Parlano due linguaggi differenti. Differenti sono anche le pause, la metrica e l’ironia. Ma sul palco del teatro San Carlo di Napoli, per Repubblica delle Idee, Roberto Benigni ed Eugenio Scalfari dialogano e interagiscono in un’esplosione di gioia, tra comicità irriverente e lucida analisi del presente, scandali e corruzione in primis a fare da fil rouge dell’avvenimento. Una gioia che Benigni vorrà "raggruppare" e dedicare all’attore napoletano Massimo Troisi - scomparso venti anni fa - prima di iniziare a declamare il XXVI canto dell’Inferno di Dante . Quello dedicato a Ulisse, "uno che lascia la moglie a casa, va con tutte le donne che incontra, e che ha pure avuto uno storia con una ninfa che era la nipote di Poseidone...", scherza il premio Oscar in un rimando continuo di link e citazioni all’attualità politica. La platea risponde al ciclone Benigni che evoca Silvio Berlusconi, si affida a lui e si lascia condurre in un crescendo dientusiasmo. Il tandem con Scalfari funziona ("mi piaceva stare accanto a lui", dice Benigni avvicinandosi alla sua poltrona, "oh, giù le mani" è la replica immediata), e quando il fondatore di Repubblica interviene per dire: "Ma Ulisse non ha il cane Dudù", il pubblico vuole interagire: "Ulisse aveva Argo", suggeriscono dal basso. E subito nasce "Argù". I neologismi si sprecano in un teatro pieno "che i sondaggi davano vuoto", scherza Benigni . In onore di Scalfari, il selfie arriva a trasformarsi in ’scalfie’ "che così fa 2 milioni di mi piace" . L’esordio viaggia a tutta velocità. E le battute si concatenano. Come quando Benigni dice che il giornalista "ha avuto un colloquio col Papa durante il quale hanno parlato di Dio. Poi il Papa è rimasto solo con Dio e hanno parlato di Scalfari...". E’ un tripudio che non si arresta: Eugenio - prosegue -"sembra un po’ Dio, quello della Cappella Sistina. Vi ricordate che negli anni Settanta e Ottanta la Repubblica il lunedì nonusciva? Perché la domenica Scalfari si riposava... Se vuoi" ora "io ti faccio l’Adamo". Detto fatto. La rievocazione michelangiolesca è lì, sotto gli occhi divertiti della gente. Ed è un trionfo di ilarità. Ma i sentimenti si alternano. Alla risata fa da contraltare la memoria, l’omaggio sentito. Nell’intro, Scalfari si commuoverà per Enrico Berlinguer nel ricordarne il trentennale della morte: "Fa parte della storia non solo del Pci, ma della storia della democrazia italiana - dice emozionato - io ero molto amico di Berlinguer. Nell’intervista del 1981 lui disse che i partiti dovevano uscire dalle istituzioni che avevano indebitamente occupato. E questo purtroppo è il programma che abbiamo ancora da adempiere. Fece il possibile perché questo avvenisse". Una questione - quella morale - che è stata il leit motiv della giornata. Benigni non si lascia scappare neanche un’occasione: le stoccate fioccano in maniera ponderata e intelligente. Come quando esalta le virtù di Napoli econ lo sguardo abbraccia il San Carlo: "Un teatro - sottolinea, citando il Nabucco e le grandi opere liriche - che è un fiore all’occhiello". Ma poi: "Certo, oggi abbiamo grandi opere come l’Expo e il Mose...". Suggerisce Scalfari: "Proprio l’altroieri qui hanno fatto I Pagliacci...". Il pubblico si scalda, applaude, partecipa. Benigni ironizza, ma in maniera tagliente. Da Milano a Venezia, da Genova a Torino, gli scandali delle ultime settimane pugnalano al cuore il Nord dell’Italia: "Al Sud oggi c’è gente che vuole la secessione dal Nord. Leggevo di Giancarlo Galan", già presidente della Regione Veneto arrestato nell’inchiesta sulla tangentopoli di Venezia, "al quale arrivavano 100mila euro al mese. Beh, a maggio ha preso 100mila e 80 euro...", con chiaro riferimento al bonus Irpef varato dal governo Renzi. Ma il premier, insiste Benigni, "intervistato ieri qui al San Carlo dal direttore di Repubblica, Ezio Mauro, non ha detto che chi ha