L’ultimo ricatto di Giorgio Napolitano
 











Giorgio Napolitano, più che mai totus politicus, in occasione dell’incontro con le alte cariche istituzionali e con gli esponenti delle forze politiche e sociali, ha mandato l’ultimo avvertimento, che trascende, travalica, stravolge ogni perimetro proprio delle funzioni che la Costituzione assegna al presidente della Repubblica.
E’ un vero ordine di servizio, perentorio e minaccioso, quello che Napolitano impartisce ai partiti, al parlamento, al governo. Ne ha per tutti, il presidente, ma nel mirino ci sono specialmente quanti, in tutto o in parte, intralciano il disegno di cui egli si è reso, più che garante, promotore.
Basta elencare i punti cardinali della sua secca requisitoria per capire di cosa si tratta. Nulla di nuovo, a ben vedere. Salvo la durezza, ormai scevra da perifrasi o indirette allusioni, del suo discorso.
Primo: chi spera nelle elezioni anticipate, se le dimentichi; secondo: la riforma della Costituzione deve andareavanti, seguendo le coordinate tracciate dalla commissione di “saggi”, scelta ed insediata dal Colle medesimo; terzo: il pregiudicato e il suo partito improvvidamente separatosi dalla Santa alleanza devono comunque assicurare il proprio sostegno alla Riforma, in modo tale da raggiungere i due terzi dei voti parlamentari necessari per impedire al popolo italiano di pronunciarsi e vanificare l’esito desiderato attraverso il referendum di ratifica; quarto: la nuova legge elettorale deve muoversi in direzione opposta e contraria a quella indicata dalla Consulta e coerente col modello istituzionale previsto dalla Carta: deve cioè mandare in soffitta ogni proposito di restaurazione, anche tenue, del sistema di voto proporzionale, per blindare il modello elettorale maggioritario con annesso premio, una legge truffa al cubo, iperbole di quella che nel 1953 suscitò una reazione democratica in tutto il paese, con mobilitazioni guidate proprio da quel Partito comunista di cui Napolitano facevaparte; quinto: le ‘larghe intese’, o ciò che ne resta dopo l’abbandono di Berlusconi, sono essenziali per confermare la fedeltà dell’Italia all’Ue (“l’Europa ci guarda”) e alle sue politiche monetaristiche fondate sui vincoli di bilancio e sull’austerity; sesto ed ultimo punto: rammenti la maggioranza che queste furono le condizioni, da tutti accettate, che indussero Napolitano a condividere, ma sub condicione, la propria rielezione, a monito di chi oggi volesse svincolarsi da quel patto. O si obbedisce e si rientra nei ranghi, oppure chi va in libera uscita dovrà assumersi la responsabilità delle dimissioni del presidente.
Se una sinistra come si deve disponesse di forza e voce in capitolo, avrebbe materia per sfidare l’arroganza del capo dello Stato, che invece può contare sull’inerzia delle mezze figure e dei pusillanimi che calcano il proscenio in questo crepuscolo della democrazia, dove la protesta sociale è egemonizzata dalle varie specie dei “forconi” e della destrafascistoide, mentre i soggetti emergenti si muovono in un campo che va da Matteo Renzi a Beppe Grillo.
Con le nostre ancora deboli ma non sopite energie dobbiamo impedire che il cerchio si chiuda lì. Dino Greco









   
 



 
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