Bandiera SENZA LEGGE - UNA SENTENZA IN PIENO DIFETTO PER L’OMICIDIO DI NICOLA CALIPARI
 







di Roberta Barberini




La crescita delle spedizioni militari all’estero è gravida di conseguenze (un tempo assai meno rilevanti) anche sulla giurisdizione e le sue regole.
Secondo un principio consuetudinario internazionale, detto «legge della bandiera», ai militari di stanza all’estero si applica non la legge del luogo del fatto, ma quella del paese di origine dell’autore. Per questo nel codice penale italiano è previsto che si possa procedere in Italia per i reati commessi da militari italiani, anche al di là dei limiti stabiliti, in generale, per i reati commessi all’estero.
La sottrazione del militare alla giurisdizione locale si traduce in una forma di immunità, che normalmente è disciplinata da accordi internazionali ad hoc. Questioni di giurisdizione, tuttavia, si possono anche verificare nei rapporti tra gli Stati membri di una stessa coalizione, ad esempio quando taluno resti vittima del cosiddetto «fuoco amico». Ciò è avvenuto in relazione all’omicidio diNicola Calipari, con la sentenza della Corte di assise di Roma che ha dichiarato il difetto di giurisdizione dello Stato italiano nei confronti del militare statunitense Mario Lozano, accusato della morte di Calipari. (...)
Di regola i rapporti tra gli Stati componenti una forza multinazionale, da un lato, e lo Stato sul cui territorio si svolgono le operazioni militari, dall’altro, sono disciplinati da un Sofa (Status of Forces Agreement). I Sofa disciplinano i rapporti tra Stato d’origine dei militari e lo Stato in cui essi si trovano, detto «Stato di soggiorno», con riferimento all’esercizio della giurisdizione penale e civile nei confronti dei militari. Il contenuto tipico dei Sofa è che i militari sono sottratti alla giurisdizione dei tribunali locali, e restano soggetti alla giurisdizione del loro Stato di origine. Questo tipo di accordi si traduce in una forma di immunità che corrisponde al principio consuetudinario internazionale detto della «giurisdizione della bandiera».(...)
In Iraq il Sofa tra i membri della forza multinazionale e il Governo iracheno si potè stipulare, ovviamente, non prima dell’insediamento del governo autonomo di Ayad Allawi, nel 2004. In questo caso il SOFA fu inquadrato in un più ampio accordo di natura politica, uno scambio di lettere ufficiali tra il primo ministro del governo interinale dell’Iraq, Ayad Allawi, e il segretario di Stato Usa, Colin Powell, in rappresentanza della forza multinazionale. A loro volta, le lettere furono allegate alla risoluzione che aveva posto fine al regime di occupazione, la 1546 del 2004, e in tal modo parteciparono della natura vincolante della risoluzione. L’accordo cristallizzato nelle lettere in realtà ha per oggetto principale i compiti e le funzioni della forza multinazionale, ed è molto laconico sullo stato giuridico dei componenti della coalizione. Vi si precisa che ciascuno Stato membro ha «la responsabilità di esercitare la giurisdizione sul proprio personale».
L’accordocorrisponde a quanto era già stabilito nel famoso «ordine di Bremer» (1) n. 17 del 2003. Esso prevedeva che «tutti i membri del personale della coalizione sono soggetti alla esclusiva giurisdizione dei rispettivi Stati di appartenenza e sono quindi immuni dalla locale giurisdizione penale, civile o amministrativa e da qualsiasi forma di arresto e detenzione, salvo quella effettuata da persone che agiscono per conto dei rispettivi Stati di appartenenza». L’ordine aveva il fine concreto di sottrarre alla giustizia irachena le società di sicurezza private americane, che si erano macchiate di alcuni delitti contro civili iracheni, e fu ad ogni buon conto riconfermato da Bremer nel giugno 2004, un giorno prima che l’ambasciatore lasciasse il Paese per riconsegnarlo alla sovranità degli iracheni.
L’ordine Bremer è tuttora in vigore, anche se è stata recentemente diramata dall’Ansa la notizia che il governo iracheno avrebbe revocato l’immunità alle compagnie di sicurezza straniere, aseguito dell’eccidio di 28 civili iracheni causato dalla società di sicurezza americana Blackwater, nel settembre 2007. Nei confronti dei membri del nostro contingente armato, comunque, esso continua a valere, così come l’immunità stabilità dalla risoluzione 1546 (2). Pertanto, le nostre forze armate sono tuttora immuni dalla giurisdizione irachena.
Il caso Calipari è, peraltro, del tutto estraneo alla disciplina sin qui descritta e la Corte di assise di Roma, nel declinare la giurisdizione italiana al riguardo, è incorsa in una evidente cantonata.
L’errore, cui la corte è stata indotta dai meno sprovveduti americani, è stato quello di ritenere che il Sofa iracheno valga tra gli Stati membri della coalizione, e non tra Stati membri della coalizione da una parte e Stato iracheno dall’altra. In realtà, l’accordo, come tutti quelli dello stesso tipo, è diretto a sottrarre i componenti delle forze armate della coalizione soltanto alla giurisdizione irachena, e non anche allagiurisdizione degli altri Stati componenti la coalizione.
