ILVA, L’acciaieria degli orrori
 











Nichi Vendola definisce l’accusa di concussione mossagli dalla Procura di Taranto per il disastro ambientale dell’Ilva come «la più grande ingiustizia della mia vita». Può darsi. Non sarà facile alla magistratura dimostrare che il presidente pugliese boicottasse l’operato della sua Agenzia per la protezione ambientale, al fine di favorire i padroni dell’acciaieria; tanto più che a negarlo è lo stesso responsabile dell’Arpa, Giorgio Assennato, cioè il presunto concusso.
Ma il dramma umano di questo dirigente della sinistra impegnato nell’ardua impresa di far coesistere produzione industriale e bonifica del territorio, ben prima dell’indagine giudiziaria si era già consumato nella sconfitta politica che l’ha preceduta. Vendola ha sbagliato valutazione sulla natura del suo interlocutore: i Riva non erano capitalismo illuminato, bensì imprenditori rapaci e spregiudicati. Questo dato di fatto emerge inequivocabile dall’inchiesta tarantina, con i suoi53 indagati: una ragnatela pervasiva tessuta dai fiduciari di questa famiglia bresciana che dall’Ilva ha tratto profitti miliardari e che con pochi spiccioli addomesticava il consenso dei poteri locali. Amministratori, sindacalisti, funzionari, parroci indotti a considerare un male minore la violazione delle norme antinquinamento, e a fare pressione per l’ottenimento di sempre nuove deroghe e autorizzazioni benevole.
Cosa c’entra Vendola con tutto questo? Certo non gli si può addebitare il degrado della classe politica tarantina, guidata per anni dal malavitoso Giancarlo Cito e poi da una giunta di destra che ha portato il Comune alla bancarotta. Ma è stato in quel contesto disastrato che Vendola si è illuso di trovare nella potenza dei Riva, forse nel loro interesse al risanamento degli impianti, una via d’uscita. Così ai tarantini che cominciavano a ribellarsi, dentro e fuori la grande fabbrica, è parso come se la sua necessità di mediare con la grande impresa del Nord, e digarantirle la continuità produttiva, costringesse anche Vendola a tessere relazioni informali col potere aziendale; perfino a dichiararsi infastidito dagli eccessi di severità della magistratura e dell’Agenzia per la protezione ambientale (Arpa).
Nessuno insinua che fosse mosso da convenienze illecite. Semmai che sovrastimasse le sue capacità di relazione, mentre a Taranto le condizioni di vita degeneravano fuori controllo. La spasmodica ricerca di un compromesso, ai margini della legge, fra garanzia di continuità produttiva e rispetto delle norme sulle emissioni, concedeva ai Riva una rispettabilità che i tarantini più avvertiti non potevano più riconoscere loro. Questo è l’errore che ha isolato Vendola dai movimenti di protesta cresciuti in città a sostegno dell’azione della magistratura.
E siccome in precedenza un errore simile Vendola lo aveva già compiuto assegnando a don Luigi Verzè, senza gara pubblica d’appalto, l’incarico di costruire un nuovo ospedale a Taranto, talereiterazione sollecita un interrogativo: non avrà pesato nelle sue scelte il bisogno di presentarsi come “comunista di mondo”, capace di intrattenere buoni rapporti con la controparte? So bene che il suo stile di vita è integerrimo, e che in lui la virtù della gentilezza non si è mai tramutata in mondanità salottiera. Ma temo che la reciproca incomprensione fra Vendola e la protesta di Taranto scaturisca proprio da questa esibizione velleitaria di impotenza della sinistra di governo. Non a caso alle elezioni del febbraio scorso nella città dell’Ilva sia la destra che i grillini hanno sorpassato il centrosinistra.
