Dopo il giorno di ricorrenza dei morti a novembre, in Kosovo Metohija le genti hanno vissuto spiritualmente la ricorrenza del Natale ortodosso il 7 gennaio. E, come profonda tradizione nella cultura e spiritualità slava, e serba in questo caso, non c’e’ molta differenza tra credenti e laici; sono giorni ove ciascuno pur vivendoli in forme esteriori differenti, li vive interiormente come riflessioni/meditazioni nell’anima. Di questo ne sono testimone oculare per vita vissuta con loro, con Padri, ferventi credenti o figure laiche di onesti socialisti, di profondi patrioti, di integerrimi sindacalisti, diversi tra loro per visioni di società o idee politiche, ma fratelli e sorelle, compagni di situazioni che abbiamo vissuto e condiviso insieme, ai limiti delle nostre stesse vite...ciascuno possiede nell’anima radici spirituali profonde e saldissime. Anche questo, piacendo o non piacendo a taluni esperti di Serbia virtuale, è il popolo serbo, e forse,ANCHE grazie a queste radici, che ha resistito per 17 anni alle aggressioni straniere ed ancora oggi resiste nel Kosovo. Forse in modo ancora più profondo, ciò avviene nella tragica realtà dei serbi del Kosovo, prigionieri in una moderna forma di apartheid: le enclavi; una realtà dove nessuno dei diritti fondamentali dell’uomo sanciti nella Carta delle Nazioni Unite è rispettato, ancor di meno quelli sanciti nei primi dieci Articoli dei Diritti dell’Infanzia. Nel momento in cui il Consiglio Europeo discute, minaccia, sanziona circa i diritti umani in Siria, nel Kosovo Metohija, stato artificiale e illegale, il mondo dovrebbe vedere cosa ha inventato e mantiene: una società dove la profanazione di tombe di famiglia, di luoghi sacri, di monasteri e luoghi spirituali è quotidiana, e dove, da anni, vengono quotidianamente attaccati, vandalizzati, distrutti. Così è stato a novembre nel giorno dedicato al ricordo dei propri cari scomparsi; la realtà dei cimiteri e luoghi sacri nelKosovo Metohija è la fotografia della realtà della vita quotidiana dei serbo kosovari. Quanti sanno, conoscono, che dal 2013 il ” diritto ” per un serbo, di visitare le tombe dei propri cari, è passato da DUE (2) volte all’anno a UNA (1) volta all’anno; sì perché dal 2008 ( anno della secessione illegale dalla Serbia), solo in questo modo, in questa regione i serbi possono visitare i propri cimiteri e pulire le lapidi e tombe, dove nell’arco dell’anno crescono erbacce, rovi; oltre a levare escrementi e anche maiali, fatti pascolare provocatoriamente tra le tombe, il tutto sotto scorta militare e spesso ingiuriati dai locali albanesi. Le stesse tombe e lapidi che, se scampate alle devastazioni e alle profanazioni di questi 14 anni di ” democrazia” vengono costantemente spaccate, violate a colpi di mazze. Nel cimitero del paese di Istok ( dove vivono solo più alcune famiglie serbe), oltre 100 tombe e lapidi sono state distrutte Il cimitero di Pe?, uno dei più grandi cimiteriortodossi in Kosovo, è stato trasformato in una discarica dove gli Albanesi gettano i loro rifiuti. I vandali hanno distrutto non solo le lapidi in marmo, ma anche bare e molti corpi e ossa dei defunti sono stati estratti e portati via. A Prizren 50 tombe sono state profanate al locale cimitero ortodosso nel corso degli ultimi mesi, ha denunciato un sacerdote della Diocesi locale, aggiungendo che la profanazione è avvenuta appena una settimana dopo che i vandali avevano profanato circa 50 tombe nel cimitero ortodosso di Kosovo Polje. Altre tombe sono state profanate a Klokot (distrutte 27), Milosevo, Plemetina e Priluzje, qui è stato usato dell’esplosivo per fa saltare una pietra tombale appartenente ad una famiglia serba locale. Anche questo fa parte della realtà dei serbi resistenti nella propria terra, anche queste umiliazioni sono pane quotidiano, con l’obiettivo di ferire, violentare e annientare le loro identità spirituali e religiose, che qui più che altrove, sifondono con la loro identità nazionale e culturale. Nell’ultimo viaggio di solidarietà anche questo veniva denunciato e raccontato, sottolineando che anche questo minava ed erodeva la compattezza e unità delle genti serbo kosovare, infatti, dopo 14 anni di queste umiliazioni e vessazioni materiali e morali, alcuni hanno deciso di portare via i resti dei propri cari e portarli in Serbia; mentre altri ritengono che fare questo, significa la resa totale, significa consegnare assieme ai propri luoghi sacri, la propria storia, la propria