Sarno tra abusi e grandi opere
 







di Francesca Pilla




Anna Capezzuto compirà dieci anni il prossimo settembre. È una bella ragazzina con le guancie piene, assomiglia alla madre, Stefania Criscuolo, che il 5 maggio del 1998 la portava in grembo da cinque mesi. Questa storia la piccola la sente ripetere da sempre, ogni giorno: «È un miracolo se siamo ancora vivi, ti abbiamo chiamato come Sant’Anna, la protettrice delle partorienti». Quella notte a Episcopio la bambina ha perso sette cugini, la più piccola Stefania aveva solo tre mesi. I morti della famiglia Criscuolo sono stati 30 su 137. La casa del nonno di Anna, Francesco, a mezzanotte di dieci anni fa, a differenza delle abitazioni accartocciate su se stesse, è «volata» sopra la colata di fango bollente vomitata dal Pizzo D’Alvano, parte del monte Saro. È scivolata, «per miracolo», giù lungo la montagna oltre 35 metri con dentro 30 persone fino a «tamponare» una pizzeria. «Non potrò mai dimenticare il rumore e le nostre urla - racconta il padre Massimo - sembrava che cistesse travolgendo una palla di fuoco e noi ci vedevamo già nella tomba». «Avevo le gambe bruciate - continua Stefania - guardavo le mie sorelle incinta come me e credevo che non ce l’avremmo fatta». Ma lo zio Criscuolo aveva costruito una casa a prova di calamità, lui che era terrorizzato dal terremoto degli anni ’80, ha salvato almeno un nutrito gruppo di famiglie. Le fondamenta sono state tagliate di netto, ma le mura non hanno ceduto. Tutti illesi.
Sono passati 10 anni e Sarno commemora quella notte quando diverse frane, provocate dalla pioggia battente, travolsero anche i comuni di Bracigliano, Quindici e Siano. E una colata di fango e massi spazzò via in pochi minuti abitazioni e vegetazione provocando in tutto 160 vittime. Una tragedia causata dall’incompetenza e dall’impreparazione si disse, ma anche dai piani regolatori che avevano permesso di costruire lì dove non sarebbe stato possibile. Perfino a ridosso dei vecchi canali scavati dai Borboni che hanno, scherzo dellasorte, salvato i centri storici, i primitivi nuclei urbani e la folla ricoverata nelle antiche basiliche. Ma l’allora sindaco Gerardo Basile di An, con la fascia tricolore, si era recato personalmente sul ponte di Episcopio e aveva convinto parte della sua gente a restare nelle abitazioni, una scelta che di fatto contribuì a intrappolarli come topi. Basile è stato assolto, insieme all’ex assessore Ferdinando Crescenzi, dall’accusa di omicidio colposo plurimo, per omissioni ed imprudenze: sapeva delle frane dalle 4 del pomeriggio. L’appello in Corte di Assise, da parte dei familiari delle vittime, si celebrerà il prossimo settembre.
Il vecchio ospedale diroccato, dove morirono i 5 medici rimasti eroicamente fino all’ultimo per evacuare i pazienti, resta lì a testimonianza di quella notte di terrore. Così come le piccole casette senza tetto né finestre, abbandonate sulla montagna in solitudine, nella cosiddetta zona rossa. Saro incute timore, salendo per le ripide strade l’altitudinepreme sui timpani e il monte è una presenza incombente, quasi come se potesse rivoltarsi alla prima pioggerella di primavera.
Il labirinto di cemento
Sembra ancora di sentirla la paura di quelle ore con le grida di disperazione e il rumore degli elicotteri della protezione civile. Ma la gente del luogo non può che vivere in empatia con la montagna. Per questo la prima casa della zona arancione ha praticamente imposto di ridisegnare i progetti dei 30 chilometri di canali in cemento, e oltre 100 di briglie, che dovrebbero garantire la tenuta in caso di una catastrofe analoga. Un casale con orto e alberi da frutta svetta a ridosso della vasca, che dicono possa contenere 160 mila metri cubi di melma. È questa la ricostruzione che va avanti da dieci anni, alloggi accompagnati da un sistema di messa in sicurezza. Un labirinto di alvei che confluiscono in bacini grandi come campi di calcio. Intorno sorge il presepe di Episcopio, le case di quelli che hanno detto «noi non ci spostiamoda nessuna parte». Sono stati accontentati quasi a testimoniare che il sistema funzionerà.
