La scuola pianistica napoletana, una tradizione in estinzione

 







di Rosario Ruggiero




Beniamino Cesi

Una riflessione su quel non trascurabile patrimonio artistico musicale che è la scuola pianistica napoletana non è certo peregrina, particolarmente in questi giorni, cioè a dieci anni dalla scomparsa di uno dei suoi esponenti più significativi, Sergio Fiorentino (22 dicembre 1927 – 22 agosto 1998), virtuoso particolarmente emblematico della realtà musicale partenopea perché sempre legato alla sua città, ovunque acclamato, ciononostante non immune dall’altalenante andamento di una carriera che ha visto avvicendare fulgori massimi a periodi di buia relegazione in rari, preziosi ambiti per i più attenti estimatori.
Tralasciando le luminose anticipazioni settecentesche dell’impareggiabile arte clavicembalistica di Domenico Scarlatti, precursore, con le sue sonate, di tanto virtuosismo pianistico, l’arte di eseguire al pianoforte trova a Napoli sicuramente le sue più significative radici nel magistero di un leggendario interprete ginevrino, Sigismund Thalberg, uno dei pochi in grado di rivaleggiare in pieno Ottocento, epoca aurea del pianoforte, con lo straordinario Franz Liszt. Thalberg, dopo acclamatissime esibizioni concertistiche per il mondo, elesse sua ultima residenza Napoli. Qui suo allievo prediletto fu Beniamino Cesi, eccellente pianista che ebbe anche la gloria di essere chiamato dall’illustre Anton Rubinstein ad insegnare nel conservatorio di Pietroburgo. Agli insegnamenti di Cesi si formarono il famoso operista Francesco Cilea ed il noto compositore e brillante virtuoso Giuseppe Martucci, insegnante, insieme al napoletano Francesco Simonetti, di quel Giovanni Anfossi che educò all’arte pianistica un interprete del calibro di Arturo Benedetti Michelangeli. Ma l’allievo di Cesi didatticamente più prolifico fu, con ogni probabilità, Florestano Rossomandi, che insegnò, tra i tanti, a Vincenzo Scaramuzza, maestro, in Argentina, di Martha Argerich, di Enrique Barenboim (padre ed insegnante di pianoforte di Daniel Barenboim), di Bruno Leonardo Gelber e di Fausto Zadra, a Luigi Finizio e ad Alessandro Longo, insegnante a sua volta di Paolo Denza, il maestro di Aldo Ciccolini, Paolo Spagnolo e, con Finizio, di Sergio Fiorentino. Altro discepolo di Beniamino Cesi fu Sigismondo Cesi sotto i cui insegnamenti si formò Vincenzo Vitale.
Ho citato solo una piccola parte della scuola pianistica napoletana e della discendenza musicale da Thalberg e Beniamino Cesi, certo già sufficientemente significativa, trascurando, per ovvi motivi di spazio, una gran quantità di altri personaggi, come Oscar Rochner, Attilio Brugnoli, Enrico de Leva, Terenzio Gargiulo, Edoardo Pannain, Antonino Votto, Achille Longo, Jacopo Napoli, Camillo Baccigalupi o Ernesto Marciano, ben noti a chiunque minimamente addentro in questo specifico campo.
Ciò che comunque ne viene fuori è una tradizione ragguardevolissima che ha fatto straordinaria scuola nel mondo. Ma qual è la realtà odierna? Quali i grandi nomi più recenti?
Partita da
Ciccolini Aldo
