Come lente di ingrandimento che scorrendo su uno scritto evidenzia felicemente allo sguardo alcune parole ingigantendole, così gli anniversari talvolta sono preziosa occasione per indirizzare la nostra attenzione ed il nostro senso critico su personaggi ed opere, offrendoci momenti di proficua riflessione. Giusto un secolo fa, nel mese di dicembre dell’anno 1914, chiudeva gli occhi per sempre, a Roma, Giovanni Sgambati. In un secolo XIX nel quale le attenzioni musicali dei compositori italiani si erano sensibilmente allontanate dalla musica strumentale pura, travolte dallo straordinario fenomeno del melodramma e da una innata vocazione vocale edonistica, nasceva, nella capitale, il 28 maggio 1841. Figlio di un avvocato romano e di madre inglese, fu musicista precocissimo e così valente da meritare perfezionamento pianistico da Franz Liszt in persona nonché l’amicizia e la stima di Wagner, Ciaikovskij, Busoni, Brahms, Grieg ed altri. E fu autoreprodigo di composizioni squisitamente strumentali (due sinfonie, due ouverture, un “Epitalamio sinfonico”, due quintetti, un quartetto, un concerto per pianoforte ed orchestra e svariate composizioni pianistiche, ma pure un “Te Deum” ed un “Requiem” per soli, coro ed orchestra, pagine per canto e pianoforte ed altro), soprattutto, in termini di sensibilizzazione nazionale alla musica scevra di rappresentazione teatrale, fondò il famoso “Quintetto della Corte della regina Margherita” divulgando in Italia tantissimi capolavori stranieri, ed in qualità di direttore d’orchestra diresse importanti pagine quali la sinfonia “Eroica” di Ludwig van Beethoven e la sinfonia “Dante” di Franz Liszt. Come didatta, poi, propagò la grande lezione pianistica di Liszt e nel 1868 istituì una scuola gratuita di musica, prodromo dell’odierno conservatorio romano di Santa Cecilia. Musicista, quindi, generoso, colto e tecnicamente ben formato, seppure autore che sostanzialmente non aggiunge nulla di nuovoal panorama musicale romantico europeo, artista però, dall’incontestabile merito, in una temperie nazionale fortissimamente belcantistica e teatrale, di aver incarnato, insieme a pochi altri, e forse più di tutti, la preziosa coesistenza del pensiero divergente, formidabile pungolo ad un proficuo arricchimento (nel caso specifico, tecnico strumentale) ed a stornare isolamento culturale che alla lunga, come per gli organismi viventi in contesti fortemente circoscritti, può solo vieppiù indebolire condannando all’inarrestabile annichilimento totale. Un merito di cui più musicisti a seguire hanno saputo tener conto tributandogli così una significatività, se non strettamente compositiva, sicuramente culturale.
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