"C’è un fastidio crescente nei confronti dell’informazione. Un fastidio che nasce non solo in ambienti criminali in senso stretto". Claudio Fava, deputato di Sel, è il vicepresidente della Commissione antimafia, dove ha creato un gruppo di lavoro sull’informazione. Alle audizioni ha partecipato anche l’inviato de “l’Espresso” Lirio Abbate, che in questi giorni è stato nuovamente bersaglio di messaggi inquietanti . Fava sa bene cosa vuol dire vivere sotto minaccia dei clan. Da tempo è nel mirino di Cosa nostra. Perché come suo padre, Pippo Fava, ha il vizio di non girarsi dall’altra parte quando passa il padrino di turno. Vicepresidente, ma cosa intende quando dice che i segnali arrivano non solo da ambienti criminali in senso stretto? Penso ai messaggi trasversali arrivati da ambienti politici. E sono questi che io ricollego alle ultime inchieste di Lirio Abbate, che ha affrontato il tema della criminalità romana e dei legamicon l’estrema destra. Il fatto è che i giornalisti con la schiena dritta sono sempre più rari, e questi pochi quindi rompono gli schemi. Insomma, oggi i cronisti seri rischiano di più perché altri preferiscono non vedere. Per ogni giornalista minacciato ce ne sono altri che scelgono di allinearsi, di guardare altrove, di scegliere un giornalismo compiacente e inoffensivo. Con il comitato sull’informazione che avete costituito all’interno della Commissione quali temi avete affrontato? Abbiamo lavorato soprattutto sulle vicende calabresi. Fatti inquietanti, che spesso non trovano solidarietà all’interno degli stessi giornali. Un altro approfondimento che stiamo facendo riguarda le dichiarazioni di alcune pentite che sono state costrette a ritrattare. Dichiarazioni e lettere sbattute sulla prima pagina di alcuni giornali, usate come clava verso la procura. E mentre c’era qualche giornale che si proponeva come megafono a questo gioco, altrihanno rifiutato. Il problema quindi non sono solo le minacce, qui parliamo di compromissione. Per i cronisti minacciati ci sono i comunicati, per l’informazione che vive di rapporti vischiosi e discutibili non si interviene. Si sta consolidando l’idea che chi fa bene il mestiere del cronista sia un rompiscatole, un problema. È come se questo tempo non volesse voci fuori dal coro. E a Roma, la capitale d’Italia, qualcuno è allergico al giornalismo d’inchiesta. Raccontare le trame di potere e gli affari porta a reazioni violente. Penso a Lirio, alle minacce rivolte alla cronista di Repubblica. Roma è un porto franco, il mercato criminale dove si sovrappongono culture criminali di diversa estrazione. Al tempo stesso è una città educata e accompagnata dal silenzio sulle organizzazioni mafiose. È più semplice parlare in Piemonte di mafia che a Roma. Senza contare che proprio Lirio Abbate su “l’Espresso” ha svelato l’esistenza di unaFasciomafia romana. Ex terroristi neri legati alla politica locale, reduci della banda della Magliana, un mix pericoloso? È nata una simmetria tra neofascisti e mafia. Questa è la città della politica. Qui è concentrata ogni sfumatura del potere. Penso anche che c’è una dimensione criminale fascista, sottovalutata, considerata archeologia politica, e che invece ha una sua operatività e pericolosità. D’altronde la banda della Magliana è stata un crocevia di criminali, e già allora non era solo mafia, ma si saldavano interessi criminali di natura diversa. La Capitale insomma è la piazza dove si intessono trame di ogni tipo? «Roma è la città dove abbiamo visto le peggiori aberrazioni e patologie del potere». Giovanni Tizian,l’espresso Inseguita e speronata l’auto di scorta dell’inviato dell’Espresso Lirio Abbate Una macchina sospetta che li segue. Poi li sperona. E a quel punto fugge. Un fatto inquietante: nell’auto blindatac’è l’inviato dell’Espresso Lirio Abbate con gli agenti della sua scorta. Da sette anni Lirio vive sotto protezione della Polizia di Stato per le minacce che ha ricevuto dalla Mafia. Dopo lo speronamento, l’auto ha fatto una repentina marcia indietro per poi accelerare cercando di dileguarsi nel traffico del Lungotevere. Sembrava andata, persa. E invece gli agenti che proteggono Abbate l’hanno inseguita fino a quando l’auto dei fuggitivi è rimasta imprigionata nell’incolonnamento davanti a un semaforo. E’ a questo punto che uno dei tre poliziotti della scorta è sceso, pistola in pugno, e ha iniziato a correre verso i fuggitivi riuscendo a bloccare il conducente. All’interno dell’auto un ventenne romano, incensurato, che è stato consegnato agli agenti della squadra mobile che adesso indagano sulla vicenda. Dai primi riscontri non sarebbero emersi legami tra il ragazzo e i clan. Gli investigatori ritengono però quantomeno sospette le modalità con cui è avvenuto l’incidente ela reazione di fuga. Nel corso della perquisizione dell’auto da parte degli agenti è stato ritrovato anche un documento che appartiene a un cittadino straniero sul quale si stanno concentrando le indagini. Gli investigatori hanno interrogato a lungo il giovane fermato e che si trovava alla guida dell’auto. Accertamenti sono stati fatti sul suo conto, mentre è partita la ricerca di filmati e immagini delle telecamere fisse di sorveglianza in città lungo il tragitto dell’inseguimento. In questura il giovane fermato non ha saputo spiegare il suo gesto. Anche i controlli alcolici e su sostanze stupefacenti sono risultati negativi. Di certo, se ha agito per conto di qualcuno, questo qualcuno ha scelto molto bene e con cura l’esecutore dell’intimidazione che è persona incensurata senza collegamenti apparenti con la criminalità organizzata. I detective della Mobile continueranno a indagare sull’episodio cercando di capire se c’è un collegamento con le precedenti minacce, ancherecenti, ricevute da Lirio Abbate. Intimidazioni che, in alcuni casi, l’Espresso ha scelto di non raccontare per non intralciare le indagini ancora in corso. Abbate ultimamente si è occupato di criminalità organizzata romana, raccontando il potere dei quattro Re di Roma, (Casamonica, Senese, Carminati, Fasciani), e dei rapporti tra alcuni boss della mala e gli ambienti politici e neofascisti della Capitale. GIovanni Tizian,l’espresso
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