Fuochi SALVIFICI LE PROPRIETÀ ANDATE IN FUMO
 







di Filippo Del Lucchese




Se i roghi di auto nelle notti bollenti delle banlieues francesi vi sembrano privi di senso, sentite un po’ questa. Crisi economica e recessione negli Usa, «tragica realtà» o «allarme ingiustificato»? Per avere una risposta sembra utile rivolgersi non tanto a economisti e analisti, ma ai pompieri. Se l’economia cresce, i roghi diminuiscono, se rallenta non ci sono abbastanza cisterne per spegnere gli incendi. Cominciamo con le case. La recente crisi del mercato immobiliare è stata descritta in lungo e in largo, salvo forse per questo «scottante» aspetto. Sul piano economico le cose sono abbastanza chiare: negli ultimi anni, seguendo (e alimentando) la bolla speculativa, le banche hanno deciso di espandere il settore dei subprime. Quei prestiti, cioè, concessi a chi non offre una situazione finanziaria tale da garantire gli standard per la restituzione del premio. Con la cartolarizzazione, poi, i mutui sono rivenduti sui mercati internazionali, sollevando le banche dalla responsabilitàdi verificare che il debitore sia in grado di ripagare il prestito. Con i subprime, infatti, si abbassano gli standard richiesti, si punta sul tasso variabile, si allunga il periodo previsto per il rimborso, e tutti vissero felici e contenti con la casa di proprietà, che è forse il principale status symbol interclassista a stelle e strisce. Tutto bene, finché il mercato regge e si gioca a nascondino passando di mano in mano (cioè di banca in banca) questi pacchetti creditizi. Acquistare debiti è stata per anni una delle attività più lucrative nel settore finanziario. Ma il sistema, per parafrasare Günter Grass, è come un cesso intasato: più tiri la catena e più la merda viene a galla, finché un giorno la bolla scoppia e chi ha «osato» troppo paga: un pugno di banche particolarmente esposte e i «maldestri» debitori: 1,3 milioni di famiglie che perdono la propria casa e si trovano sotto sfratto nel solo 2007, il 79% in più dell’anno precedente. In inglese, il «processo esecutivo» concui il creditore si riappropria del bene, sottraendolo al debitore insolvente, si chiama foreclosure. Una parola interessante, che rimanda al dominio della psicologia e alla «forclusione», parente inasprito della «rimozione»: mentre in questa il rimosso può infine riemergere, nella forclusione questo ritorno non è dato. Sogni infranti Ora, sembra accadere il contrario. Mentre le banche voltano pagina, cosa fanno gli sfrattati? Qualcuno piange il sogno di una casa andato in fumo, qualcun altro perferisce mandare in fumo la casa stessa. C’è chi simula un furto andato storto, chiedendo a un amico di essere legato a una sedia, appiccare il fuoco e chiamare (in fretta) i pompieri. C’è chi, semplicemente, cosparge tutto di benzina, getta il cerino e si siede sul ciglio della strada, sorseggiando una birra e godendosi lo spettacolo. In assenza di statistiche esaustive le ipotesi si moltiplicano sulle ragioni dei roghi: dalla «banale» truffa (riscuotere il premio di un’assicurazione sullacasa) alla ancor più «banale» disperazione (se non posso avere la mia casa, nessuno l’avrà). Altri vanno indietro con la memoria, ricordando che il fenomeno è tutt’altro che nuovo. Quando il mercato salta, per non parlare dei legami sociali, sono interi quartieri ad andare in fumo, come il South Bronx nella calda estate del 1977 o la città di Utica (NY), quando vent’anni dopo viene dichiarato il coprifuoco (mai parola fu più azzeccata) e la Guardia Nazionale deve intervenire per rimediare a una delle «crisi incendiarie» più gravi degli Stati Uniti. Altri ancora dicono che si tratta di pure illazioni e che il raddoppiare dei casi «sospetti», come in California nell’ultimo anno, non è ancora indicativo di una tale epidemia. Questa cautela, in un paese che ha fatto dell’«emergenza» una ragione di vita, è davvero significativa. I