Monetizzare Internet?
 











«Nell’epoca contemporaneal’aspetto complessivo
della vita, i rapporti reciproci tra gli uomini, la
cultura oggettiva sono caratterizzati dall’interesse
per il denaro… Il denaro, in quanto è il mezzo
assoluto… ha nella sua forma psicologica, importanti
connessioni proprio con l’immagine di Dio»[1]
Georg Simmel

 «Il lieto fine è la nostra fede nazionale»
Mary McCarthy

A volte si ha la netta percezione che a separare i due lati dell’Occidente non ci siano soltanto le immensità marine dell’oceano Atlantico o le differenti provenienze “marziane” (Usa) e “venusiane” (Ue) teorizzate da qualche NeoCon sciroccato e fuori tempo massimo, ormai disperso tra le sabbie irachene e le giogaie afgane. Si tratta di due realtà profondamente diverse per DNA culturale, con relative biforcazioni secolari, tanto politiche quanto sociali. Dunque due tradizioni: anglosassone e continentale. La prima, ilcui portabandiera può essere considerato Francis Bacon, «ha tendenza empirica, antisistemica e antiutopistica, e affida la promozione della libertà principalmente agli autonomi sviluppi della società civile»; c’è poi «la tradizione continentale e soprattutto francese discendente dal razionalismo e dall’illuminismo, che ha tendenza speculativa e assegna una determinante funzione progettuale all’organizzazione e al potere pubblico»[2]. In questo caso il riferimento filosofico obbligato è a René Descartes.
Di conseguenza, le due grandi rivoluzioni settecentesche che spianano la strada alla modernità riveleranno natura profondamente diversa: quella americana, prevalentemente civile, promuove il principio della individualità proprietaria; quella francese, perlopiù politica, afferma la priorità dei diritti universali. Del resto, i Padri fondatori della repubblica del Nuovo Mondo sono in larga misura espressione di una plutocrazia coloniale, mentre la leadership che abbatte l’Ancien Régimeè reclutata tra i philosophes, i loro allievi e i loro seguaci. Sicché – chiosa François Furet – «la Rivoluzione francese ha inventato un tipo di borghese che si è emancipato attraverso la politica. La Rivoluzione industriale, nata in Inghilterra e approdata qua e là sul continente, ha fatto apparire un borghese che si è emancipato mediante il capitale. Le due immagini non sono sovrapponibili»[3].
Procedendo sempre lungo sentieri differenti, anche la democrazia compiuta del Novecento realizza l’integrazione nella cittadinanza secondo strategie alternative: la conquista dei diritti attraverso le lotte del lavoro, in Europa; l’inserimento in un vasto ceto medio unificato dai consumi, negli States.
Veniamo però al nostro libro (La dignità ai tempi di Internet, il Saggiatore, Milano 2014), opera di un pittoresco fricchettone, con gli occhi cerulei dell’uomo del Nord e i capelli rasta del caraibico: Jaron Lanier, tecnologo e musicologo, pioniere delle ricerche sulla Realtà virtuale.Born in USA.
Ciò che l’autore denuncia – in un’originale interpretazione tecnologica dell’attuale Grande recessione – dovrebbe apparire del tutto condivisibile per qualunque progressista, del Vecchio o del Nuovo Continente, non necessariamente di sinistra: la mattanza di occupazione prodotta da tecnologie labour saving come quelle informatiche; l’esproprio di informazioni gratuite operato dai social media tipo Facebook, Amazon e Google, trasformate immediatamente in clamorosi arricchimenti della cosiddetta “élite di rete”; il ruolo delle innovazioni digitali nella funesta e sregolata ascesa della finanza ad alta frequenza. Processi intrecciati, che hanno come effetto l’inarrestabile restringimento dell’area mediana della società. Il dilagare della disuguaglianza, dunque, che annichilisce la democrazia e si rivela uno dei principali fattori di insostenibilità per il capitalismo del nuovo millennio.
Si tratta di un’analisi del tutto condivisibile, si diceva, eppure completamenteantitetica a quel diffuso culto utopistico dell’innovazione informatica secondo cui a salvare il mondo saranno i nerd visionari della Silicon Valley. Una scuola di pensiero che, da entrambe le sponde dell’Atlantico, ha innalzato la Rete a fede, e che trova in Wired la propria rivista di riferimento (l’ex direttore italiano, Riccardo Luna, arrivò persino a candidare Internet al Nobel per la Pace).
