La Percezione diffusa? Un regolamento di conti. Per sorvegliare la Rete, da alcuni ancora considerata come una sorta di Far West, regno in terra dell’impunità tout court. Il bavaglio riappare. Nascosto nelle pieghe del disegno di legge sulla diffamazione che, dopo l’approvazione in Senato, ora passa alla Camera dei Deputati. Certo, in base all’ultima formulazione i giornalisti non rischiano più il carcere. Ma sono altri e numerosi i motivi che fanno discutere. Pene pecuniarie da mutuo, obbligo di rettifica da velocisti, scarsa chiarezza sul diritto all’oblio e il ruolo opaco dei motori di ricerca. L’attenzione è alta, soprattutto nella "comunità" di coloro che vivono nella terra di mezzo tra il giornalismo che abbiamo conosciuto, quello che viviamo e quello che arriverà: dagli esperti di giurisprudenza della Rete ai blogger passando per chi, nelle istituzioni, lavora per aggiornare la mappa dei diritti e dei doveri all’epoca digitale. Lesanzioni. Il Ddl Diffamazione, quindi. Le pene pecuniarie aumentano: fino a 50mila euro per chi "attribuisce fatti falsi". Inoltre, al centro delle critiche, la modulazione di due "diritti". Quello all’oblio: la richiesta, da indirizzare ai siti web e ai motori di ricerca, di eliminare contenuti ipoteticamente diffamatori. Ovvero: chiamo Google e faccio rimuovere l’articolo in questione. E quello alla rettifica: da pubblicare entro due giorni dalla richiesta e senza alcuna "contro-risposta" da parte del giornalista. Con l’ipotetico diffamato ad avere l’ultima parola. Disposizioni che, anche secondo il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, non sono altro che "un’intimidazione alla stampa". Il "pasticciaccio" sull’oblio. E chi "vive" la Rete? Sul diritto all’oblio si tratta di "un pasticciaccio brutto", commenta Fabio Chiusi. Perché il particolare precede l’universale, perché si legifera senza tener conto del contesto. "Da un lato c’è la discussione in corsosulla bozza della ’Costituzione’ per Internet, iniziativa della presidenza della Camera dei Deputati in cui si affronta questo tema". Dall’altro una "norma pronta" - mutuata dalla farraginosa, sul tema, legislazione europea - "che già sostiene di includere questo diritto". Una contraddizione che evidenzia come la volontà politica sia quella di "assoggettare il web alle regole della carta stampata" e che non vi sia nessun tentativo di "ridisegnare i confini del giornalismo in modo che siano finalmente aderenti a una realtà che nel 1948, l’anno in cui fu stesa la legge sulla stampa", semplicemente non c’era. Il ruolo della Costituzione per Internet. Coordinare il lavoro, quindi. Impegnarsi per la definizione di principi generali. "La Carta è un’occasione e una risorsa per mettere a punto leggi eque ed efficaci su temi estremamente attuali e in rapida mutazione", ci dice Lorella Zanardo, uno dei membri "laici" della Commissione Parlamentare che lavora allaCostituzione per Internet. "Quindi sarebbe bene che se ne prendesse spunto per andare oltre, ma ignorarne il lavoro è uno spreco di risorse e una presunzione inutile". E la Zanardo invita anche a non confondere le acque, a non sovrapporre la questione diffamazione con quella del diritto all’oblio, ovvero con "la necessità per tutti di poter liberamente agire ed esprimersi in rete senza che tutti gli aspetti e i dati della propria vita siano eternamente presenti e incancellabili". La Rete come una memoria spietata. Il risultato? "La maggior parte di noi eviterebbe di esprimersi ed interagire in modo libero e autonomo, cercando invece di conformarsi al pensiero e ai comportamenti dominanti". Rettifica, troppo poco tempo. Bastano due giorni per intervenire? Ne parliamo con Massimo Mantellini. Che dopo aver indicato le positività del ddl - "la netta distinzione, per una volta ben esplicitata, fra testate registrate ed altri formati informativi in rete" - commenta: "Penso che 48 ore siano troppo poche. Ma trovo che la rigidità di alcune norme al riguardo discenda direttamente da una abitudine deontologica dei giornali a seppellire le rettifiche nelle pagine meno raggiungibili". La vera sorpresa è che in una "norma sulla diffamazione a mezzo stampa ci si occupi di Google come se fosse un editore: cosa che ultimamente avviene troppo spesso". Eresie giuridiche1. E dal punto di vista "tecnico" quali sono le debolezze del provvedimento? Ne