Nucleare iraniano, i Grandi riuniti a Ginevra
 











Un po’ in sordina (anche se la questione riguarda una delle regioni più turbolente, destabilizzate e destabilizzanti del pianeta), si è aperto a Ginevra il terzo giorno di colloqui sul delicato e spinoso tema del nucleare iraniano. Nella città svizzera sono riuniti da ieri il sottosegretario americano Kerry e il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif. E oggi arriva anche il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, che ha lasciato Mosca in mattinata: segno, evidentemente, che si entra nel vivo, visto che Mosca è uno dei maggiori alleati di Teheran. La giornata ha preso il via con un bilaterale tra Kerry e il capo della diplomazia Ue Catherine Ashton per fare il punto sul tentativo di trovare un’intesa. Dopo il faccia a faccia, i due responsabili si riuniranno di nuovo con il ministro Zarif. Ieri, i colloqui a tre, che si sono conclusi a tarda sera, sono stati definiti «buoni» oltre che «intensi», ma evidentemente molti nodi restano dasciogliere. Primo tra tutti: la volontà di Teheran di realizzare un reattore per la produzione di plutonio, su cui Kerry e Ashton si sono detti contrari. In sostanza: l’Iran chiede di poter continuare a sviluppare il nucleare per usi civili; Usa e Ue vogliono essere certi, però, che la tecnologia atomica non venga impiegata per scopi militari.
Comunque, nonostante il fermo no di Israele (totalmente contraria a questi colloqui), i negoziati sul programma nucleare di Teheran del cosiddetto 5+1 (i membri permanenti del consiglio di sicurezza Onu, Gran Bretagna, Cina, Francia, Russia, Usa a cui si aggiunge la Germania) procedono. Già ieri hanno registrato una accelerazione significativa con l’arrivo a sorpresa a Ginevra di Kerry; oggi quella di Lavrov conferma che l’intenzione è quella di trovare un accordo. E infatti da ieri si rincorrono voci che questa girandola di vertici stia per sfociare in un «accordo storico», ancorché «preliminare», anche se la Francia gela tutti: al momento«non c’è certezza che si raggiunga una intesa - ha detto il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius - C’è una bozza iniziale che non accettiamo». Il che costituisce comunque una conferma che una bozza c’è.
I nodi da sciogliere senza i quali Parigi non firmerà intese, secondo il capo del Quai d’Orsay, sono la sospensione delle operazione al reattore al plutonio di Arak durante la fase negoziale e cosa fare dello stock di uranio già arricchito al 20% da Teheran. Last but not least, Fabius ha sottolineato che nell’ambito di un’eventuale intesa, «dovranno essere tenute nel debito conto le preoccupazioni per la sicurezza espresse da Israele e dai Paesi della regione (cioè Arabia Saudita e le altre petromonarchie sunnite, ndr)».
E già. Questo è forse il terreno più insidioso, lo scoglio sul quale la trattativa rischia infrangersi. La netta contrarietà di Israele, infatti, sta mettendo a dura prova la storica alleanza e amicizia con gli Usa, che al contrario sono determinati atrovare l’intesa con Teheran. Queso argomento è stato alc entro di una telefonata, ieri sera, tra il presidente americano Barack Obama e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Un colloquio - hanno reso noto alla casa Bianca - in cui sono stati discussi «i nostri attuali sforzi per far avanzare una soluzione pacifica delle preoccupazioni della comunità internazionale sul programma nucleare iraniano». Obama ha aggiornato Netanyahu sui negoziati in corso a Ginevra tra Iran e i 5+1 ed ha sottolineato «il suo forte impegno per impedire che l’Iran ottenga l’arma nucleare».

 









   
 



 
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