L'esercito indonesiano non ferma l'offensiva anti-separatista in Aceh, devastata dal maremoto Ci si era illusi che almeno davanti alla catastrofe naturale del maremoto, quella ‘artificiale’ della guerra si fermasse. Almeno per poco. Invece no. Nella provincia indonesiana di Aceh, la più colpita dalla tragedia del 26 dicembre, migliaia di cadaveri giacciono ancora per le strade e gli aiuti umanitari, partiti in ritardo a causa della legge marziale che vigeva nell’area, sono una goccia in un mare di disperazione. Ma nonostante questo, e nonostante gli appelli alla ‘tregua umanitaria’ lanciati dai guerriglieri indipendentisti islamici del Gam (Gerakin Aceh Merdeka, ovvero Movimento Aceh Libero), l’esercito di Giacarta ha ripreso l’offensiva militare contro i ribelli nelle zone orientali e settentrionali della provincia. Offensiva nell’est e nel nord. Centinaia di soldati indonesiani, invece di prestare soccorso ai sopravvissuti, sono stati mandati ad attaccare le roccaforti del Gam e a bruciare le case dei sospetti ribelli. I raid anti-guerriglia hanno interessato nell’est le zone di Teupin Batee, Seunebok Langa, Gampung Jalan, Kuburan Cina, Buket Linteung e Buket Jok, e nel nord quelle di Makmur, Gandapura e Peusangan. Secondo i portavoce degli indipendentisti almeno due guerriglieri sono rimasti uccisi giovedì in uno scontro armato nell’est di Aceh e alcune case sono state date alle fiamme nel villaggio di Idi Rayeuk, sempre nella stessa zona. “Le nostre operazioni contro i secessionisti in Aceh continuano, seppur con intensità ridotta rispetto alla norma”, ha dichiarato il colonnello D.J. Nachrowi, “e continueranno finché il presidente Susilo Bambang Yudhoyono non ordinerà all’esercito di svolgere in Aceh compiti meramente umanitari, compiti ai quali comunque stiamo già dedicando parte dei nostri sforzi”. La retromarcia del governo. Sembra quindi dimenticata l’offerta di cessate il fuoco fatta lunedì scorso dal capo di stato maggiore dell’esercito indonesiano, generale Endriartono Sutarto. “Tutti i nostri uomini in Aceh – aveva dichiarato – sono stati assegnati esclusivamente a compiti di intervento umanitario. Chiediamo al Gam di fare altrettanto, deponendo le armi e impegnandosi nei soccorsi e nella ricostruzione della provincia”. Un’ offerta che aveva ricevuto l’avallo politico presidenziale e che gli indipendentisti avevano accettato il giorno dopo, martedì: “Ho ordinato alle nostre forze di cessare il fuoco: risponderemo solo se attaccati”, aveva dichiarato il leader del Gam, Malik Mahmud. Ma ieri dalla Svezia, dove vive in esilio, il portavoce del Gam, Bakhtair Abdullah, ha dichiarato che “l’offerta del generale Sutarto era una menzogna. Noi avevamo accettato la tregua, ma l’esercito ha continuato a tendere imboscate, uccidendo nostri uomini”. Soccorsi e guerra. Da quando, due anni fa, il governo di Giacarta ha proclamato la legge marziale ad Aceh per meglio reprimere la guerriglia indipendentista, questa provincia ha vissuto nel più totale isolamento, inaccessibile alla stampa e alle associazioni umanitarie straniere. Una condizione che, incredibilmente, non è mutata nemmeno dopo il disastro di domenica scorsa: solo mercoledì il governo ha dato libero accesso a soccorso e giornalisti. In questi ultimi anni l’esercito, che ha assunto il controllo totale della zona, si è macchiato dei peggiori soprusi contro la popolazione locale, considerata in blocco come filoindipendentista. Stando alle rare denunce raccolte da associazioni del posto le forze armate governative si sono rese responsabili di violenze gratuite, torture, stupri e saccheggi ai danni dei civili, costretti a vivere in un regime di terrore (vedi “La penisola delle torture”). Non stupisce quindi l’attuale cinismo del governo che con una mano presta soccorso alla popolazione e con l’altra continua a farle guerra.
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