Renzi vuole fermare la criminalità Ma per l’Antimafia sono solo tagli
 











Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato giorni fa che tra le urgenze da affrontare c’è il contrasto economico alla criminalità organizzata. E ha fissato nero su bianco cinque punti per fermare “mafia spa”. Ha basato il suo ragionamento anche sul lavoro svolto durante il governo Letta da una commissione di cui facevano parte i magistrati Raffaele Cantone e Nicola Gratteri.
Ragionamenti e intenti validissimi, di cui si è parlato in passato in dibattiti e interviste fatte da politici e magistrati, senza però passare dalle parole ai fatti concreti. Adesso Renzi dice di voler portare sui tavoli del semestre europeo questi punti. Ed ecco che arriva la prima doccia fredda.
Il premier non ha tenuto conto di una serie di variabili che possono mettere subito ko la grande macchina di contrasto alle mafie. L’esempio è stato offerto in via riservata dalla Direzione investigativa antimafia, l’organo interforze voluto e pensato da GiovanniFalcone quando si inventò anche la procura nazionale antimafia.
Ventiquattro ore dopo l’uscita di Matteo Renzi con la sua ricetta contro la “mafia spa”, il direttore della Dia, Arturo De Felice, ha diramato una circolare a tutti i centri operativi sparsi sul territorio nazionale per dimezzare gli strumenti di controllo sulle imprese, società e persone fisiche. "Armi" che servono proprio a indagare sull’economia criminale. Il direttore della Dia la chiama “rimodulazione” o “razionalizzazione”, ma in pratica è il dimezzamento di accessi per gli operatori di polizia giudiziaria alle banche dati delle forze dell’ordine (Sdi) o delle camere di commercio (Infocamere). Sono strumenti fondamentali per un apparato investigativo come la Dia, che da anni è chiamata a controllare e contrastare gli affari mafiosi e il riciclagio, le infiltrazioni dei clan negli appalti pubblici e a proporre ai giudici sequestri di beni in mano alle mafie.
La Dia è stata chiamata a controllare e dunque evitarele infiltrazioni nei lavori dell’Expo di Milano e grazie a queste banche dati è possibile conoscere in tempo reale la formazione delle compagini societarie, i precedenti penali di operai o imprenditori. In questo modo si traccia subito uno screening informativo.
Lo Sdi è un sistema interforze che permette di avere a disposizione un’unica banca dati dove i vari tipi di informazioni vengono alimentate in un unico formato da tutte le forze di polizia. È un sistema chiuso, accessibile solo da postazioni di lavoro certificate che consentono l’acquisizione delle informazioni utilizzando una rete intranet, senza esporsi ad interazioni con la rete pubblica. L’accesso alla banca dati è possibile solo a persone autorizzate e con abilitazione di un apposito profilo, diversificato a seconda delle informazioni che il personale deve conoscere, in ragione delle mansioni da svolgere. Adesso, secondo il direttore della Dia, il numero delle credenziali di accesso deve essere “rimodulato”, cioè,ridotto.
Secondo De Felice «la necessità di un adeguato uso del sistema impone, sulla scorta anche delle cogenti prescrizioni impartite nel tempo dal Garante sulla privacy, una limitazione sulle abilitazioni all’utilizzo dello Sdi». È una notizia che fa saltare sulla sedia tutti gli investigatori. È come dire: le pistole possono uccidere e non tutti gli investigatori le possono avere. La colpa in questo caso sembra essere stata scaricata su provvedimenti emanati dal Garante sulla privacy a cui De Felice nella sua circolare fa riferimento.
Saranno razionalizzate anche le abilitazioni agli accessi Infocamere perché qui c’è un problema economico. Questo importante database è a pagamento, ma le forze dell’ordine godono di buone convenzioni. «La più volte richiamata contingenza economica e la conseguente necessità di una concreta razionalizzazione delle risorse, impongono una riflessione sulle attribuzioni delle abilitazioni al sistema Infocamere» scrive il direttore della Dia nellacircolare. De Felice però sottolinea che ha “riguardo” del «perseguimento degli obiettivi istituzionali» e nonostante ciò «provvederà a rimodulare i criteri di assegnazione delle credenziali di accesso ai vari operatori della Dia». Con queste armi spuntate come si può pensare di avviare il contrasto a quell’economia criminale che colpisce imprese e società al collasso.
La Direzione investigativa antimafia in questi ultimi anni ha subito pesanti ridimensionamenti, anche se la legge stabilisce che dovrebbe essere un organo interforze a cui dovrebbero fare capo per le indagini antimafia le altre forze di polizia. Come previsto dal testo unico antimafia varato dal ministro Alfano. Ma è una norma rimasta inattuata.
Oltre che negli strumenti la Dia ha subito riduzioni anche nel trattamento dell’organico, con i costanti tagli al bilancio. L’ultimo riguarda il “Tea”, il trattamento economico accessorio che viene erogato ai 1.300 dipendenti. Sino a due anni fa questa voce di bilancio -che rappresenta il 20 per cento dello stipendio - era considerata una spesa obbligatoria. Dal 2011 in poi, con le leggi di stabilità, il “Tea” per gli uomini dell’Antimafia rischia di diventare un miraggio, perché quelle somme non sono più stanziate automaticamente per legge, ma soggette alla discrezionalità dell’Esecutivo che ne dispone il pagamento con successivo decreto.
Per garantire il “Tea” servirebbero 6 milioni di euro l’anno, ma la somma disponibile ammonta a poco più della metà. Dal 2001 al 2012 il bilancio della Dia è passato da 28 milioni di euro a 17. E c’è pure carenza di personale: per lavorare a pieno regime la pianta organica prevede circa tremila tra funzionari e investigatori. In servizio ce ne sono meno della metà.
La speranza è che almeno questo punto, il sostegno economico all’antimafia, possa essere inserito dal presidente del consiglio Matteo Renzi fra quelli che ha previsto contro la “mafia spa”. Lirio Abbate,l’espresso









   
 



 
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