Pensioni, il sistema italiano è "insostenibile"
 











Matteo Renzi è categorico: “Le pensioni non si toccano”. Eppure, nonostante la riforma Fornero e il vantato equilibrio dei conti pubblici, il sistema resta “insostenibile”. E’ il giudizio di uno studio firmato dalla società di consulenza Mercer.
Il sistema pensionistico italiano è al 19esimo posto sui 25 Paesi presi in considerazione. Danimarca, Australia e Olanda sono ad anni-luce di distanza. Ma sono lontane anche Germania e Francia. Godiamo invece della compagnia di Messico, Cina, Indonesia, Corea del Sud, Giappone e India. Sono gli Stati che hanno un sistema pensionistico dalla “sostenibilità dubbia”. Dubbi che, per l’Italia, sono particolarmente forti. Perché, se nella classifica generale ci lasciamo alle spalle sei Paesi, quanto a sostenibilità siamo ultimi. Il problema è tutto in un numero: 13,4. E’ la cifra che, nell’indice dello studio, identifica la sostenibilità del sistema pensionistico italiano. La Danimarca è a quota 86,5. L’Austria(penultima) è cinque punti avanti. Il Brasile (terzultimo) per poco non ci doppia (a 26,2).
Come mai siamo così in basso? L’Italia zoppica perché, spiega all’Espresso il Responsabile della Divisione Retirement di Mercer Italia, Roberto Veronico, “una gamba si accorcia e l’altra non cresce”. La prima è quella delle pensioni pubbliche. Dimentichiamoci pure i livelli attuali: “Proiezioni ci dicono che un dipendente con carriera media che sarebbe andato in pensione con il 65%-70% dell’ultima retribuzione, perderà il 15%”. Il problema però è che la seconda gamba, quella delle pensioni integrative, resta monca. “Solo un lavoratore su quattro ne ha una”. Agli italiani la pensione complementare proprio non va giù. “E’ un fatto culturale, ma non solo”, dice Veronico. Manca trasparenza: “I lavoratori correrebbero ai ripari se conoscessero con chiarezza l’ammontare della propria pensione”. Servirebbero “maggiori incentivi fiscali”. Ma serve soprattutto la ripresa: “Se si fa fatica ad arrivarea fine mese, è difficile immaginare di destinare una parte dei risparmi a un fondo pensione”.
Un bel problema per un Paese con un debito pubblico sempre più alto e con una popolazione sempre più anziana. A fare il resto ci pensa la disoccupazione. Sì, perché le pensioni sono pagate dai contributi di chi è in attività. “Diciamo spesso che le pensioni dei padri sono pagate dai figli”, spiega Veronico. Peccato che “i padri non abbiano fatto abbastanza figli e i figli siano poco occupati”. In altre parole: se i giovani non lavorano la pensione diventa un sogno, ma rischia di andare gambe all’aria anche quella (definita da Mercer “più che soddisfacente”) dei padri. E a metterci una pezza non sono sufficienti i contributi degli immigrati, una categoria che (per ora) ha versato tanto e ricevuto poco o nulla.
Alzare l’età pensionabile è un’esigenza inderogabile, spiega lo studio, perché gli over 60 che lavorano sono ancora troppo pochi rispetto agli altri Paesi. Le riforme italiane sisono mosse in questa direzione. Ma la variazione, rapida, porta con sé un altro problema: “Le aziende dovranno capire come utilizzare una fascia nuova di lavoratori, quella tra i 59 e i 65 anni”.
Mettere mano alle pensioni, in un Paese abitato da sempre più anziani (votanti) è un rischio. Sarebbe solo una delle mosse necessarie al rendere il sistema più sostenibile. Senza ripresa non se ne esce. Perché allora, ipotizza Veronico, non utilizzare i fondi pensione e le casse private? “Hanno una dote di 200 miliardi. Potrebbe essere utilizzata, con le garanzie dello Stato, per investimenti utili al Paese”. Paolo Fiore,l’espresso










   
 



 
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