Per i casi di «fuoco amico», infatti, non valgono né l’immunità stabilita dalla risoluzione 1546 né quella derivante dagli «ordini» di Bremer. Quanto alla prima, è chiaro dal tenore delle lettere e dai loro firmatari che l’accordo intercorre tra la forza multinazionale da un lato, e il governo iracheno dall’altro: le lettere non riguardano per nulla i rapporti fra i membri della coalizione. Quanto all’ordine n. 17 di Bremer poi, esso si riferisce espressamente all’immunità dalla locale giurisdizione («Tutti i membri del personale della coalizione sono soggetti alla esclusiva giurisdizione dei rispettivi Stati di appartenenza e sono quindi immuni dalla locale giurisdizione penale»). Il fatto che recentemente il governo iracheno abbia unilateralmente revocato l’immunità alle compagnie di sicurezza straniere, a seguito del caso Blackwater, è riprova del fatto che l’immunità valeva appunto (solo) nei confronti dello Statoiracheno.
Ulteriore prova di ciò è che quando il Consiglio di sicurezza ha voluto stabilire delle immunità generali, valide per tutti, lo ha fatto: la stessa risoluzione 1547 sull’Iraq al paragrafo 27 conferma la vigenza delle immunità già stabilite dalla risoluzione 1483, in materia di contratti relativi al commercio di grezzo e di gas, e connessi processi penali, con chiaro riferimento al caso oil for food: «Le esportazioni di petrolio e del gas naturale proveniente dall’Iraq godranno dell’immunità dalle giurisdizioni nazionali di tutti gli Stati».
L’accordo di Bremer era diretto a sottrarre gli Stati della forza multinazionale alla giurisdizione della collassata giustizia irachena, lasciando intatta quella dei vari Stati tra di loro. Gli Stati membri della coalizione mantengono il diritto di esercitare la giurisdizione per reati commessi in Iraq sulla base delle loro norme interne in materia di giurisdizione. Spesso avverrà che più Stati possano esercitarla per lo stessofatto sulla base di criteri diversi. Poichè d’altra parte il principio del ne bis in idem non fa parte del diritto consuetudinario internazionale, sarà anche normale che intervengano più giudizi (ed eventualmente condanne) per lo stesso fatto (3).
Con qualche maggior fondamento avrebbe, forse, potuto invocarsi, nel caso di specie, il principio consuetudinario internazionale della irresponsabilità degli agenti statuali di Stati esteri: ogni Stato - in forza di tale principio - ha diritto di pretendere che la condotta tenuta dai suoi organi sia considerata come attività dello Stato, che di essa risponderà eventualmente a titolo di responsabilità internazionale. È, sulla base di tale principio che una autorevole dottrina (4) ha ritenuto di poter fondare il difetto di giurisdizione dello Stato italiano nel processo contro Lozano.
Attenzione, tuttavia: qui è in gioco ben più che la questione della giurisdizione. Se è vero che il difetto di giurisdizione si traduce, dal punto divista dello Stato che la declina, in una forma di immunità - come avviene per i militari Nato stranieri in forza del trattato di Londra - non è vero il contrario: non per tutti i soggetti di diritto internazionale immuni c’è un altro Stato che esercita la giurisdizione e, comunque, l’immunità opera a prescindere da questa condizione. Il principio dell’immunità funzionale dell’agente statuale straniero si traduce, per lo Stato che la riconosce, in una forma di garanzia di irresponsabilità penale. E, in effetti, è stato proprio questo il principio che gli Stati Uniti hanno opposto agli inquirenti italiani nel caso degli agenti della Cia imputati del sequestro di Abu Omar. Giustamente tuttavia - a mio avviso - in quel caso, gli agenti della Cia non sono stati considerati immuni. Ciò perché, nell’ordinamento italiano, a fronte del principio di legalità che caratterizza il sistema penale, le varie forme di immunità previste dal diritto internazionale consuetudinario o pattizio debbono, perpoter divenire fonti di irresponsabilità penale, tradursi in disposizioni di diritto interno. È il caso, ad esempio, dell’immunità dei Capi di Stato esteri - prevista espressamente dal codice penale - o degli stessi militari Nato, la cui immunità, fondata sul principio consuetudinario della bandiera, è prevista nel trattato di Londra del 1951 ed è divenuta legge in Italia attraverso la relativa ratifica. Se l’Italia non fosse parte del Trattato di Londra, il principio della bandiera, di per sé, non potrebbe essere fonte di irresponsabilità penale per i militari Nato stanziati in Italia.
È per questo che, nel processo per l’omicidio Calipari, la citata risoluzione 1546 non avrebbe potuto fondare il difetto di giurisdizione dello Stato italiano anche se il suo contenuto fosse stato quello ritenuto dalla Corte di assise di Roma. Il punto non è se la risoluzione o il principio consuetudinario della bandiera abbiano carattere vincolante per l’Italia, ma il fatto che essi, per divenirefonte di irresponsabilità penale, dovrebbero tradursi in specifiche disposizioni di legge. Gli strumenti internazionali si rivolgono, infatti, allo Stato e possono imporgli, se vincolanti, di introdurre norme corrispondenti, ma in nessun caso possono essere, in via diretta, fonte di irresponsabilità penale.
(Tratto da «Questione giustizia»)
1) Paul Bremer è il governatore americano che ha guidato, fino all’insediamento del Governo interinale iracheno, l’Autorità provvisoria della coalizione.
2) Anche in Afghanistan esiste un accordo simile tra l’Isaf della Nato, e il Governo autonomo afgano.
3) Ne consegue, per esempio, che se un italiano uccide un inglese in Iraq, non sarà competente, grazie al Sofa, il giudice iracheno, ma resteranno competenti in via concorrente sia i giudici italiani che quelli inglesi.
4) N. Ronzitti, ’Bisogna stipulare accordi specifici per i rapporti interni alle coalizioni’, in «Guida al diritto»,
n. 6/2008, p. 52 ss.de Il Manifesto









   
 



 
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