parliamo con Carlo Blengino, avvocato ed esperto di diritto in rete. "Per cercare di governare in qualche modo l’informazione si è ampliato oltre il buon senso il diritto di rettifica, sicché le testate saranno un domani completamente permeabili alle richieste di chiunque ritenga un articolo di cronaca o critica lesivo non dell’onore o della reputazione perché falso o eccedente, ma semplicemente soggettivamente sgradito". Una sorta di autodeterminazione democratica che "limiterà significativamente - esenza garanzie - la libertà dei giornali". Eresie giuridiche2. Ancora l’introduzione del diritto all’oblio, definito da Blengino come un errore concettuale. "La sua unica ragion d’essere all’interno della legge è quella di aprire un varco per rimuovere (leggasi sequestrare) notizie sgradite sul web. La possibilità di rimuovere articoli di giornali in relazione non alla loro valenza diffamatoria, ma per un presunto trattamento illegittimo dei dati personali è davvero un’eresia giuridica", continua il giurista. La sensazione è quella di una confusione "inquietante" tra "tra onore e reputazione, e protezione dei dati personali, che sono cose completamente diverse". Vita in redazione. Ma come influiscono le disposizioni del Ddl sul lavoro quotidiano dei giornalisti? Per Alessandro Gilioli, caporedattore de l’Espresso.it - e autore con Guido Scorza di "Meglio se taci", libro in uscita per Baldini e Castoldi che affronta il tema dell’intreccio tra opinione pubblica,rete e politica - "in un momento di difficoltà economica di tutte le testate, la pressione delle aziende editoriali sui giornalisti diventerà ancora più forte: in sostanza, si va verso forme sempre maggiori di autocensura, di timidezza, di anestetizzazione preventiva di chi scrive sui potenti". E di sicuro non si tratta di "un passo in avanti per un Paese che già sta in fondo alle classifiche mondiali sulla libertà di stampa". Il punto centrale è la "disincentivazione alla diffusione di fatti, di idee, di opinioni". Un tema che non riguarda non solo la stampa ma "chi produce e immette contenuti nel sistema comunicativo". Un sistema "squilibrato", tutto a favore "dei potenti e contro chi scrive di loro". Clima da minaccia permanente. E come ricade la normativa sul lavoro quotidiano di blogger e giornalisti freelance? Per Gianluca Neri - alias Macchianera - "come al solito si privilegiano le testate che, eventualmente, possono permettersi di pagare una multa,mentre si utilizzerà la sola minaccia di richiesta di rettifica per intimorire giornalisti free lance e blogger". Parole chiare, come chiara e la considerazione che "ci sarà comunque sempre il modo di aggirare la legge: come si fa, ad esempio, a imporre una multa a chi scrive in inglese su una faccenda tutta italiana, da un server americano, russo o cinese?". Basta pensare a ciò che succede con "l’assurda legge sul diritto all’oblio: una valanga di richieste, cui Google non può che far fronte, perché non esiste materialmente il tempo di controllarne la veridicità una per una". E non manca la previsione. "Come finirà? Finirà che fra qualche anno, quando qualcuno cercherà su Google Silvio Berlusconi, invece delle sentenze e dei procedimenti penali, appaiano solo le parole Grande Statista". E il governo? Infine, il silenzio dell’esecutivo. C’è da sorprendersi? "No", commenta Gilioli. Perché "al di là delle dichiarazioni formali, nessuna forza politica in Italia ha una vera culturaantiautoritaria e libertaria in termini di libertà d’opinione, quando si tratta di contrasto di interessi tra controllori e controllati, cioè tra diffusori di notizie/opinioni e politici". Ancora, Fabio Chiusi: "Su molte questioni riguardanti libertà e diritti in rete il governo non ha mai fatto sentire la sua voce. Niente su come proteggere la nostra privacy online dopo il Datagate. Niente sui tentativi precedenti di imporre un obbligo di rettifica a prescindere dalla veridicità o falsità di quanto scritto". Insomma, l’attesa è per un impegno anche della compagine governativa. Per fermare quella che Carlo Blengino definisce, in definitiva, una legge "ipocrita, che vorrebbe ma non può: una legge concettualmente sbagliata, che contribuirà a peggiorare, (se possibile) il quadro normativo dell’informazione in Italia". Carmine Saviano,repubblica
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