identità, le radici di un intero popolo e con questo sancire la resa al terrorismo, all’arroganza, all’ingiustizia. Così sono state vissute le giornate dedicate ai morti in quel lembo di mondo e in modo simile sono passate le giornate della Natività dei cristiani. Quanti ricordano che nel Kosovo Metohija in quattordici anni di ”democrazia e liberta” oltre 200 chiese, monasteri e luoghi sacri sono stati vandalizzati e distrutti, alcuni dei qualipatrimonio dell’Unesco, nonostante esistano precisi obblighi internazionali contenuti nella Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale mondiale, adottati alla Conferenza delle Nazioni Unite di Vancouver nel 1976. L’Articolo 9 dice: "Il diritto di ciascun paese è quello di essere, con la piena sovranità, l’erede dei propri valori culturali che sono il frutto della sua storia, ed è suo dovere farne tesoro come valori che rappresentano una parte inseparabile del patrimonio culturale dell’umanità…”. Evidentemente per la Serbia questo non vale. Nel frattempo da agosto 2013 il responsabile della Kosovo SPU ( polizia del Kosovo), ha annunciato che membri di una unità detta Kosovo Security per il patrimonio culturale e religioso, ha assunto il ruolo di protezione del Patriarcato di Pec e di altri 24 siti religiosi; il Monastero di Decani è invece ancora protetto dalle forze internazionali essendo ad alto rischio di attacchi. Così, dopo oltre 200 chiese ortodosse serbe distruttedal 1999, anno dell’occupazione militare della NATO della Provincia serba, i piromani vengono messi a proteggere le case incendiate. Queste Unità speciali della cosiddetta polizia multietnica in Kosovo per la tutela del patrimonio serbo e siti religiosi, conta circa 200 agenti di polizia agli ordini direttamente del noto criminale di guerra Agim Ceku ( nel 1992-’95, generale dei secessionisti croati, coinvolto nel genocidio dei serbi della Krajina), grande amico e con stretti legami con Stati Uniti e Germania. Anche per il Natale, a parte un raccoglimento e una gioia spirituale generale e comune, le condizioni in cui viene celebrato in Kosovo e Metohija oggi, sono molto diverse dalle condizioni in cui questa festa viene celebrata in qualsiasi altro luogo del mondo. Essa come il resto della quotidianità in quella provincia, è inserita nella vita di un ghetto, la realtà delle enclavi, aree delimitate materialmente e protette, dove tutta la vita delle persone e i suoi connessi avvieneall’interno, fuori è territorio ostile e nemico, con rischio della vita se si osa uscirne. Una vita priva di opportunità, dei diritti umani fondamentali, compresa la libertà di movimento;… anche quella di poter andare liberamente nei boschi per tagliare l’albero di Natale, il Yule – log, che nella tradizione serba di questa festa, detta il badnjak, consiste nel bruciare un pezzo di quercia giovane, a forma di tronchetto preso dai boschi. Ma oggi nel Kosovo, per un serbo uscire dalle’enclave e andare in un bosco lì attorno, potrebbe significare rischiare la vita. Il 6 gennaio un autobus con sopra profughi serbi scappati da Djakovica, che stavano tornando a visitare il paese in occasione del Natale e visitare la locale Chiesa dell’’Assunzione, è stato attaccato da manifestanti albanesi e il loro autobus preso a sassate, spaccandone i vetri e ferendone alcuni; impedendogli così di vedere la Chiesa, in passato attaccata e danneggiata. A quel punto sotto scorta della polizia hanno dovutoandare via verso il Monastero di Decani, protetto dalle forze internazionali. Ogni anno la celebrazione del Natale in Kosovo per anni viene usata dai separatisti albanesi per dimostrare la loro protervia e forza, dimostrando così che i serbi non possono sentirsi liberi nel proprio paese e non hanno diritto di celebrare liberamente la più gioiosa festa cristiana. Quest’anno si potrebbe dire che è trascorso tutto bene perché non ci sono state risse o spari, tranne il fatto di Djakovica ma il cosiddetto stato di Kosovo ha trovato altri modi, ancora più sottili per dimostrare ai serbi e alla Serbia in che direzione va il loro futuro. Prima hanno rifiutato la richiesta del Presidente della Serbia Nikolic di partecipare il 7 gennaio alla liturgia di Natale nel Monastero di Gracanica, poi il giorno di Natale il responsabile del Governo serbo, dell’Ufficio per il Kosovo e Metohija, A. Vulin, ha dovuto abbandonare la provincia su richiesta della polizia kosovara, per l’alto rischio diincidenti; nel frattempo