È come se l’orologio fosse tornato indietro di vent’anni. Solo che stavolta le townships sudafricane bruciano non per la guerriglia urbana tra gli abitanti neri delle aree più povere delle città e un esercito e una polizia espressione del regime razzista bianco. Questa volta a scatenare le violenze sono neri che attaccano altri neri, poveri che se la prendono con altri poveri. Unico tratto distintivo: la nazionalità. Sudafricani contro zimbabwani e mozambicani, malawiani e somali, che dai loro paesi di origine, spinti da crisi politiche o economiche, si sono trasferiti nella Nazione Arcobaleno. Da più di una settimana, sono loro, gli immigrati, l’obiettivo di attacchi armati, di violenze commesse con pistole, lance, machete e bombe incendiarie, di stupri e omicidi eseguiti mentre le loro case e i loro negozi sono saccheggiati. Un’aggressività collettiva come non si vedeva, appunto, dagli anni duri dell’apartheid. E che è iniziata ad Alexandra, township ai margini diJohannesburg, per poi dilagare nelle aree più povere delle principali città del paese, a iniziare proprio da Jo’burg e Pretoria. Se nei primi giorni le violenze avevano fatto «solo» 3 morti, nel week-end gli scontri hanno sono dilagati, lasciando sul terreno, stando alle cifre date ieri dalla polizia sudafricana, 22 persone, tra cui dei bambini, causando l’arresto di almeno 200 facinorosi e la fuga di almeno 6000 immigrati, che hanno cercato riparo in stazioni di polizia, chiese e centri comunitari. Quale la causa scatenante della follia xenofoba dell’ultima settimana è ancora da capire. Pare che a dare avvio agli scontri siano stati gruppi di giovani disoccupati delle townships che hanno iniziato a prendersela col più facile capro espiatorio a disposizione, gli immigrati. Accusati di «rubare» posti di lavoro e di delinquere. A nulla sono valsi gli appelli alla calma e le condanne dei leader politici, compreso quello dell’ex presidente Nelson Mandela. Ai primi gruppi di disperati sisarebbero aggiunte anche bande criminali vere eproprie, per approfittare della situazione e saccheggiare abitazioni e negozi. Sulle cause di quanto successo indagherà un «comitato di esperti» che il presidente Thabo Mbeki ha annunciato domenica. Ma, passato il trauma iniziale, è lo stesso Mbeki che rischia di finire sul banco degli imputati. Sulle prime pagine dei giornali sudafricani capeggiava ieri, scioccante, la foto di uomo in fiamme. Accanto, titoli di ferma condanna delle violenze. Negli articoli e negli editoriali, però, oltre alla riprovazione per quello che succede nelle strade del paese, riferimenti neanche tanto velati alle responsabilità del governo. Sia per la sua politica economica, indirizzata in questi anni soprattutto alla promozione del business e degli investimenti, sia per la sua politica estera verso il vicino Zimbabwe. Mbeki è stato ripetutamente criticato per la quiet diplomacy adottata negli ultimi anni nei confronti di Robert Mugabe e della situazionepolitica ed economica dell’ex Rhodesia meridionale. Le critiche, anche della stampa sudafricana, sono diventate più aperte dopo il grave e pericoloso stallo politico in cui il paese vicino si è trovato in seguito alle elezioni parlamentari e presidenziali dello scorso 29 marzo. La crisi dello Zimbabwe ha non solo messo in ginocchio un paese una volta tra i più ricchi del continente, ma ha anche riversato entro i confini sudafricani alcuni milioni - le stime parlano di tre - di cittadini zimbabwani, in fuga da un’inflazione che ha raggiunto il 165000% su base annua. Sul piano interno, invece, la grande attenzione data dal governo Mbeki a politiche liberiste ha accentuato le differenze economico-sociali già presenti . È vero che, dalla fine dell’apartheid in poi, molti sudafricani neri sono stati in grado di ottenere posizioni di alto livello, ma il divario con il grosso della popolazione urbana e rurale non è stato colmato, peggiorato anche dall’alta incidenza dell’Hiv/Aids. Chemolta parte della popolazione fosse insoddisfatta di Mbeki era chiaro già da dicembre, quando al congresso dell’African National Congress la presidenza è andata al leader dell’ala sinistra, l’avversario ed ex vice Jacob Zuma. Che succederà, con ogni probabilità a Mbeki alla fine di quest’anno.de Il Manifesto
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