Raccontare mafie e antimafia attraverso storie semplici,vicende umane e giudiziarie,tra nobiltà e abiezione,tragedia e speranze
 











Papa contro la mafia: "Convertitevi o per voi l’inferno"
"Per favore cambiate vita, convertitevi, fermatevi di fare il male!". Con queste parole Papa Francesco si è rivolto "agli uomini e alle donne mafiosi" nel suo discorso in occasione della veglia di Libera per le vittime delle mafie nella chiesa di San Gregorio VII a Roma. Visibilmente commosso, il pontefice ha scelto di rivolgersi direttamente ai carnefici. Stesso moto di Giovanni Paolo II nella Valle dei templi, ma con il tono di una preghiera e il linguaggio del gesuita. "Convertitevi - ha proseguito - per non finire all’inferno, è quello che vi aspetta se continuate su questa strada. Avete un papà e una mamma, pensate a loro. Il potere, il denaro che voi avere adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi è denaro insanguinato, è potere insanguinato e non potrete portarlo all’altra vita". "Il desiderio che sento è di condividere con voi una speranza: che il senso di responsabilità piano piano vinca sulla corruzione in ogni parte del mondo e questo deve partire dalle coscienze e da lì risanare le relazioni, le scelte, il tessuto sociale così che la giustizia prenda il posto dell’iniquità", ha aggiunto il pontefice.
L’attesa. C’era attesa questo pomeriggio nella Chiesa di San Gregorio VII di Roma per l’incontro fra il Papa e i partecipanti alla veglia di preghiera promossa dalla fondazione Libera nella ricorrenza della XIX Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Era la prima volta che un papa pregava insieme ai parenti delle vittime delle mafie. Al suo arrivo il pontefice ha abbracciato don Ciotti e stretto la mano al presidente del Senato Pietro Grasso, ex procuratore nazionale antimafia. Poi ha salutato alcuni dei fedeli presenti dinanzi alla chiesa, poi è entrato all’interno tenendosi mano nella mano con il fondatore di Libera.
Don Ciotti: "Dalla Chiesa anche silenzi". All’inizio della veglia don Ciotti ha
ricordato che "non sempre la Chiesa ha mostrato attenzione alle vittime delle mafie e al fenomeno della criminalità organizzata". "Non sono mancati - infatti - eccessi di prudenza e sottovalutazione, ma per fortuna c’è stata anche tanta luce: il grido profetico di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi e l’invito di Benedetto XVI a Palermo, quando ci ha chiesto: non cedete alla suggestioni della mafia, che è una strada di morte. Ma non basta", ha detto don Ciotti. "Le mafie, la corruzione, l’illegalità, la violenza assassinano la speranza e sono queste speranze spezzate o soffocate che oggi vogliamo condividere - ha aggiunto - . Perché caro papa Francesco, il 70% dei familiari delle vittime di mafia non conosce la verità. Penso ad Attilio Manca, a Ilaria Alpi". Poco prima il fondatore di Libera ha ricordato che fra le vittime della mafia ci sono 80 bambini.
L’appello dei familiari. Una folla di fedeli si era riunita fin dalle prime ore del pomeriggio davanti alla chiesa, fra loro oltre 900 familiari delle vittime, in rappresentanza delle oltre 15 mila persone che hanno perso un loro caro per mano della violenza mafiosa. Fra le persone presenti anche i fratelli di don Pino Puglisi e di don Giuseppe Diana. "Ci guardi, Santo Padre. Guardi ognuno di noi, legga nei nostri occhi il dolore della perdita di un padre, di una madre, di un figlio, di un fratello, di una sorella, di una moglie, di un marito. Guardi nel nostro volto i segni della loro assenza, ma anche del loro coraggio, del loro orgoglio della nostra voglia di vivere", ha detto all’inizio della veglia Stefania Grasso, figlia di Vincenzo Grasso, l’imprenditore ucciso dalla ’ndrangheta a Locri il 20 marzo 1989.