la stessa polizia kosovara ha arrestato dopo la liturgia, dieci giovani serbi che si trovavano con Vulin. “…È chiaro che si tratta di una provocazione, di una grave violenza. Ho saputo ufficiosamente che stanno tentando di accusarli di disturbo dell’ordine e della quiete pubblica, fino addirittura alla trasgressione dell’ordinamento costituzionale. Quando l’accusa è così vaga, e quando tutto è possibile, sapete che si tratta di pura ingiustizia”, ha dichiarato Vulin. Forse sarebbe il tempo di rivendicare i temi della libera celebrazione del Natale, della libera visita ai cimiteri, ai monasteri o delle proprie terre, perché il Kosovo è l’unico territorio in Europa dove non esiste la libertà di movimento…Ma dicono che è democratico. Tuttavia pur in tali condizioni disumanizzanti, ai bambini nulla può togliere la gioia portata dalla festa del Natale in sé, ed anche qui in questa terra martirizzata, sono i bambini che riescono ancora a sentire, nonostante tutto,gioia, la gioia del Natale. Questi bambini sono invisibili e inesistenti per la cosiddetta “ Comunità internazionale” occidentale e la sua opinione pubblica in gran parte ormai lobotomizzata, quotidianamente indignata o preoccupata per “diritti” negati o lesi in Paesi non loro alleati nella visione del mondo; a loro basta poco per lenire la barbaria di vite negate dentro le enclavi; una festa, una ricorrenza, un dono piccolo, semplice e in loro si rafforza la voglia, la gioia di vivere, comunque, nonostante tutto, nonostante terroristi, vandali, criminali, indistintamente sostenuti dai nostri governi di vari colori. E sono loro, i loro sorrisi, i loro semplici gesti di riconoscenza e affetto, che danno ancora a noi, la forza dell’impegno alla solidarietà concreta; che ci danno, insieme alle loro famiglie resistenti, il senso della vita…o meglio un senso alla nostra vita, in questo occidente opulento e perso dietro virtualità e inutilità esistenziali. Sono loro che ci aiutano atenere accesa la fiammella della speranza in un mondo diverso e migliore, con le loro famiglie che ancora non si sono arrese, difendendo le loro radici, i propri diritti, i propri costumi e tradizioni, ed anche la propria spiritualità…anche questo è “resistenza” alle ingiustizie e ai potenti del mondo e alle loro arroganze e violenze. Tutto questo nel letale silenzio della cosiddetta ” comunità internazionale” occidentale, dei suoi media, televisioni, giornali, siti web quotidianamente ”indignati” per violazioni di ”diritti umani” in alcuni paesi, stranamente muti rispetto ad altri ”scomodi”, forse perché allineati e subalterni alle loro politiche e interessi. Per qualcuno potrà sembrare anomalo questo mio lavoro, ma penso che, soprattutto in aree geografiche e storiche ben definite (di fatto tutto ciò che NON è occidente, dall’Eurasia al mondo arabo, a quello dell’estremo oriente, all’africanista’, all’indigenismo latinoamericano); in situazioni e fasi storiche definite, diarretramento di alternative reali e concrete, la spiritualità è utile all’esistenza di una coscienza collettiva, per questo èprofondamente radicata nelle identità culturali di molte società. Gli stessi processi “rivoluzionari” della storia, molti con basi marxiste, hanno intrecciato le loro politiche con i valori spirituali dei propri popoli e con i loro esponenti religiosi, se non ottusi o peggio reazionari, caratterizzandole con intelligenza e originalità; da Cuba (Castro con animismo e cristianità) al Vietnam (Ho Ci Minh e buddismo), dalla Cina ( Mao con taoismo e confucianesimo), al Sudafrica ( Mandela, il vescovo Tutu e l’anglicanesimo), dal Nicaragua sandinista ( Padre Ernesto Cardenal e cristianesimo) al Venezuela bolivariano ( Chavez e il cristianesimo e l’animismo indigeno); il profondo e stretto legame, costato carcere ed esilio a Mons. H. Capucci con la lotta del popolo palestinese; ai processi di emancipazione panarabi: Nasser, Hussein, Gheddafi, Ben Bella e gli intreccicon le culture musulmane; vedere ai giorni nostri come le fedi d’oriente siano in prima fila nella lotta per la difesa del proprio paese e popolo, e ferocemente attaccate; fino ai processi di liberazione del secolo scorso dell’Africa e le difformi, eterogenee intrecciature con le complesse diverse fedi dei propri popoli. Per non citare le vicende della lotta di liberazione in Europa contro il nazifascismo, dove soprattutto nei paesi dell’Est, terra dell’ortodossia, vi è stata una sintonia di intenti e