media, com’è naturale, sono attenti al fenomeno delle foreclosures. Non proprio a questo aspetto però: una delle principali preoccupazioni, ad esempio, sono lezanzare. Quando gli inquilini lasciano le case, non si preoccupano certo di svuotare le piscine, che nella stagione calda diventano dei veri e propri ricettacoli in cui si formano milioni di fastidiosi insetti, portatori nel peggiore dei casi del temibile virus del Nilo. Un altro problema attraverso cui i media si esercitano nell’arte della rimozione, in un terribile gioco al massacro tra i sommersi e i salvati, è la svalutazione della proprietà immobiliare: l’incuria in cui languono le case abbandonate mina il buon nome di interi quartieri, facendo calare anche il valore degli immobili dei vicini, che insolventi magari non sono ma che si trovano ad abitare nel posto sbagliato. Oppure, un’altra strategia retorica davvero formidabile consiste nel mischiare ogni tipo di «fuoco», mettendo in un unico calderone le vittime umane di roghi non dolosi con gli incendi dei boschi e le speculazioni finanziarie, mantenendo un basso profilo sul fenomeno politicamente e socialmente piùsignificativo: la distruzione deliberata della proprietà, che se una volta era «privata», ora è solo «perduta». Può darsi che si tratti di pure illazioni, di voci messe in giro dai soliti anti-americani o disfattisti di turno. Facciamo allora un piccolo salto e cambiamo prospettiva, per vedere cosa succede in un diverso mercato. La California - e Los Angeles in particolare - rappresenta la civiltà dell’automobile, ancora uno dei principali status symbol di questo paese. Nel ridicolo sottosviluppo della rete di trasporti pubblici, nella città degli angeli o si ha un’auto o non si vive. Curiosa, però, è l’impressione che si ha guidando tutto d’un fiato dai ricchissimi quartieri di Bel Air o Beverly Hills, ai poverissimi quartieri di Pico Union o South Central. Com’è possibile incontrare la stessa quantità di Suv, di Hummer, Mercedes o BMW da una parte della città, dove il reddito medio annuo è 100mila dollari, all’altra, dove invece è di soli 9mila dollari? Certo l’illegale gioca unruolo, ma non spiega tutto, se proviamo a interpellare di nuovo il nostro pompiere-economista. Status symbol chiavi in mano L’evoluzione del mercato creditizio fa crescere il numero delle auto andate in fiamme. Non tutte in una notte, come appunto nelle banlieues francesi, ma con lento snocciolarsi mese dopo mese, anno dopo anno. Cosa accade, di preciso, in quest’altra no man’s land del mercato creditizio? Diciamo che voglio un’auto, che non sia «solo» un’auto ma che mi faccia anche sentire qualcuno o qualcosa. Se sono ricco, firmo l’assegno ed esco dalla concessionaria «chiavi in mano». Se sono povero, nessun problema. Il dealer - ma sarebbe meglio, davvero, chiamarlo pusher - non fa una piega e senza perdere il suo sorriso californiano dice che posso portarmi a casa l’auto senza bisogno di controllare la mia «storia creditizia» e senza tirare fuori un dollaro e con una rata di 300 dollari al mese (circa 200 euro al cambio attuale). Naturalmente non si scende troppo nei dettagli.Se voglio l’auto, non mi preoccupo del fatto che il prestito può arrivare anche a 7-8 anni, con un tasso di interesse assurdo: chiunque abbia un lavoro può pagare la rata mensile. Ma il lavoro va e viene. Oppure accade ciò che non era difficile immaginare. Dopo tre, quattro anni la macchina comincia ad avere bisogno di manutenzione, oppure semplicemente esce un modello nuovo, più grande e più bello. Allora entro dal rivenditore e, di nuovo, il pusher non fa una piega. Anzi, è ben contento di spiegarmi che se voglio cambiare l’auto basta prendere il debito residuo e metterlo insieme a quello nuovo, con un tasso ancora più assurdo, un periodo di estinzione del debito ancora più lungo ma, naturalmente, una rata mensile alla portata delle mie tasche. Al terzo o quarto