La situazione è precipitata quando la magistratura tarantina ha sequestrato l’area a caldo dell’acciaieria e ha imposto la chiusura delle lavorazioni fuorilegge, rifiutando, in nome dell’obbligo costituzionale della tutela della salute, le sollecitazioni a rinviare e a soprassedere che le giungevano dall’alto. Ricordo il titolo di un giornale di destra, dedicato in queigiorni dell’agosto 2011 alla gip Patrizia Todisco: “La zitella rossa che licenzia 11 mila operai Ilva”. Sempre allora la direzione aziendale incoraggiò le maestranze a manifestare in difesa degli impianti, esasperando la spaccatura interna ai sindacati così come la lacerazione fra lavoratori impauriti e cittadini ormai consapevoli dell’alto tasso di mortalità tumorale. Ma in quel frangente drammatico fu l’intero establishment nazionale a esecrare la Procura di Taranto come un covo di irresponsabili. Solo perché applicava la legge. Tanto che il recente congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati ha denunciato «l’ideologia del mercato quale unica salvezza» con cui si è preteso di calpestare la «effettività dei diritti».
Sono sicuro che Vendola condivide questa amara constatazione dell’Anm. Ma allorquando il dilemma si è posto in tutta la sua drammaticità a Taranto, la sua leadership era già compromessa.
Gad Lerner, la Repubblica,
Quindici operai dell’Ilva questa mattinasono stati portati in infermeria dopo aver avvertito sintomi di intossicazione per aver inalato fumi che si sono sprigionati dalla Siviera di emergenza della Colata a caldo dell’Acciaieria 1, probabilmente a causa di un incendio. Lo rende noto il coordinatore provinciale di Taranto dell’Usb (Unione sindacale di base) Francesco Rizzo. Il rappresentante dell’Usb ha giudicato ’’grave l’atteggiamento di alcuni responsabili di reparto che hanno chiesto ai lavoratori di continuare a lavorare nonostante l’accaduto e senza aver effettuato le opportune verifiche’’. In questo momento, ha precisato Rizzo, gli operai si trovano nell’infermeria dello stabilimento Ilva ’’e siamo in attesa di conoscere le condizioni e lo stato di salute dei compagni di lavoro. Come Usb abbiamo richiesto l’intervento urgente degli ispettori dello Spesal e della Asl di Taranto al fine di accertare le reali cause dell’incidente e le eventuali responsabilità’’.
Questo "incidente", tuttavia, non è una novitànell’acciaieria degli orrori. La sera del 19 ottobre scorso - come ricorda ancora l’Unione sindacale di base - altri sei dipendenti del Siderurgico, mentre erano al lavoro nell’area del CCO1, hanno avuto grosse difficoltà di respirazione in seguito all’inalazione «di monossido di carbonio e chissà quali altre sostanze, sprigionate nel capannone senza che nessun tipo di allarme abbia avvertito i lavoratori». Gli operai, soccorsi nella infermeria, non avevano riportato gravi conseguenze. Rizzo osserva che «l’Acciaieria e le Colate continue 1 e 5 necessitano di grandi e immediati interventi, partendo dalla salvaguardia della salute e sicurezza di chi ci lavora, che allo stato delle cose non viene garantita».
L’ennesimo incidente arriva in un momento difficile per il colosso siderurgico. Questa è infatti la settimana decisiva per le scadenze giudiziarie e ambientali che si intrecciano.
Infatti sono stati notificati gli avvisi di conclusione dell’indagine relativa al reato didisastro ambientale dello stabilimento siderurgico, inchiesta deflagrata a luglio del 2012 e che in un anno ha visto sequestri e arresti, gli ultimi dei quali avvenuti lo scorso settembre (cinque cosiddetti "fiduciari" di Riva, la struttura di "governo parallelo" della fabbrica attraverso la quale la famiglia Riva si assicurava il controllo delle attività).