una origine praticamente unica, la scuola pianistica partenopea si diramò in tante propaggini che però, in luogo di mantenere il loro alto prestigio nella unitarietà, divennero ognuna feudo a sé. Un’unica grande nazione che si sgretolava in tanti staterelli piccoli, deboli e belligeranti, fino alla dissoluzione totale. Invidie e rivalse, più o meno manifeste, ed albagia artistica hanno fatto inaridire gli scambi di esperienze tra i diversi allievi e le opportunità concertistiche cittadine, e se la disattenzione del pubblico, dirottatosi sempre più verso forme musicali più leggere ed invadenti, è stata forse una causa delle difficoltà delle stagioni concertistiche in città, è stata anche sicuramente l’effetto di quelle malcelate ostilità scolastiche. È mia personale esperienza di quegli anni di conservatorio la sufficienza con la quale venivano considerate le scuole pianistiche differenti dalla propria e come non venissero caldeggiate le esecuzioni in collaborazione con allievi di altri gruppi didattici.
Così, negli anni Ottanta del secolo scorso, un artista come Sergio Fiorentino, dal repertorio immenso, una discografia copiosa ed un chiaro prestigio internazionale, si esibiva in piccoli contesti con pianoforti anche modesti o alla presenza di neanche una decina di spettatori, come ricordo di averlo ascoltato, a Torre del Greco, in un interessante programma fatto dai ventiquattro preludi op.28 di Frédéric Chopin ed i ventiquattro preludi op.11 di Alexander Scriabin. Era l’epoca in cui grandeggiava la scuola pianistica di Vincenzo Vitale, didatta molto attento alla manualità dell’esecuzione pianistica più che alla esaltazione delle individualità artistiche di ogni singolo allievo, forse, selezionando, in qualche modo, i giovani più inclini all’acquisizione passiva dei suoi precetti. Sì, tecnica pianistica ordinatissima quella, ma nell’arte la padronanza tecnica non è il fine, è solo un presupposto, e mai come oggi che sono tantissimi i concertisti dalle capacità digitali altissime. Cosicché è una realtà oggi facilmente verificabile ai concerti, e grazie alle tecniche di registrazione, una certa omogeneità artistica di tanti allievi di quel celebrato didatta e una certa loro distanza dalla potenza espressiva di concertisti come Horowitz, Richter, Gilels, Rubinstein, Rachmaninoff, Cortot, Kissin, Michelangeli o Argerich, per dirne solo qualcuno.
Oggi il conservatorio di Napoli continua a sfornare ogni anno nuovi diplomati, e la presenza di tanti giovani che affrontano corsi che diventano sempre più lunghi è chiara prova di risorse umane ancora doviziose. Ma quali sono per costoro le opportunità concertistiche cittadine, non solo ai massimi livelli, ma a tutti i livelli inferiori in cui le future eccellenze possono costruire la loro formazione sul campo ed il pubblico coltivare a buon mercato la propria passione per la musica classica? Il jazz dilaga, la canzone napoletana, tra alti e bassi qualitativi, prospera, la musica popolare vivacchia,mentre la tradizione pianistica, e più ampiamente concertistica, classica, strettamente napoletana, ormai da tempo, non fa che una sola cosa: continuare ad intonare mestamente il suo sommesso, e sempre più inascoltato, canto del cigno. 









   
 



 
01-10-2019 - La collezione Bonelli
01-09-2019 - Strumenti musicali ovvero calcolatori elettronici ante litteram
01-08-2019 - Festival della Musica Popolare del Sud II Edizione
01-07-2019 - La Canzonetta
01-06-2019 - I musicisti hanno fantasia?
01-05-2019 - Musica d’arte e musica di consumo
01-04-2019 - Il rilancio di una regione sulle note di una canzone
01-03-2019 - Al Museo di Capodimonte la musica ai bambini
01-02-2019 - La canzone napoletana irriducibile documento sociale
01-01-2019 - Orchestre sul lungomare di Castellammare di Stabia?
01-12-2018 - L’arte di essere artisti
01-11-2018 - L’esperienza all’estero di un musicista italiano. Chiacchierata con Lello Petrarca
01-10-2018 - Cento anni fa nasceva Henryk Szeryng
01-09-2018 - Eduardo di Capua in un libro
01-08-2018 - A Napoli nuovi cimeli musicali in mostra

Privacy e Cookies