Lanier sbugiarda senza appello simili fumisterie messianiche, e ha il merito di farlo – lui, eminente nerd della Silicon Valley – da una posizione di insider. È quantomeno incauto celebrare le virtù di apertura e trasparenza del Web, quando ogni giorno le nostre vite online sono spiate da soggetti avvolti nell’ombra; ed è ingenuo esultare perché tutto è «gratis»[4], se gratuito sta diventando sempre più anche il lavoro umano. L’esempio dell’industria creativa e culturale, in cui è ormai un dato acquisito che le tecnologie di rete abbiano annientato più posti di lavoro di quanti ne abbianocreati, dovrebbe metterci in guardia in vista della digitalizzazione di massa della produzione manifatturiera, dei trattamenti sanitari e dei trasporti prefigurata da Lanier: «Potremo anche sopravvivere, se distruggeremo solo la classe media composta da musicisti, giornalisti e fotografi. Ciò che non è sostenibile è la distruzione delle classi medie che lavorano nei trasporti, nelle fabbriche, nel settore energetico, nell’educazione e nella sanità, oltre che come impiegati. E [se non si interviene] una tale distruzione accadrà».[5]
Ma se a questo punto il solito progressista europeo propugnerebbe un’adeguata legislazione protettiva dei diritti, Lanier prende una direzione ben diversa. Sembra che per il nostro informatico in rasta la tradizione rivendicativa/contestativa continentale produca gravi forme di orticaria. Nello scetticismo verso l’intervento pubblico, destinato necessariamente a sfociare in proliferazioni burocratiche, e gli obsoleti programmi redistributivi (in odore disocialismo?) risuonano gli antichi pregiudizi verso il governo centrale di un individualismo da frontier-men alla John Wayne; l’insieme di suggestioni mixate nel “sogno americano”, da quando il cappellano dei puritani sbarcati nel Massachusetts – John Wintrop – predicava la metafora della “città sulla collina” all’attuale eccezionalismo di una superpotenza in crisi, che si regge grazie alle grucce rappresentate da due rendite: il dollaro e la macchina da guerra più poderosa nella storia dell’Umanità.
Sicché ecco la sorprendente ricetta di Lanier: monetizzare e retribuire tutto quanto oggi è oggetto di prelievo gratuito in materia di informazioni. Questo grazie alla tecnologia dei link bidirezionali, caratteristica delle prime reti in seguito abbandonata. Il mondo cui aspira Lanier è dunque «un mondo in cui le persone inizieranno a incassare royalty per le decine di migliaia di microcontributi forniti durante la propria vita attiva su Internet»[6].
L’autore chiama la sua ricetta«economia umanistica dell’informazione»; anche se al nostro orecchio di antichi frequentatori del conflitto industriale la diade economia- umanesimo suona piuttosto ossimorica. E del resto sorge il dubbio che questa logica del “far pagare” assomigli molto di più – non ce ne voglia Lanier – a ciò che nel vecchio sindacalese si chiamava “risarcimento monetario”.
È una soluzione che, sinceramente, a un europeo cartesiano e di sinistra non sarebbe mai venuta in mente. Anche se – magari – la ricetta di monetizzare funziona meglio delle più puntuali e rigorose regolazioni che si potrebbero escogitare e mettere in pratica.
Insomma, nella pragmatica America anche pensatori ritenuti “eretici” propongono uno sfrenato follow the money. Un modo di impostare i problemi che alla fine porta pure dei risultati, come dimostra, in tutt’altro ambito, la lotta alla pedofilia nella Chiesa statunitense: pare che le diocesi Usa, dopo aver dovuto sborsare, già nel 2007, qualcosa come 900 milioni didollari di risarcimenti, si siano messe in riga. È bene approfondire. Visto che – piaccia o meno – il processo di americanizzazione sta aggredendo l’intero spazio europeo, seppure tardivamente (mentre c’è chi dice che nel frattempo l’America di Obama si starebbe europeizzando!). Ricordando che in Italia il progresso sociale ridotto a pura monetizzazione (e correlato il culto della ricchezza purchessia) ha trovato efficacissimi propagandisti nei politici dello star-system, da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi. Pierfranco Pellizzetti
Jaron Lanier, La dignità ai tempi di Internet, il Saggiatore, Milano 2014
NOTE
[1] G. Simmel, Filosofia del denaro, UTET, Torino 1998, pag. 345
[2] Cit. in V. Zanone, «Il liberalismo moderno» in Storia delle idee politiche, economiche e sociali (Vol. VI), L. Firpo (a cura di), UTET, Torino 1973 pag. 215
[3] F. Furet, L’uomo romantico, Laterza, Bari/Roma 1995 pag. VI
[4] Paradigmatico, a questo proposito, il volume di colui che appare comeprincipale bersaglio polemico di Lanier: Chris Anderson, Gratis, BUR, Milano 2010.
[5] J. Lanier, La dignità ai tempi di Internet, cit., p. 26.
[6] J. Lanier, La dignità ai tempi di Internet, cit. pag. 264










   
 



 
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