valori per la difesa della propria terra e patria; dalla Jugoslavia ( fatta eccezione del clero croato, di fatto integratosi e identificatosi con la barbaria nazifascista), a quello che forse può apparire sorprendente, e che fu di fatto l’unione di intenti tra Stalin ed il Patriarca Alessio I, guida spirituale della più grande e forte Chiesa Ortodossa del mondo, nella lotta contro l’aggressione nazifascista. L’individualismo ha trovato il suo dispiegamento dall’inizio del secolo scorso,ma nella vita dei popoli la necessita’ della comunità è imprescindibile. Nei processi evolutivi storici la maggioranza degli individui ha sempre avuto un vitale bisogno di identificarsi con una comunità gruppo sociale di appartenenza. Anche facendo parte di un dato gruppo spirituale, gli individui trovano un conforto e un supporto contro isolamento o vessazioni, traendone spesso forza per la sopravvivenza. Queste schematiche e non certo esaurienti o profonde righe di sottolineatura, sono solo per avvicinare il lettore alla realtà del Kosovo, perché ritengo che raccontare come si vivono anche le giornate della spiritualità e del raccoglimento cristiani, sia un mezzo per continuare a denunciare l’ingiustizia e l’oppressione di un intero popolo, in quel pezzo di Balcani. Nelle società ci sono concetti variabili di spiritualità, in quelle terre socializzare con gli aspetti della spiritualità è molto comune in tutti: credenti, laici e anche non credenti; l’ho visto, vissuto, condivisostando tra loro e con loro, con il profondo onore di esserne considerato parte, condividendo la loro realtà, il loro dolore, le umiliazioni, le ingiustizie, le tragedie, la paura e anche il terrore in situazioni vissute insieme. Queste righe vogliono solo essere un accenno ai complessi e profondi legami tra gli aspetti sociali e la spiritualità nella realtà del Kosovo Methoija. Per cercare di far conoscere il come e perché spesso, dentro processi e fasi della storia, eventi politici si sono intrecciati lotte, resistenze, e la realtà delle credenze e delle fedi religiose, come parti integranti di un’unica società. Oggi nella realtà del Kosovo la spiritualità è una delle principali forme di socializzazione, avendo perso la politica, nelle sue attuali leadership ogni legittimità ( …ma questo vale anche a casa nostra…). I risultati di questa forma di socializzazione sono molto particolari e complessi in una società, come quella kosovara, reduce da una guerra quasi civile e con unaviolenza continua e quotidiana che continua, seppur non eclatante. La spiritualità in quella regione investe l’intera struttura sociale in modo diretto o indiretto, e ne è radicata parte; in questa fase essa svolge un ruolo positivo fondamentale di coesione e collegamento tra gli individui, garantendo una identità nazionale collettiva, sia sociale, che politica e culturale, che si interseca fortemente con una prospettiva di liberazione dall’oppressione, dall’ingiustizia e dall’arroganza dei padroni del mondo, è per esempio normale, che nelle manifestazioni di piazza, nelle iniziative di protesta i padri ortodossi siano in prima fila e protagonisti, determinati nella denuncia della situazione, così come pronti e disponibili al dialogo e al confronto sui temi e le questioni, finora negato. Semplicemente perché lì sono, lì vivono, lì con il proprio popolo condividono la drammatica realtà, ne sono parte di essa…non sono scappati, non sono altrove. Naturalmente è fondamentale enecessario non avere una cultura e un approccio eurocentrico, quindi oppressivo; o saccente con verità precostituite, quindi da far accettare.Enrico Vigna Vidovdan Guardo nel cielo, i secoli che passano Le antiche memorie sono l’unica cura Ovunque io vada, è a te che torno di nuovo Perché nessuno può togliermi dall’anima il Kosovo. Come l’eterna fiamma nei nostri cuori La battaglia del Kosovo resta l’unica certezza Ovunque io vada, è a te che torno di nuovo Perché nessuno può togliermi dall’anima il Kosovo. Perdonaci Signore tutti i nostri peccati Dai coraggio ai nostri figli e alle figlie Ovunque io vada, è a te che torno di nuovo Perché nessuno può togliermi dall’anima il Kosovo. Vidovdan è un canto dell’epopea serba. Il 28 giugno di ogni anno, giorno di San Vito ("Vidovdan"), i serbi commemorano la sconfitta del 1389 ad opera dei Turchi sulla piana di Campo dei Merli ("Kosovo Polje"), a pochi chilometri dall’odiernaPristina.
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