle spese. I cittadini, in alcuni casi, hanno dovuto accedere a prestiti e finanziamenti per poter anticipare le spese di viaggi o far fronte al ritardo nel rimborso. E gli aspetti legati al costo delle cure all’estero, come anticipato, non sembrano “sanati” dalla nuova Direttiva: anzi, il timore che gli ostacoli si spostino dal versante amministrativo-burocratico a quello economico appare realistico. Sempre dalle segnalazioni, emerge che il 35% dei cittadini vaall’estero per effettuare interventi chirurgici di alta specializzazione; il 29% per accedere a terapie innovative; il 18% per avere diagnosi certa; il 13% per effettuare visite specialistiche; il 5% per sottoporsi ad un trapianto. Le cure all’estero sono richieste più frequentemente da pazienti con patologie oncologiche (32% dei casi giunti al Tdm); con patologie neurologiche (30%), con malattie rare (17%), con problemi cardiologici (13%) o di natura ortopedica (8%).









   
 



 
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