Lo si potrebbe chiamare il Municipio delle Isole. Una specie di atollo di agglomerati urbani che emergono da un mare di campagna, uniti gli uni agli altri solo tramite lunghi viadotti, grandi strade a percorrenza veloce, cavalcavia, ponti, anelli, raggi. Non luoghi, come li chiamerebbe Marc Augé. Un panorama familiare in gran parte della periferia romana, ma che qui diventa emblematico. Dall’Eur al villaggio Giuliano-Dalmata, dal Torrino alla Cecchignola, dalla Bufalotta a Colle di Mezzo, da Castel di Decima a Spinaceto, da Tor de Cenci a Laurentino 38, il tessuto urbano del XII municipio, il terzo a Roma in ordine di estensione, è costituito da quartieri nati a tavolino, pianificati e realizzati in epoche diverse, con le più disparate concezioni urbanistiche e destinati a far crescere differenti ceti sociali. Quasi nulla è sorto in modo spontaneo in questa fetta di città che dalle ultime anse della riva destra del Tevere scende giù fino all’estremo sud della capitaleinglobando anche alcune aree protette, come la riserva del Laurentino Acqua-Acetosa e quella di Decima-Malafede, o da proteggere come il Fosso della Cecchignola. Pochi abitanti - 168 mila - ma molto concentrati. Le isole in cui vivono sono mondi a sé stanti, non comunicanti, con paesaggi e problemi profondamente diversi, che formano generazioni incommensurabilmente distanti. Socialità dispersa, o quasi Eppure in questa «socialità dispersa», qualcosa deve pur aver agito come collante culturale comune se è vero, come è vero, che il voto di queste ultime elezioni amministrative è stato - anche qui - quanto mai trasversale. Al punto che la più votata consigliera municipale della Sinistra Arcobaleno - Matilde Spadaro, vicepresidente uscente della giunta ed ex assessora alla Cultura e al Decoro urbano - ha saputo raccogliere preferenze perfino nelle residenze di lusso dell’Eur e tra le belle palazzine ex Iacp immerse nel verde del villaggio Giuliano-Dalmata,tradizionalmente anticomunista. E al contrario Alemanno ha fatto il pieno di voti in quartieri storicamente sottoproletari e «comunisti» come Decima, Laurentino 38 o Spinaceto, dove le strade sono intitolate ai martiri delle Fosse Ardeatine. Questa volta - dopo una perfetta alternanza negli ultimi dieci anni tra i due schieramenti opposti - ha vinto la destra, e nemmeno di poco: Rutelli si è fermato al 44,07% contro il 55,93% totalizzato dal sindaco neofascista. Mentre per la presidenza del municipio la disputa ha visto primeggiare il candidato più propriamente di centrodestra, Pasquale Calzetta (con il 53,38%), contro Vincenzo Vecchio (46,62%), ex consigliere di Forza Italia passato due anni fa a sostenere i Ds con la lista «Moderati per Veltroni». È opinione comune che la stimata presidente uscente Patrizia Prestipino, della Margherita, sarebbe «senza dubbio» stata riconfermata anche nei luoghi della destra, se non fosse che le strategie rutelliane la vedevano già collocata in unassessorato al Comune, sfumato il quale si aprono forse ora per lei le porte della Provincia. Cuore a destra, voto a sinistra Già, la Provincia. Questo è uno dei pochissimi municipi dove il neo presidente Nicola Zingaretti non ha vinto, superato dall’avversario Alfredo Antoniozzi (51,04% contro 48,96%). «Strano, perché se chiedi in giro nessuno ricorda bene come si chiama l’avversario di Zingaretti, il cui nome invece rimane impresso visto che viene subito associato al fratello e al commissario Montalbano», spiega Maurizio, che per appartenenza identitaria sta a destra ma decide di volta in volta come votare. «Il mio primo voto a sinistra fu proprio per Rutelli», dice. Maurizio - che è un attivista dell’associazione Colle della strega, nata per difendere dall’urbanizzazione l’importante area verde del Fosso della Cecchignola che i cittadini vorrebbero fosse inglobata nell’adiacente parco dell’Appia Antica - racconta di come ormai in questi quartieri si viva acavallo tra una democrazia mediatica, dove il voto è orientato attraverso la cultura massificata televisiva, e una sorta di democrazia partecipativa che porta ad apprezzare il candidato più presente sul territorio, il più attivo, quello che instaura davvero un rapporto con la cittadinanza. Come è successo con Spadaro, colonna portante dell’associazione ambientalista di quartiere e che nel ruolo di assessora è riuscita a fare breccia perfino nei cuori conservatori degli ex profughi dalmati fiumani e istriani. Quelli che nel ’47, lasciandosi alle spalle la Jugoslavia di Tito, trovarono rifugio in un villaggio sorto per ospitare gli operai impiegati nella costruzione dell’Eur (Esposizione universale del ’42), e diedero così vita al borgo Giuliano-Dalmata. Una storia che in linea di massima non lascia spazio a possibili fughe a sinistra. «Eppure la vicenda politica di Spadaro, come anche dell’ex presidente Prestipino, racconta che chi lavora bene può togliere voti anche alla destra»,spiega Giorgio Marsan, presidente dell’associazione culturale Gentes. Hanno apprezzato il loro «spirito di servizio», le varie lotte condotte in prima persona come quella per far approvare il progetto di una residenza per anziani con 60 posti letto. Altri grandi problemi da queste parti non ce ne sono. Pochissimi gli immigrati, nessuna percezione di insicurezza, solo qualche furto notturno e qualche lamentela per i cassonetti della raccolta differenziata sempre strabordanti. Chi vive qui è mediamente benestante, conservatore e rifiuta ogni estremismo. «Un paio di anni fa Forza Nuova organizzò una manifestazione anti immigrati - continua