passaggio di questo tipo non è raro trovarsi indebitati per 60-70 mila dollari per un’auto che vale la metà. Ora, nel mercato immobiliare si riteneva che a un alto indebitamento corrispondesse una crescita del valore dimercato dell’investimento, com’era avvenuto negli ultimi anni ben oltre ogni ragionevole aspettativa. L’ipotesi, con l’esplosione della bolla, si è rivelata inconsistente e sta di fatto inchiodando i proprietari di case al proprio acquisto: in caso di difficoltà, non si può più neanche rivendere l’immobile, che vale ora meno di quando è stato acquistato. Per le auto, invece, il loro valore si «consuma» velocemente, molto più velocemente della durata del prestito contratto per acquistarle. Ecco allora un altro tipo di bolla, di cui il pompiere si accorge subito, perché se non riesco più a fare il pieno di benzina, o a pagare la rata o semplicemente cerco una exit strategy dalla gabbia del debito, il modo migliore è dar fuoco all’auto. E qui, ancora una volta, si hanno gli esempi più tragicomici: un rivenditore è stato arrestato in Texas con l’accusa di offrire un servizio davvero speciale: si sarebbe occupato lui di incendiare l’auto, dividendo con il proprietario il premioassicurativo e finanziando l’acquisto della nuova auto. Oppure, nello stesso Stato, due studenti sono finiti in manette insieme al professore, con l’accusa di avergli bruciato l’auto in cambio della promozione, poiché il docente voleva un nuovo modello. Pratiche di resistenza Gli italiani - maestri nel settore - non impallidiranno certo di fronte ai racconti di truffe assicurative. Tuttavia qui c’è qualcosa di più. Non si tratta solo di spillare qualche soldo alle odiate compagnie, né di disperazione autodistruttiva. C’è un fenomeno interessante di resistenza nei confronti di un mercato la cui esistenza dipende dal drenaggio forsennato di denaro dai poveri ai ricchi: il subprime e suoi derivati sono davvero la cifra di un vampirismo che coniuga l’induzione di bisogni e la scelta mirata delle popolazioni a più alto «rischio» speculativo. E tuttavia non è solo il capitale, questa volta, a fare «terra bruciata». Il rogo, dell’auto o della casa, può certo essere un gesto disperato. Marisponde anche a strategie sottili di sopravvivenza in un sistema che è tutto fuorché impazzito, che calcola i rischi e i profitti corrispondenti. I subprime più estremi, oggi, sono quasi scomparsi. Dunque l’«affidabilità» del debitore torna a essere essenziale, non solo per acquistare, ma anche per affittare un immobile. Bruciare in tempo utile la casa può aiutare a uscire indenni da un indebitamento insostenibile e ritentare successivamente. Bruciare la propria auto invece di consegnarla alla banca può evitare l’infame etichetta di «insolvente» e conservare lo status di debitore appetibile. Naturalmente le autorità non stanno a guardare. Ma il debitore incendiario «scommette» di non esser pizzicato, di non essere condannato e di farla franca. Ciò di cui nessuna statistica potrà mai render conto, è la sottile e strisciante vendetta, che solo una certa distanza dalla massa critica impedisce ancora di chiamare sabotaggio. Nella scena in cui Bonnie Parker e Clyde Barrow si esercitanoal tiro con le colt 45 automatiche, nel bellissimo film di Arthur Penn che annuncia il Sessantotto, credono di trovarsi in una casa disabitata. In realtà - siamo all’inizio degli anni Trenta, sullo sfondo della Grande Depressione - i due malviventi sono sorpresi da una famiglia di poveri contadini che viveva in quella casa e che, vittime di una foreclosure, sono venuti a visitare per l’ultima volta. «Noi rapiniamo banche», dice fiero Clyde, e i colpi delle colt si scatenano senza pietà contro il cartello che indica lo sfratto. Quei colpi sembrano davvero risuonare nel crepitio di questi roghi del ventunesimo secolo.de Il Manifesto







   
 



 
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