Ilva, gli atti dell’inchiesta: la telefonata Vendola-Archinà
 











"Archinà state tranquillo, non è che mi sono scordato. Volevo dirglielo perché poteva chiamare Riva e dirgli che il presidente non si è defilato (...) Però lei lo sa, io ho fatto veramente le battaglie e in difesa della vita e della salute ". Parlava così al telefono il governatore della Puglia Nichi Vendola nella rovente estate del 2010. Dall’altra parte del telefono l’ineffabile Girolamo Archinà, eminenza grigia della grande fabbrica finita sul banco degli imputati per l’inquinamento che ha ucciso Taranto. Quel dirigente dai modi gentili, secondo i magistrati, riusciva ad arrivare a tutti, portando dalla parte del colosso dell’acciaio politici e funzionari. Nella rete tessuta dall’abile Archinà, non a caso chiamato il "maestro degli insabbiatori" da uno dei Riva, non sarebbe sfuggito il Governatore di Puglia che da ieri è ufficialmente indagato nell’inchiesta per disastro ambientale. In quell’estate di tre anni fa schizzò alle stelle il conflitto tra Arpa Puglia e Ilva, sulle emissioni di benzoapirene.
Il pomo della discordia una relazione dell’agenzia regionale in cui i livelli shock sulla città di quel veleno cancerogeno vennero addebitati ai reparti dell’area a caldo dello stabilimento. Su quella relazione montò la rabbia dei Riva che sguinzagliarono il fido Archinà. L’azione in stile lobbistico investì gli uffici regionali con l’intenzione di chiamare in causa direttamente Vendola. Ed è in quei giorni, dicono i
giudici, che si sarebbe consumato il pressing su Giorgio Assennato, direttore di Arpa. Con in prima fila Nichi Vendola. Uno dei risconti sarebbe quella intercettazione tra Archinà e il Presidente della Regione. Durante il colloquio il potentissimo dirigente Ilva manifestò le sue preoccupazioni sulla posizione di Arpa e sue eventuali ripercussioni sulla produzione del gigante dell’acciaio. "Abusando il Vendola, della sua qualità di Presidente della Regione - si legge nell’avviso di conclusione delle indagini - mediante minaccia implicita della mancata riconferma nell’incarico ricoperto, costringeva Assennato Giorgio, direttore di Arpa ad ’ammorbidirè la posizione di Arpa nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’impianto siderurgico dell’Ilva".
L’accusa si fonda anche su altre intercettazioni, in cui, però, è spesso Archinà a riferire della posizione
della Regione. Così si apprende che nel corso di una riunione il presidente Vendola avrebbe detto che "così com’è Arpa Puglia può andare a casa perché hanno rotto..., e ribadiva che in nessun caso l’attività produttiva dell’Ilva avrebbe dovuto subire ripercussioni". Sintomatico, a parere dei giudici, anche quanto accaduto in Regione pochi giorni dopo. Negli uffici regionali venne convocata una riunione con Emilio Riva, suo figlio Fabio e lo stesso Archinà. Mentre Assennato venne tenuto in anticamera. E durante l’attesa sarebbe stato ammonito dal dirigente "Antonello Antonicelli, su incarico del Vendola, a nonutilizzare i dati tecnici come ’bombe carta che poi si trasformano in bombe a mano"". E che quel pressing stesse fornendo i suoi frutti, insistono i pm del pool retto dal procuratore Franco Sebastio, è riscontrato da una mail spedita da Archinà a Fabio Riva in quei giorni, puntualmente intercettata dai finanzieri. In quella mail Archinà sostiene che Vendola ha intimato in Regione che "per nessun impianto di Ilva si deva ipotizzare una sia pur minima riduzione produttiva". Mario Diliberto e Giuliano Foschini,repubblica










   
 



 
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