Marsan - ma nessuno del quartiere vi prese parte». Quando si tratta però di scegliere il sindaco di Roma, «quella è un’altra storia: ho votato Alemanno perché qui non ci sono problemi di criminalità, ma a Roma sì», assicura convinto un anziano signore, ex esule, che considera il centro come una città distante, che fa anche un po’ paura. Figlidella frammentazione «Frammentazione» è la parola d’ordine del XII municipio. La usano i residenti di Colle di mezzo o della Cecchignola sud - quartiere nato nei primi anni ’90 con una delibera firmata nell’ultimo giorno in carica dal primo sindaco di destra, Pietro Giubilo - per descrivere il rischio che corrono gli ecosistemi naturali locali se non venisse fermato il progetto di edilizia residenziale di lusso approvato da Rutelli nel 2001 e che prevede una colata di cemento di 72 mila metri cubi su intere fette di parco cittadino. Un piano che pur essendo stato bloccato dalla regione Lazio due volte, nel 2005 e all’inizio di quest’anno, è rimasto comunque una spada di Damocle minacciosa e inevitabilmente associata al nome del candidato perdente del centrosinistra. Convincere a votare Rutelli è stata una missione impossibile anche perché qui tutti sanno che, come spiega Spadaro, «nel piano regolatore di Veltroni sono previsti un milione di metri cubi di edilizia a TorPagnotta, altrettanti a Santa Palomba, e l’ennesimo collegamento stradale che sventrerebbe il Fosso della Cecchignola». In pochi giorni l’associazione «Colle della Strega» ha raccolto ben 14 mila firme a corredo di una delibera di iniziativa popolare che richiede la cancellazione di tutti i progetti urbanistici della zona. Per loro quello spazio verde è come una piazza, l’unico luogo di socialità. Contemporaneamente però sono decine i finti comitati di quartiere spuntati negli ultimi tempi a tutela degli interessi dei piccoli costruttori, particolarmente favoriti, dicono, da Alemanno. Problemi a cui se ne aggiunge uno ancora più delicato: il campo rom di Castel Romano, costruito in deroga alle leggi dentro la riserva regionale di Decima-Malafede. Centinaia di persone che tutti - almeno nell’associazione - chiedono di tutelare, ma che suscitano comunque dissensi molto forti. Ma la parola «frammentazione» ricorre anche sulla bocca dei tanti che ragionano sullo spezzettamento deltessuto sociale e sulla conseguente incapacità di un agire comune, sul fallimento della politica "alta". «C’è stata una frattura tra le proprie tradizioni morali e identitarie e il voto, e ora per ripararla ci dobbiamo attrezzare a un processo molto molto lungo», dice Massimiliano Di Gioia, altro ambientalista della prima ora. «Siamo tutti figli della frammentazione e della precarietà», suggerisce invece Sandro, che per la sinistra di movimento è un po’ la memoria storica di Spinaceto, il quartiere sorto negli anni ’70 e uno dei più popolari del XII municipio. Sandro, che è stato uno dei fondatori del centro sociale Auro e Marco, racconta di quando all’inizio degli anni ’90 Spinaceto, come Decima e Laurentino, erano pullulanti di iniziative, centri autogestiti, strutture occupate, radio libere, circoli di partito, associazioni anche comunali, di cui oggi non c’è quasi più alcuna traccia. Partecipare, ma per cosa? «Ma non è detto che quella socialità che siriesce a mantenere nei luoghi di aggregazione - aggiunge Sandro - produca poi voti. Il centro Auro e Marco aggrega persone molto diverse e mantiene una sorta di pace sociale, al punto che An ha tentato due volte di aprire una sede, addirittura vicino al campo rom di Tor De Cenci, ma hanno chiuso per mancanza di iscritti. Eppure quando ha vinto Alemanno da qui sono partiti i caroselli di auto». «Oggi, puoi anche lavorare sul locale ma se non c’è un agire comune con gli altri territori, è inutile», aggiunge amaro Sandro che ricorda quanto sudore hanno buttato per costruire una buona relazione tra gli abitanti e i rom di Tor De’ Cenci. Inutilmente, perché il comune presto «ha abbandonato un progetto di integrazione che poteva essere pilota, d’esempio». Non lo dice, ma si capisce che ha paura che un caso di cronaca maledetto possa mettere la parola fine su quel loro ideale di convivenza felice. La pensano così anche Antonella e Luca, del centro sociale che occupa la torre del sesto pontedel Laurentino 38, uno di quegli agglomerati di edilizia popolare sinonimo a Roma di periferia infernale. Nato a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, è il tipico esempio di un’abitudine tutta italiana di costruire case e aspettare venti anni per portare anche qualche servizio. Ci vivono 35 mila persone, un centinaio di famiglie occupanti, pochissimi immigrati, molti clan che controllano il territorio, grande abbandono scolastico, cocaina, e di nuovo eroina. Muri dappertutto, alla fine di una strada, ai bordi dei marciapiedi, a contenere la visuale e le menti. Pochissimi alimentari, un paio di bar, un tabaccaio, un negozio di giocattoli. Nemmeno uno di telefonini, incredibile ma vero. Perché? Penuria di locali e molte rapine. Ma il voto, orientato sempre più a destra, trova anche un’altra ragione: «Mesi di mobilitazione, incontri, riunioni estenuanti con le associazioni di quartiere per mettere una fioriera, far sostituire un semaforo con una rotonda o tentare di trasformare uno slargo dicemento in una piazza - raccontano - e poi invece sul tavolo di Veltroni passavano in un baleno mega opere, progetti, appalti. Questo è il significato, da noi, di partecipazione».de Il manifesto
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