I preti e i boss
Le parole pronunciate dal Papa sono parole definitive. Tuonano forti non a San Pietro dove saranno risultate naturali, persino ovvie. Tuonano epocali a Locri, Casal di Principe, Natile di Careri, San Luca, Secondigliano, Gela.
E in quelle terre dove l’azione
mafiosa si è sempre accompagnata ad atteggiamenti religiosi ostentati in pubblico. Chi non conosce i rapporti tra cosche e Chiesa potrà credere che sia evidente la contraddizione tra la parola di Cristo e il potere mafioso. Non è così. Per i capi delle organizzazioni criminali il loro comportamento è cristiano e cristiana è l’azione degli affiliati. In nome di Cristo e della Madonna si svolge la loro vita e la Santa Romana Chiesa è il riferimento dell’organizzazione.
Per quanto assurdo possa apparire il boss - come mi è capitato di scrivere già diverse volte - considera la propria azione paragonabile al calvario di Cristo, perché assume sulla propria coscienza il dolore e la colpa del peccato per il benessere degli uomini su cui comanda. Il "bene" è ottenuto quando le decisioni del boss sono a vantaggio di tutti gli affiliati del territorio su cui comanda. Il potere è espressione di un ordine provvidenziale: anche uccidere diventa un atto giusto e necessario, che Dio perdonerà, se la vittima metteva a rischio la tranquillità, la pace, la sicurezza della "famiglia".
C’è tutta una ritualità distorta di provenienza religiosa che regola la cultura delle cosche. L’affiliazione alla ’ndrangheta avviene attraverso la "santina", l’effigie di un santo su carta, con una preghiera. San Michele Arcangelo è il santo che protegge le ’ndrine: sulla sua figura si fa colare il sangue dell’affiliato nel rito dell’iniziazione. Padre Pio è il santo la cui icona è in ogni cella di camorrista, in ogni casa di camorrista, in ogni portafoglio di affiliato. Nicola, ex appartenente al clan Cesarano ha raccontato: "Mi sono salvato una volta, quando ero giovane, perché un proiettile è stato deviato. I medici mi hanno detto che è stata una costola a evitare che il colpo fosse mortale. Ma io non ci credo. Quello che mi ha sparato mi ha sparato al cuore, non è stata la costola, è stata la Madonna".  La Madonna, oggetto di preghiere: è a lei che ci si rivolge per sovrintendere gli
Roberto Saviano
omicidi. In quanto donna e madre di Cristo sopporta il dolore del sangue e perdona. Rosetta Cutolo veniva trovata in chiesa nelle ore delle mattanze ordinate da don Raffaele: pregava la Madonna di intercedere presso Cristo per far comprendere che la condanna a morte e la violenza era necessaria. A Pignataro Maggiore esiste "la madonna della camorra" che il defunto boss Raffaele Lubrano ucciso in un agguato nel 2002, fece restaurare a sue spese, nella sala Moscati attigua alla chiesa madre.
Anche Giovanni Paolo II aveva pronunciato - il 9 maggio del 1993 ad Agrigento - un attacco durissimo alla mafia: "convertitevi una volta verrà il giudizio di Dio". Due mesi dopo i corleonesi misero una bomba a San Giovanni in Laterano. Ma Francesco I non parla solo a chi spara: ha abbracciato i parenti delle vittime della mafia, ha abbracciato don Luigi Ciotti, un sacerdote che non era mai stato accolto da un pontefice in Vaticano e con Libera è diventato l’emblema di una chiesa di strada, che si impegna contro il potere criminale. La chiesa di don Diana, che fu lasciato solo a combattere la sua battaglia. Oggi Francesco invita a stare a fianco dei don Diana. Le sue parole rompono l’ambiguità in cui vivono quelle parti di chiesa che da sempre fanno finta di non vedere, che sono accondiscendenti verso le mafie, e che si giustificano in nome di una "vicinanza alle anime perdute".