Le opere però non sono ancora completate, con uno stanziamento che è partito da 161 milioni di euro e che arrivato negli anni a quota 366, di questi ne sono stati spesi 247, in 12 proroghe, dal commissariato straordinario per l’emergenza idrogeologica capitanato da Antonio Bassolino. Ma ancora oggi 50 famiglie su 400 sono senza casa. Tra queste proprio quelle del lotto 11, della famiglia Criscuolo a cui ne spettano 4. Ventiquattro sono state già programmate e dovrebbero essere pronte tra un anno e mezzo, il resto chissà. Lungaggini che appaiono incomprensibili se confrontate ai palazzetti abusivi, alzati in una settimana e spuntati come funghi nella confusione della ricostruzione. Case dove vengono apposti i sigilli, ma puntualmente ultimate, mentre i processi antiabusivismo possono durare anni, salvo condoni. «Spesso abbiamo le mani legate - spiega Amilcare Mancusi, sindaco di centrodestra -ma è grave che gli abitanti non si siano abituati a convivere con la montagna. Molti degli abusi avvengono in piena zona rossa e non sono di prima necessità. Mi chiedo cosa consegneremo alle future generazioni». Eppure qualche responsabilità anche il comune sembra averla. Il capo dei Vigili urbani, Vincenzo Mori, ha infatti più volte denunciato il dirigente dell’ufficio tecnico Antonio Marano che, in 10 anni, ha fornito solo due volte il personale per i sopralluoghi negli edifici finanziati dallo stato. E in entrambi i casi i palazzi sono risultati non conformi per quadratura.
L’agenzia fantasma
Ma gli interrogativi riguardano l’intero Prg di Episcopio. Perché se i cittadini non mettono in discussione il modello di vasche e canali, sono molti gli esperti a non essere convinti del funzionamento del sistema, che potrebbe essere testato solo in caso di calamità. Per alcuni geologi il cemento addirittura favorirebbe le colate di fango accelerandole. Senza contare che il pianoprevederebbe una puntuale manutenzione già adesso disapplicata. Gli alvei sono ostruiti da vegetazione e detriti, ma nessuno sembra preoccuparsene più di tanto. Oggi il problema più urgente appare il ritorno alla gestione ordinaria. Dopo 10 anni, infatti, nessun comune è stato ancora dichiarato in sicurezza, mentre l’Agenzia regionale di difesa del suolo che doveva essere attiva da mesi, nei fatti non esiste.
Alla struttura "ordinaria" devono passare di mano quei servizi fondamentali per gestire un’area che resta idrogeologicamente a rischio fino ad Amalfi. È l’Agenzia che deve stabilizzare il pool di tecnici incaricati di monitorare territorio e condizioni climatiche, supervisionare il completamento dei lavori, garantire l’erogazione del contributo - di 300 euro - per gli alluvionati ancora senza dimora. Ma Bassolino e l’assessore all’ambiente Walter Ganapini, forse troppo presi dalla crisi rifiuti, si sono resi indisponibili fino all’ultimo giorno utile, il 30 aprile. Poi in unariunione con i sindaci dei comuni interessati hanno optato per un’altra proroga, di sei mesi. Ma nell’agro nocerino dubitano che i termini verranno rispettati. Anche perché le istituzioni regionali hanno lasciato intendere, tra le righe, che in Campania ci sono altre emergenze prioritarie: la monnezza.
La camorra dei morti
L’ospedale Villa Malta, intitolato ai martiri dell’alluvione, lindo e lucente, è stato inaugurato da poco: il pronto soccorso è stato aperto nel luglio del 2007. Accoglie i visitatori di Sarno appena giunti dall’A30. È costato oltre 50miliardi delle vecchie lire. Lo si è definito un polo di eccellenza per la sanità del Mezzogiorno, ma la metà dei reparti è chiuso per mancanza di personale. Dei 150 posti letto disponibili ne sono usufruibili solo 80. Non è infrequente che un paziente debba essere trasferito a Oliveto Citra. Chiuse la sala Tac, la rianimazione e la terapia intensiva che pur dotate di macchine all’avanguardia, costate miliardi, non dispongono di"manovratori". Dall’Asl scaricano la responsabilità sulla regione che non predispone i bandi per rinfoltire l’organico, ma la stessa spende 800mila euro l’anno per affittare, da privati, gli spazi per il distretto sanitario. Non solo. Sulla stessa costruzione del nosocomio pende un processo - gli arresti eccellenti risalgono al 2004 - contro il clan Graziano di Quindici. Ma l’ombra della camorra pesa in tutta la ricostruzione. Un terno al lotto, arrivato «inaspettato» all’indomani della catastrofe, per i boss dell’agro nocerino. Negli anni le famiglie locali si sono, infatti, infiltrate in tutta la filiera, assicurandosi tra l’altro la gestione e le forniture di calcestruzzo, la sorveglianza dei cantieri. Con il boom edilizio e i finanziamenti a pioggia, la criminalità organizzata ci ha talmente guadagnato che il paese votato, fino a pochi anni fa, alla coltivazione del pomodoro San Marzano (quello delle pelate), si è buttato quasi interamente nel mattone e in una industrializzazionestracciona. Mentre i pomodori vengono importati ormai dalla Puglia. Oggi non si vedono, ma è certo che presenziano alla commemorazione dei morti.de Il manifesto
(ha collaborato Luigi Colombo)









   
 



 
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