M5S: "Non ci resta che sperare in Razzi e Scilipoti, che mandino tutto all’aria"
 











Il bicameralismo perfetto non si tocca. La carta costituzionale, a parte qualche “manutenzione”, è sacra. Non resta che “sperare in Razzi e Scilipoti”, che facciano saltare tutto loro. Perché “il Senato si può diminuire come numero di componenti e come costi, ma ci vuole”. Ecco, in sintesi, il pensiero a Cinque Stelle, da Luigi Di Maio a Grillo e il suo blog, dopo il varo da parte del governo della riforma del Senato. Piuttosto sorprendente, ma vero.
Sbarcato nei Palazzi per aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, contraddittoriamente animato da un istinto a monolite che portava a considerare moralmente riprovevoli principi (pur tratti dalla sacra Costituzione) come l’assenza di vincolo di mandato per i parlamentari, Grillo si ritrova improvvisamente dall’altra parte della barricata. All’apparenza, certo: ma l’apparenza è tutto, a volte. Tant’è che intervistato da Ballarò, Matteo Renzi, che (elettoralmente) ha in testa anzitutto difar concorrenza a Grillo, ci si butta a pesce: “Grillo mantiene la casta perché vuole qualcosa a cui attaccarsi”. Di questo passo finirà a dargli del morto vivente, chissà.
Et voilà, comunque, parti invertite. E’ Grillo che vuole la casta, è Grillo che vuole il Senato: io Matteo Renzi, lo vorrei abolire. Potere della comunicazione, e dello spin che la fa girare. Perché qui non si tratta tanto di questioni di sostanza, di come è davvero la riforma che cambia (e non abolisce) il Senato: ma di come la si racconta e s’appare. Così, mentre il premier si avventa contro le mezze misure bollando le perplessità come “benaltrismo”, Luigi Di Maio, vicepresidente di Montecitorio, considerato da molti il futuro del grillismo, si ritrova in fondo a difendere lo status quo dalle colonne del Corriere della Sera: in una lettera, spiega che il bicameralismo è in realtà "un virtuoso meccanismo tramite il quale il Parlamento è in grado di ponderare adeguatamente le scelte complesse e delicate che sitrova ogni giorno ad affrontare", che le Camere sono perfettamente in grado di agire con velocità quando serve (curiosamente, fa un esempio non virtuoso: il lodo Alfano), e che addirittura non bisogna sempre e per forza stare con la calcolatrice in mano: “E’ fondamentale non confondere i cosiddetti costi della politica con quelli della democrazia”, sottolinea di Maio.
Argomenti, l’ultimo in particolare, che sono sempre stati usati, dai politici della cosiddetta casta, contro i grillini e le loro smanie da risparmio. Sempre contro la riforma del Senato, anche il blog di Grillo ospita un lungo editoriale di Aldo Giannuli, dal titolo “la democrazia repubblicana è in pericolo”, che si scaglia contro la “concezione plebiscitaria della democrazia” – tutt’altra cosa che i toni irridenti del “questi sono già morti e non lo sanno” –  e si conclude con un: "Non ci resta che sperare in Razzi e Scilipoti che mandino tutto all’aria". Sperare in Razzi e Scilipoti, già incarnazione del maleassoluto.
Analoghe  difficoltà a non farsi stringere dal lato della “conservazione”, le vivono anche i piddini che non si trovano d’accordo con la riforma così come concepita dal governo. Dal presidente del Senato Grasso in giù. Chi si trovi in questi giorni a raccogliere i loro pareri, infatti, prima di tutto deve sorbirsi una lunga premessa nella quale il senatore democratico di turno spiega che la sua non è volontà di bloccare la riforma. Perché a torto o a ragione è così che, nella narrazione renziana, appare chiunque abbia obiezioni. “Non ne posso più di questa storia dei tacchini e del natale”, è sbottato l’altro giorno uno di loro. “Noi non viviamo mica in un altro mondo: sappiamo benissimo che serve riformare il Senato, tagliare i tempi, snellire i processi e ridurre i costi. Insomma non è questione il se, ma il come: se ne potrà discutere senza farsi dare dei tacchini?”.
Non è nemmeno una questione di tempi: “Non abbiamo bisogno di convegni di settimane, inquarantotto ore siamo in grado di proporre le modifiche necessarie, la velocità non è appannaggio di Renzi”, lamenta un altro democratico: “Basta con la storia della palude”. Ma non c’è controffensiva che tenga. Renzi , pochissimo propenso a far modifiche, per il momento riesce a lasciare agli altri il peso della volontà frenatrice (poi  ci penseranno personaggi come Graziano Delrio,  a trovare nella sostanza un punto di caduta sufficientemente conciliatorio). Nel mentre, il premier si fa scintillare addosso il tutto o niente del “ci metto la faccia, o vado a casa”. Non molto distante dal grillismo, a pensarci bene. Susanna Turco,l’espresso

 









   
 



 
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