rubato deve andare in galera". Perché icorrotti "sono talmente deboli, volgari e vili da essere gli ultimi. Ma in questo caso gli ultimi non saranno i primi, rimarrano ultimi". E poi: "Costoro devono restituire i soldi rubati, che sono soldi nostri". In un passaggio succesivo, lo spazio sarà dedicato al tema della ’ricostruzione’ e all’uomo che "ha tirato fuori il miele dalla morte". E’ Giannino Durante, padre di Annalisa, che a 14 anni morì per una pallottola vagante in uno scontro tra camorristi. Il ’valzer’ ballato in coppia, in un’alternanza continua di spunti, battute e riflessioni, prosegue con una sintonia magistrale. Benigni scherza sul bacio alla francese portato in Francia da Caterina de’ Medici, e con sorprendente agilità ironizza sui risultati elettorali del Pd: "Se nel suo editoriale Scalfari fosse arrivato a scrivere ’amo Renzi’, il premier avrebbe preso il 90 per cento. Ormai in Bulgaria dicono ’voto renziano’...". Il dialogo è incessante, l’uno continua dove l’altro si ferma. Scalfari riprende Benigni:"Non mi interrompere", gli dice benevolmente. E parte l’escalation: "Roberto conosce a menadito Dante, la Costituzione e canta a memoria l’Inno di Mameli". Dunque, è l’uomo ideale per il Quirinale, posto che Giorgio Napolitano - "io lo amo molto", precisa il fondatore - "tra pochi mesi compirà 90 anni e a quel punto dovremo scegliere qualcuno" . In platea c’è chi sussurra ’Benigni for president’. Ma dal palco arriva la frenata: "Quando lo dissi, molti furono a favore. Ma vi fu gente, più di quelli a favore, che mi tolsero il saluto". Giù applausi. Il gioco prende piede, e il dialogo si sviluppa in un crescendo continuo di candidature: dal Quirinale, Scalfari rilancia Benigni a Palazzo Chigi . Già perché se è vero che Matteo Renzi ha preso il 40,8% alle europee del 25 maggio, è anche vero - sottolinea - che in termini assoluti si tratta di 11 milioni di voti. Walter Veltroni ne prese 12 milioni, ma in percentuali si fermò al 34 per cento. Berlinguer arrivò a prendere 17 milioni diconsensi "ma tutto dipende da quanta gente vota. Con Renzi alle urne ne è andata poca. Ma se Benigni fa il premier, prenderà il 70% dei voti". Il candidato avanza un dubbio: "Quirinale e Palazzo Chigi insieme non si può?". Certo, è la risposta, "con una Repubblica presidenziale". Dalla presidenza del Consiglio, però, più avanti si ’scende’ al rettorato di una grande università italiana. Benigni scherza sul ridimensionamento: "Fra un po’ mi dirai che posso andare a fare il maestro alle elementari...". Allora si riparte, e il posto ideale diventa il Vaticano: "Puoi fare il Papa", annuncia Scalfari. Nel frattempo, la chiacchierata vira - senza perdere il filo conduttore - e si sposta sul ruolo dell’eroe moderno. Ulisse. Colui a cui Dante - un laico, beninteso, non un prete - costruisce un monumento salvo poi piazzarlo all’Inferno. Nell’ottava bolgia. Il profondo inferno. Il peccato di Ulisse? La ubris, la prevaricazione. Egli vuol conoscere ciò che non è permesso. Nutre ildesiderio di possedere l’infinito, ma ciò non è possibile. "Dobbiamo capire che c’è un limite - dice l’attore -, non arriveremo mai a svelare il senso della fine della vita". L’ironia sottile di Benigni torna a essere la chiave di lettura: l’ottava bolgia "è il cerchio dei consiglieri fraudolenti, una roba medievale, quando c’erano i politici che rubavano", mica storie dei tempi nostri. E’ l’ora della declamazione. Al San Carlo scende il silenzio. La pagina più alta "dell’umana poesia" prende forma in un teatro ammutolito: "... infin che ’l mar fu sovra noi richiuso", sussurra Benigni. Ancora silenzio. Poi, unanime, esplode l’ovazione che si trascina una standing ovation. Scalfari a quel punto gli dirà: "No, tu non devi fare il Papa. Tu devi fare il Poeta". E scatta l’abbraccio. Michela Scacchioli,repubblica
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