La disobbedienza dei rom
 







di Enrico Miele




«Siamo tutti identificati». Saranno rimasti sorpresi i volontari della Croce rossa sentendo la risposta dei 40 rom che occupano lo stabile di via delle Cave di Pietralata, nella zona Quintiliani a Roma. Lunedì mattina la Croce rossa si era presentata nel vecchio capannone del quartiere a est della capitale. Nella lista degli operatori quel campo non era ancora stato censito. Quello che la Croce rossa non sapeva è che lì abita una comunità di rom rumeni, presente in Italia da oltre otto anni. «Siamo tutti iscritti negli elenchi dell’Asl, abbiamo la tessera sanitaria prevista per i neo-comunitari e non capiamo la ragione di un’ennesima identificazione» rispondono gli occupanti ai volontari. Che fanno marcia indietro, con l’impegno di ripassare a settembre.
Una sorpresa, ma relativa. «Controlli ne subiscono spesso da parte delle forze dell’ordine» dice Claudio Graziano, responsabile solidarietà dell’Arci che sostiene l’occupazione dei rom. «Questo non è il classicoinsediamento, qui hanno un progetto di autorecupero dello stabile per ricavarne abitazioni». L’Arci ha già raccolto 1500 firme tra gli abitanti del quartiere. Nel capannone occupato non ci sono soltanto rom ma anche italiani. «Il loro è un progetto comune - precisa Graziano - con un’area di verde pubblico per il quartiere, come previsto dal sistema Sdo e mai realizzato». Lo Sdo (sistema direzionale orientale) è il progetto di riqualificazione dell’area est della capitale. Previsto fin dal ’90, non è mai stato portato a termine. «Ci chiediamo perché la Croce rossa sia venuta - conclude il rappresentante dell’Arci - qui i rom sono responsabilizzati e i bambini vanno a scuola accompagnati direttamente dai genitori».
La comunità rom ha occupato l’area lo scorso 14 febbraio perché minacciata di sgombero nel precedente campo di fortuna in via dei Quintiliani. Un gesto per rispondere alle proprie necessità abitative. Un’occupazione che ha «migliorato la qualità della vita di oltre 60persone» come sottolinea anche il movimento romano di lotta per la casa, sceso ieri in difesa della comunità. Con il sostegno delle associazioni del territorio (Arci, bottega «Tutti giù per terra», DiversaMente e altre) il campo rom ha avviato un dialogo costruttivo con le istituzioni del V municipio di Roma, la parrocchia e le scuole del quartiere. Insomma, un caso d’integrazione reale che andrebbe valorizzato.
La reazione avuta dai rom sorprende il presidente della Cri, Massimo Barra: «È la prima volta che succede. La natura dell’insediamento è indifferente per noi, in quanto la nostra missione è fornire assistenza umanitaria. I problemi li pongono gli assistenti e non gli abitanti. Temo gli intellettuali o i burocrati, non i rom».
In realtà il censimento dei campi nomadi è facoltativo. Chiunque ha la possibilità di sottrarsi, se vuole. A maggior ragione se, come nel caso del campo in via Quintiliani, i rom sono già registrati presso l’Asl e posseggono la regolare tesserasanitaria prevista per i cittadini dei paesi recentemente entrati nella Ue (Bulgaria e Romania). «Se il censimento è facoltativo significa che non si può imporre. Ed allora dov’è il problema se una comunità decide di sottrarsi? - si chiede Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci -. Se i rom di via Quintiliani hanno già assistenza sanitaria perché dovrebbero sentire l’esigenza di prendere la tessera della Croce rossa?». Nel frattempo, anche se i riflettori sul censimento negli insediamenti abusivi si sono abbassati, l’operazione della Croce rossa prosegue. Fino a oggi a Roma sono stati venti i campi nomadi visitati dai volontari. Le persone identificate sono 620, appartenenti a 123 diversi nuclei familiari. Tra loro i minori sono 288.de Il Manifesto









   
 



 
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