Cinquantatre informazioni di garanzia, e tra i nomi degli indagati spunta anche quello di Nichi Vendola. Quello del governatore pugliese è l’ultimo scalpo eccellente dell’inchiesta sull’Ilva di Taranto. Anche Vendola, infatti, è tra i destinatari degli avvisi di conclusione delle indagini, con valore di informazione di garanzia, firmati dal pool guidato dal procuratore Franco Sebastio. Vendola è rimasto impantanato nell’indagine sul disastro ambientale contestato ai vertici della grande fabbrica dell’acciaio per le presunte pressioni su Giorgio Assennato, il direttore di Arpa Puglia. Secondo gli investigatori, il presidentepugliese avrebbe puntato i piedi con il direttore dell’Arpa, indicando una linea morbida da seguire con il colosso siderurgico accusato di aver avvelenato Taranto. Un’accusa che si basa sul contenuto di intercettazioni telefoniche, ma che dai diretti interessati è già stata respinta. Fatto sta che Vendola fa parte del piccolo esercito di inquisiti con in prima fila la famiglia Riva, sepolta da accuse gravissime, a cominciare da quella di associazione per delinquere.
Nell’inchiesta risultano coinvolti anche il sindaco Ippazio Stefàno, il parlamentare di Sel, Nicola Fratoianni (all’epoca assessore regionale), l’attuale assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro, il consigliere regionale del Pd Donato Pentassuglia.
Le comunicazioni giudiziarie, infatti, sono in corso di notifica all’anziano patriarca dell’acciaio Emilio Riva e ai suoi figli Nicola e Fabio. Nel corso della burrasca giudiziaria per tutti scattarono i mandati di cattura. Emilio e Nicola finirono ai domiciliari,mentre Fabio Riva è scampato al carcere lo scorso novembre perché al momento della retata si trovava in Inghilterra, dove vive attualmente. I tre magnati dell’acciaio sono indicati come i responsabili del gravissimo inquinamento ambientale di Taranto, causa di "malattia e morte". Insieme a loro nel calderono sono finiti uomini di primo piano dello stabilimento e fiancheggiatori annidati anche nelle istituzioni.
Secondo i giudici, un ruolo di primissimo piano nel dramma di Taranto lo ha ricoperto Girolamo Archinà, ex potentissimo responsabile dei rapporti istituzionali del gigante dell’acciaio. Archinà sarebbe stato l’eminenza grigia dei signori dell’acciaio, l’uomo che nell’ombra ha intessuto rapporti con politici e funzionari per assicurare all’Ilva la possibilità di continuare a produrre, calpestando l’ambiente e la salute di Taranto. Lui avrebbe mantenuto i rapporto con gli enti locali, il clero e i giornalisti, senza lesinare di corrompere un consulente della procura al qualeavrebbe pagato 10.000 euro per addomesticare una perizia sulle cause dell’inquinamento. L’inchiesta esplose il 26 luglio del 2012 con il sequestro di sei reparti inquinanti dell’Ilva e una raffica di arresti. Ma in un anno, l’indagine ha fatto registrare numerose impennate, con arresti e sequestri imponenti.
Una offensiva giudiziaria che ha fatto sbandare pericolosamente il gigante Ilva più volte sul punto di crollare portandosi dietro un patrimonio di dodici posti di lavoro. Una emergenza che ha messo alle corde prima il governo Monti e oggi quello guidato da Enrico Letta. L’Esecutivo per ben due volte è intervenuto con decreti per garantire la continuità produttiva della fabbrica che alla fine è stata commissariata e affidata al manager Enrico Bondi.  
Ilva: Procura, in 18 anni mega-discarica - Per 18 anni, dal 1995 (anno del passaggio di consegne della fabbrica ai privati) ad oggi, l’Ilva avrebbe creato una sorta di mega-discarica abusiva sversandorifiuti pericolosi e non nel sistema acqua-suolo e in mare: è una delle accuse più pesanti che la Procura della Repubblica di Taranto rivolge al Gruppo Riva e alla dirigenza del Siderurgico tarantino, contenuta nell’avviso di chiusura delle indagini preliminari che i finanzieri stanno finendo di notificare a 53 indagati.









   
 



 
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