Gli affiliati non temono l’inferno promesso dal Papa: lo conoscono in vita. Temono invece una chiesa che diventa prassi antimafiosa. Le parole di Francesco I potranno cambiare qualcosa davvero se la borghesia mafiosa sarà messa in crisi da questa presa di posizione, se l’opera pastorale della chiesa davvero inizierà a isolare il danaro criminale, il potere politico condizionato dai loro voti. Insomma se tutta la chiesa - e non solo pochi coraggiosi sacerdoti - sarà davvero parte attiva nella lotta ai capitali criminali. Dopo queste parole o sarà così o non sarà più Chiesa. Roberto
Saviano,repubblica
"Ora ci sentiamo meno soli". I familiari delle vittime di mafia ringraziano il Papa
Vincenzo Agostino la sua barba bianca non la può ancora tagliare, ma stasera la portava via più leggera. "Mi sento meno solo", ha confessato dopo aver seguito con lo sguardo papa Francesco che usciva dalla chiesa di San Gregorio VII. Poi si è voltato verso la nipote: "Ora posso sperare che quello che è successo a mio figlio non capiti ancora". Suo figlio era Antonino, agente di polizia ucciso a Palermo poco dopo l’attentato fallito contro Giovanni Falcone all’Addaura, nel pieno della stagione dei misteri. Vincenzo, alla veglia organizzata da Libera per ricordare le vittime innocenti delle mafie, ha la sua foto stampata sulla maglietta. E quella barba, che ha giurato che non taglierà finché la verità sulla morte del figlio non verrà fuori. "Vorrei che altri si schierassero con la stessa chiarezza che ha avuto il Papa, magari anche qui, nei palazzi del potere dello Stato, dove invece si portano avanti altri interessi", ha detto con l’accento palermitano e la voce emozionata.
Erano tutti "accomunati dal bisogno di giustizia" gli oltre 900 familiari delle vittime di mafia accorse all’incontro con il pontefice. Lo ha sottolineato don Ciotti all’inizio ricordando pure che in chiesa c’erano persone con "storie e riferimenti diversi". Credenti e non credenti, ma accomunati da un’orazione scandita nella lettura di un elenco di nomi che il fondatore di Libera ha definito "lungo, lungo e ancora lungo", anche se l’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli, l’ultimo a salire sull’altare per proclamarlo, ha concluso precisando che non è completo: "Con loro vogliamo ricordare anche coloro dei quali non siamo riusciti a conoscere la sorte ma per tutti c’è la promessa del nostro impegno".
Papa Francesco ha ascoltato con la testa bassa e le mani giunte quella giaculatoria di dolore che si è spezzata solo quando una delle voci che la declamavano ha
pronunciato un "grazie Gesù" con un singhiozzo che a fatto tornare indietro di ventidue anni: è la vedova di Vito Schifani, l’agente di scorta di Giovanni Falcone, che commosse l’Italia durante i funerali a Palermo. Ma se allora il suo grido era disperato, stavolta il suo pianto è liberatorio.  Tra i banchi la lista è stata ascoltata in silenzio, con gli applausi a scandire il cambio dei lettori che si sono alternati per decine di minuti. Qualcuno stringeva la foto del proprio familiare, altri sotto all’immagine avevano riportato una frase, come per il carabiniere Salvatore Nuvoletta, caduto sotto ai colpi della camorra a Casal di Principe nel 1982. C’era anche chi si raccoglieva in preghiera sull’esempio di Bergoglio.
