"La profonda recessione, la seconda in 6 anni, è finita. I suoi effetti no", avverte il centro studi di Confindustria. Parlare di ripresa è "per molti versi improprio", suona "derisorio". Il "Paese ha subito un grave arretramento ed è diventato più fragile, anche sul fronte sociale". Danni "commisurabili solo con quelli di una guerra". Una situazione che "mette a rischio la tenuta sociale". I numeri di viale dell’Astronomia il loro commento mostrano il buio pesto che ancora invade il Paese. Per di più l’impatto sulla crescita della Legge di Stabilità all’esame del Parlamento sarà "molto piccolo", dello "0,1 o 0,2" punti sul Pil del 2014. Nel 2015, la manovra avrà "un effetto restrittivo della stessa entità di quello espansivo del 2014". I danni economici si contano così: "Le persone a cui manca il lavoro, totalmente o parzialmente, sono 7,3 milioni, due volte la cifra di sei anni fa. Anche i poveri sono raddoppiati a 4,8 milioni". In sei anni dicrisi "le famiglie hanno tagliato sette settimane di consumi, ossia 5.037 euro in media l’anno". Dall’inizio della crisi (fine 2007) si sono persi 1 milione e 810 mila unità di lavoro equivalenti a tempo pieno. L’occupazione è rimasta ferma nella seconda metà del 2013, però ripartirà dal 2014: si arresta così "l’emorragia occupazionale" e l’anno prossimo il Csc prevede un +0,1%, per il 2015 un +0,5%. Una situazione che porta viale dell’Astronomia a citare Nelson Madela: "Vincere la povertà non è un gesto di carità". Secondo Confindustria l’andamento del Pil italiano resterà negativo a -1,8% quest’anno per poi risalire a +0,7% il prossimo e quindi attestarsi al +1,2% nel 2015. Le stime precedenti davano per il 2013 un andamento negativo dell’1,6%. Dal 2007, l’Italia ha perso più del 12% del potenziale pre-crisi, mandando in fumo oltre 200 miliardi di reddito. Ma "riforme incisive possono recuperarlo", apre il Csc. La pressione fiscale scenderà marginalmente al 43,9% nel 2014 dopoaver toccato il record nel 2013 con il 44,3% di Pil, mentre il debito pubblico è visto in crescita al 129,8% del Pil. La difficile situazione del Paese emerge anche dalla dinamica delle retribuzioni contrattali orarie, che a novembre restano ferme su ottobre mentre salgono solo dell’1,3% nel confronto con lo scorso anno. Lo rileva questa volta l’Istat, spiegando come la crescita annua torni così a toccare i minimi. Il rialzo dell’1,3%, già registrato in passato, risulta infatti il più basso almeno dal 1992, ovvero da 21 anni. Complessivamente, nei primi 11 mesi del 2013 la retribuzione oraria media è cresciuta dell’1,4% rispetto al corrispondente periodo del 2012, spiega ancora l’Istituto. Se si guarda però il raffronto con l’inflazione, nonstante i minimi livelli di miglioramento si spunta un vantaggio: a novembre i prezzi sono cresciuti dello 0,7% annuo. Guardando ai principali macrosettori, a novembre le retribuzioni hanno fatto segnare un incremento tendenziale dell’1,7% peri dipendenti del settore privato e una variazione nulla per quelli della pubblica amministrazione, d’altra parte ancora coinvolti nel congelamento dei contratti. "I settori che a novembre presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: telecomunicazioni (4%); agricoltura (3,3%); chimica e metalmeccanica (entrambi 2,3%)", spiegano gli statistici. Alla fine del mese scorso, aggiunge l’Istat, la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è del 48,9% nel totale dell’economia e del 34% nel settore privato. L’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è in media di 31,2 mesi per l’insieme dei dipendenti e di 17,6 mesi per quelli del settore privato. I contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per la parte economica riguardano il 51,1% degli occupati dipendenti e corrispondono al 49,4,% del monte retributivo osservato.
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