Le “autoanalisi” che si operano nel mondo della (dis)informazione nazionale sono psicopatologiche. La più recente, di queste ore, è firmata FIEG, la Federazione Italiana degli Editori dei Giornali, sulla base di una ricerca (su… mille intervistati – sic! – dell’Università di Urbino). C’è tuttavia da dire – a chiosa di quanto appena dichiarato –che anche gli sclerotici organismi di rappresentanza professionale, amministrativa e sindacale dei giornalisti (Odg, Fnsi, Inpgi, Casagit) non hanno di certo mancato, negli anni, di offrire il loro consistente contributo al suicidio dell’intera categoria. Dopo aver combattuto per anni per la “trasformazione on line” di tutte le testate giornalistiche più piccole o emergenti e averla di fatto imposta con i loro atteggiamenti di parte nella cosiddetta “Commissione Editoria” (parliamo anche di noi, che pure eravamo iscritti alla Federazione… ), ecco che senza colpo ferire tutti costoro hanno di fattoproceduto – o stanno procedendo affannosamente - ad una radicale inversione a U, dichiarando bellamente che “ora” occorre “investire sulla carta”, sui giornali cartacei tradizionali cioè, perché è da lì solamente che le testate editoriali possono sperare di sopravvivere. Qualche nota minore, per rammentare lo stato di pensiero surgelato che bloccava e tuttora blocca la razionalità psichica degli autonominatisi vertici del settore. Era il 1997 e agli aspiranti professionisti che si azzardavano, in sede di esame orale, di mettere in guardia l’editoria e il giornalismo (nelle loro “tesi” di fronte ai Commissari d’esame) a cambiare in fretta il modo di proporre informazione, veniva riservata, da sempreterni vetusti alfieri della macchina per scrivere, una assurda bocciatura a esami scritti superati… con la motivazione: “volete distruggere l’editoria”. Era il 2010-11 e l’augusto presidente della Fieg pro-tempore, Malinconico, quindi cooptato nel governo Monti al taglio di uncentinaio di testate giornalistiche, lanciava fulmini e saette sulla carta stampata indicando come “campioni” della nuova era editoriale, i “magazines” Usa che avevano scelto la sola pubblicazione on line. E l’invenzione ultraventennale di “percorsi universitari” e corsi professionali per adire alla professione giornalistica, il tutto per moltiplicare le cattedre universitarie con lauree e master inutili (Montanelli o la gran parte dei premi nobel o per la Letteratura erano forse laureati?) con il risultato della creazione di un’ulteriore enorme massa di disoccupati… E il “cerchio magico” – ahah… - di inossidabili personaggi che fanno il giro a turno ai vertici super pagati dei vari enti e associazioni del settore… Per non parlare delle campagne stampa – solertemente trasformate, dai governi tecnocratici autonominati, in azioni penali, civili e amministrative in blocchi delle erogazioni pubbliche - contro le provvidenze che, sole, possono far sopravvivere un settorestrutturalmente in perdita, come ben sanno le stesse testate “nazionali” (dalla Rai al Corriere della Sera, dalla repubblica al Sole 24 ore) che chiudono i loro esercizi e i loro bilanci annuali con costanti maxiperdite, anche da centinaia di milioni di euro. E non si dica che la Rai ha chiuso il 2013 con un “profitto di 5 milioni”… levategli il canone (che è un contributo che vale oltre il 50% dei costi) e il fallimento è assicurato. Tali campagne stampa contro i contributi diretti all’editoria, come ormai sanno anche le pietre, erano dirette a “liberare il mercato” da soggetti indipendenti (per lo più scomodi politicamente) per favorire la concentrazione dell’editoria fra i quattro o cinque maggiori gruppi editoriali (sostenuti indirettamente: si pensi alle materie prime o alla pubblicità in monopolio) e tagliare ogni voce dissonante. Purtroppo, con una buona dose di demagogia, a questa “battaglia pro-monopoli” ha di recente fatto da sponda anche il movimentod’opposizione M5Stelle. Di certo c’era da sanare quel settore. Ma ora è stato gettato anche il bambino, con l’acqua sporca. Il pluralismo è andato a farsi benedire e le notizie sono “sapientemente offerte” da media omologati e monopolistici. All’editoria è in pratica stata organizzata e riservata la stessa fine applicata a quasi tutti gli altri settori economici: far morire le realtà piccole e medie per favorire i trust, le compagnie nazionali o multinazionali. E, si badi bene, chi ha tirato il boomerang mortale lo sta anche ricevendo in faccia. Le “grandi” testate della disinformazione non hanno arraffato nemmeno uno dei lettori eliminati alla piccola e media concorrenza. Anzi: hanno perso centinaia di migliaia di loro fedeli stampa-dipendenti. Il potere politico ha fatto harakiri dei suoi mezzi di propaganda. L’opposizione politica (vedi 5 Stelle, appunto) si ritrova ora a denunciare – un giorno sì e l’altro pure – “l’informazione pilotata” della RAI e degli altrimedia di regime. Quelli che probabilmente credevano di poter annichilire e che invece, foraggiati dai poteri economici e bancari, sono rimasti in piedi, e da soli. Ma torniamo al “rapporto urbinate” fatto proprio dalla Fieg” che i media (residui) strombazzano in queste ore. Giulio Anselmi, il presidente della Federazione, si è accorto (ma era proprio necessario aspettare un ventennio per capire cosa stava accadendo?) che la carta stampata non piace ai giovani, che al 91% scelgono la rete “ma non si fidano”. E ha affermato che ora occorre, per l’editoria, “recuperare autorevolezza” e “investire sulla carta stampata” che comunque “rappresenta il 90 per cento degli introiti” del settore dell’informazione in Italia. Altrimenti, dice Anselmi “non ci sarà futuro”. Di solito si dice, in questi casi: “meglio tardi che mai”. Ma non siamo affatto sicuri che sia così. Il piagnisteo della Fieg, infatti, è da amici del giaguaro. E’ solo un invito ai “media autorevoli” (quelli di regime, isoliti, quelli omologati in un pensiero unico, a riprendersi dalla loro pervasiva sciatteria informativa. Un obiettivo improbabile. Basta guardare cosa propone tale stampa “autorevole” sulle sue pagine e sui “riassunti on line”. Un melting pot, un brodo di notizie vere e notizie false, di inchiestino o fotocopie da tribunale e di cronache rosa, senza alcuno sguardo lanciato oltre i “fatti provinciali” – politici, economici, di costume – di cui sono inutilmente zeppe le pagine di cotali “informatori”. Date uno sguardo imparziale e vedrete se è vero o no. Già. Eppure un barlume di sincerità, Anselmi lo ha avuto, comprendendo almeno che la “rete” non tira, ma, anzi, affossa almeno in parte l’informazione. Si puo’ però consolare con le stesse sue parole: tra carta stampata e twitter l’unica condivisione di notizie è quella sulle previsioni del tempo. u.g.
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