"Per tutti loro la presenza del Papa è stata simbolica, ma è anche un impegno da parte della Chiesa a stare dalla parte di chi si impegna a saldare la terra con il cielo", ha commentato Don Ciotti, che  ha ammesso gli "eccessi di prudenza" e le "sottovalutazioni" del fenomeno mafioso da parte del mondo ecclesiale ma ha voluto anche che in prima fila ci fossero i fratelli del beato don Pino Puglisi e quelli di don Peppino Diana, due sacerdoti uccisi dalle cosche per la loro testimonianza evangelica. E vicino al Papa, il fondatore di Libera che durante il suo intervento si è rivolto al pontefice dandogli del "tu", ha invitato a sedersi altri preti, quelli che sul territorio danno testimonianza, ha detto, "dell’incompatibilità assoluta tra il messaggio cristiano e la cultura mafiosa". Francesco li ha salutati tutti, dopo la veglia: "E’ una parte di Chiesa  -  ha precisato don Ciotti  -  che per lungo tempo è stata etichettata, isolata: non sono preti antimafia o di strada, sono solo preti".
Prima di andare via un altro saluto particolare il Papa lo ha riservato in una stanza laterale a cinque persone che non potevano nemmeno permettersi di pregare in pubblico con lui. Per loro la minaccia delle mafie è ad alto rischio
e vivono sotto protezione. Bergoglio le ha incontrate per infondere loro coraggio. Si sono guardati, il Papa li ha abbracciati, baciati. Senza parlare. "Non serviva, si sono detti tutto con gli occhi" dice don Ciotti. Andrea Gualtieri,repubblica
Latina, in 100mila al corteo di Libera contro le mafie. Don Ciotti: "In Italia nessuna verità sulle stragi"
In 100mila in marcia contro le mafie. Latina si è riempita di giovani studenti, anziani, famiglie e bambini per la XIX edizione della Giornata dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie organizzata da Libera e Avviso pubblico. Nel capoluogo pontino sono arrivate anche le biciclette della ’Transumanza per la legalità’, e poi tanti cittadini che hanno preso parte alla grande manifestazione per stringersi intorno ai familiari delle vittime innocenti della criminalità organizzata, tutti uniti dal comune sentimento di giustizia e di legalità.
"Siamo venuti qui per affetto, stima e riconoscenza per questo territorio, qui ci sono belle persone e belle risorse - ha detto don Ciotti in testa al corteo - Siamo venuti per cercare verità per don Cesare Boschin e tanti altri e per non dimenticare che le organizzazioni mafiose attraversano tutto il territorio e anche l’Agro Pontino. Ho trovato migliaia di ragazzi, qui c’è un’Italia intera che si è data appuntamento", ricordando che ieri "il Papa è stato chiaro: ’Piangete e convertitevi, in ginocchio chiedo di cambiare vita’". "Le nostre antenne di cittadini ed associazioni - continua don Ciotti - ci dicono che qui le mafie non sono infiltrate, sono presenti. Fanno i loro affari nel settore dell’economia e della finanza. Se fosse solo un problema di criminalità basterebbero le forze dell’ordine ma è anche un problema di case, di povertà e di politiche sociali". Sul caso rifiuti e sulle dichiarazioni del pentito Schiavone, don Ciotti ha ricordato: "Si sapeva da vent’anni, mi sono stupito di chi si è stupito. Boschin vedeva tutto questo dalla suafinestra e sulla sua morte non sappiamo ancora la verità. Non c’è strage in Italia di cui si conosca la verità".La stola di don Giuseppe Diana. Prima della benedizione finale, don Ciotti ha consegnato a papa Francesco la stola che era di don Giuseppe Diana, il prete assassinato dalla camorra a Casal di Principe, di cui due giorni fa è ricorso il ventesimo anniversario della morte. Il Papa l’ha quindi indossata, impartendo poi la benedizione ai presenti nella chiesa di San Gregorio VII.
Il corteo ha sfilato fino a piazza del Popolo a Latina per il momento clou della giornata con gli interventi dei relatori che hanno preceduto il saluto finale di Don Ciotti. Sul palco a pedali allestito nel cuore della città, in un silenzio surreale rotto solo dagli applausi della folla, sono stati scanditi le oltre 900 vittime della mafia: da Giovanni Falcone a Paolo Borsellini e Peppino Impastato. Commozione anche quando sono stati nominati Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, la giornalista del Tg3 e l’operatore, uccisi 20 anni fa, il 20 marzo 1994, lungo una strada di Mogadiscio, in Somalia. Tre i maxi schermi allestiti per seguire gli eventi: uno in piazza San Marco, uno in viale Italia e uno in piazza del Popolo.
Don Ciotti ha parlato della prescrizione e delle attuali leggi anticorruzione ancora poco incisive: "Chiediamo che la politica decreti per legge il 21 marzo come Giornata nazionale per le vittime di tutte le mafie: le sveglie delle nostre coscienze sono loro, che sono caduti per la legalità e per la giustizia - ha aggiunto don Ciotti - Per vivere ci vuole coraggio, non perché la vita sia difficile o spavantosa: ci vuole coraggio perché così la vita è più vera. Siamo tutti fragili e piccoli ma metterci in gioco significa vincere e si eviterà l’errore più grande: vivere senza aver davvero vissuto. Auguri e grazie a tutti: a Latina e alla Regione Lazio che ci ha accolto. Giovani voi siete me-ra-vi-glio-si", ha concluso così il suo discorso, intorno alle 13, e lamanifestazione è terminata. Si prosegue nel pomeriggio e in serata con numerosi seminari, spettacoli e mostre. Da questa mattina, le strade del centro di latina sono state chiuse al traffico prima della partenza del corteo.
Al corteo, con Don Ciotti, si sono uniti anche il presidente del Senato Pietro Grasso, Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, il procuratore Giancarlo Caselli, la presidente della commissione antimafia Rosy Bindi, il vescovo di Latina Monsignor Mariano Crociata, numerosi parlamentari pontini e il sindaco di Latina Giovanni Di Giorgi. E’ atteso l’arrivo del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Grasso, ex procuratore antimafia, è arrivato accompagnato dai massimi esponenti delle forze dell’ordine tra cui il questore Alberto Intini, il comandante della Guardia di finanza Giovanni Reccia e il comandante provinciale dei carabinieri Giovanni De Chiara.
"Essere qui ha un significato ben preciso, per noi è un segnale importante - ha detto il presidente del Senato - Il Parlamento ha in esame diverse iniziative come quella sul voto di scambio che dovrà passare in Senato. Ci sono poi iniziative governative perché la lotta alla criminalità è una priorità per il governo". Grasso ha infine ricordato quanti sono morti a causa della mafia e ha ribadito l’impegno del Parlamento e del governo per dare risposte ai familiari. "Ci sono ancora familiari delle vittime delle mafie - ha detto - che aspettano i risarcimenti".
"La risposta più urgente che possiamo dare è un rafforzamento degli strumenti per il contrasto alla criminalità economica, al potere economico delle mafie. Stiamo lavorando per dare a breve risposte in questo senso", ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Il ministro ha poi sottolineato il riconoscimento che lo Stato deve a questa giornata "che è ormai entrata nel calendario civile degli italiani". E ha concluso: "Occorre costruire norme che avvicinino lo Stato a quanti conducono quotidianamente la lotta allemafie".
"Oggi siamo tutti responsabili - ha commentato Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia - Confidiamo nella richiesta di conversione che il Papa ha fatto ieri in maniera forte nei confronti degli uomini e delle donne di mafia. I mafiosi sono forti perché qualcuno si gira dall’altra parte, c’è qualcuno che pensa che ci si possa convivere o fare affari - ha aggiunto - Si deve dire di no con forza. Se da queste giornate ci sarà una persona in più che vuole fare la lotta alla mafia abbiamo ottenuto un risultato importante".Valeria Forgione-Manuel Massimo,repubblica

 

 









   
 



 
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