Domenica 30 novembre: la Camera approva il disegno di legge di stabilità con 324 voti favorevoli e 108 voti contrari. Dopo le tre fiducie di sabato sera, ora la legge è all’esame dei senatori che devono approvarla entro metà dicembre per il via libera definitivo di Montecitorio entro Natale. In ballo ci sono 36 miliardi di euro da spendere , soddisfando una serie di voci. Come sempre in Parlamento, il percorso della legge viaggia su due binari: l’attività politica con il tour de force dei parlamentari impegnati per tutto lo scorso week-end, e parallelamente l’attività di lobby, la ricerca di corsie preferenziali e i movimenti sotto traccia. Con l’assalto affannoso al carro degli emendamenti cuciti su misura. Puntuali, ecco che dal bilancio dello Stato spuntano norme ad hoc: finanziamenti, detrazioni fiscali, imposte aggirate. Basta la manina giusta che le inserisce nelle pieghe della legge e il gioco è fatto: dai lavoratori socialmente utili di Napoli e Palermofino alle detrazioni per i politici che aiutano il proprio partito. CENTO MILIONI PER I SOCIALMENTE UTILI Per aiutare i lavoratori socialmente utili (i cosiddetti Lsu, nati negli anni novanta con l’intento di inserire soggetti svantaggiati nel mercato del lavoro) ogni anno servono cento milioni di euro. Risorse che finiscono direttamente ai comuni di Napoli e Palermo per tenere in piedi un sistema assistenziale. La legge di stabilità prevede la costituzione di un fondo destinato alla stabilizzazione e al finanziamento di nuovi progetti. Senza questi soldi dello Stato a Palermo rischierebbero il posto ben 2.356 addetti tra cui amministrativi, vigili urbani e collaboratori dei servizi scolastici. In Campania sono 1.300 persone. La sopravvivenza del fondo non è però scontata. A fine ottobre era saltato per volere dei leghisti della commissione Bilancio della Camera. Ed ecco che un mese dopo rispunta come emendamento: stanziare 100 milioni di euro ogni anno dal2015 e quindi 100 milioni di euro annui “a decorrere dal 2018” per stabilizzare i lavoratori socialmente utili «previa convenzioni con i comuni interessati». In pratica assunzione senza concorso dopo anni di battaglie, picchetti e precarietà. «Non è cedendo ai ricatti che cambieremo verso» commenta il deputato di Scelta Civica Irene Tinagli: «Così si stabilizza una pratica figlia di una cattiva politica. Chiedo ai colleghi del Pd di chiarire e intervenire. Che questa misura di stabilizzazione venga dal governo Renzi, che proprio nei giorni scorsi nel Jobs Act ha ribadito che i lavori socialmente utili non devono creare aspettative di stabilizzazione mi pare una contraddizione profonda». Due pesi e due misure per accontentare i compagni di governo del Nuovo centrodestra, che infatti esultano. «Siamo soddisfatti per l’ok da parte del governo al nostro ordine del giorno sui lavoratori Lsu e progetti socialmente utili» ha spiegato Dore Misuraca, responsabile degli enti localidegli alfaniani. PRIMA IL PARTITO Nel capitolo detrazioni fiscali spunta un regalino per i politici stessi: sconto sulle tasse pari al 26 per cento per chi finanzia il proprio partito. Come previsto dalla legge del Governo Letta sul finanziamento pubblico ai partiti le “erogazioni liberali” alle formazioni politiche possono essere detassate. Un anno dopo le “erogazioni liberali” si trasformano in detassazioni su misura. Il motivo è semplice: non si tratta per nulla di contributi volontari da parte degli eletti, ma di obbligo vincolante scritto nero su bianco nello statuto del Partito democratico e di Forza Italia. Così con la legge di stabilità le due formazioni più grandi trovano una soluzione che non scontenta nessuno. A scoprire l’auto-aiuto il movimento cinque stelle, come spiega il questore grillino Laura Bottici: «Alcuni senatori scaricano i versamenti al partito nella rendicontazione quadrimestrale come spese per l’esercizio del mandato. Irimborsi spese sono esenti dalle tasse e quindi non è obbligatorio inserirli nella dichiarazione dei redditi. Se si ricevono i rimborsi (anticipati) per i soldi spesi e non si devono dichiarare, e allo stesso tempo si possono dichiarare le stesse somme spese godendo delle detrazioni siamo di fronte ad un doppio vantaggio». L’obiettivo implicito dei partiti è recuperare dagli eletti inadempienti che si rifiutano di versare periodicamente l’obolo, garantendo loro meno tasse e un altro privilegio. Per contrastare questa brutta pratica i senatori grillini hanno presentato un disegno di legge che chiede l’obbligo di rendicontazione per tutti gli eletti dei rimborsi spese e per la parte eccedente non spesa è prevista la restituzione o la tassazione come normale reddito. Per ora finito su un binario morto. ITALIA MARITTIMA SALVATA Il Parlamento e i democratici friulani non si dimenticano di Italia Marittima. Un aiutino “ad aziendam” inserito in fretta e furianella legge di Stabilità per la compagnia di trasporto marittima (erede dell’ex Lloyd Triestino e braccio italiano della taiwanese Evergreen) che ad ottobre ha ricevuto una multa da 60 milioni di euro per errata applicazione della “tonnage tax”, il regime fiscale forfettario per le navi a tratta internazionale che viene applicato in tutta Europa. Il presidente di Italia Marittima, Pierluigi Maneschi, non si era fatto trovare impreparato e aveva dichiarato, in caso di conferma della sanzione, a di essere pronto a «spostare la sede legale e le attività in altro Paese comunitario». Immediata la presa di posizione dei parlamentari democratici del Friuli Venezia Giulia Lodovico Sonego, Francesco Russo e Giorgio Brandolin, che hanno promesso di «muoversi sia in sede parlamentare che nei confronti del governo». Non c’è stato bisogno di nessun trasloco e mercoledì sera in commissione Bilancio è spuntato un emendamento del relatore Pd Mauro Guerra: esonero per le navi italiane in acqueinternazionali dalla ritenuta fiscale del 30 per cento sul suo noleggio o sul noleggio di attrezzature. Cioè proprio l’imposta che, secondo la Guardia di finanza, Italia Marittima non ha pagato per i periodi in cui si spostava in acque internazionali. «A perderci sono di sicuro le casse dello Stato italiano» ha commentato Daniele Pesco, deputato grillino che si è opposto alla proposta di modifica. Ovviamente senza successo. Michele Sasso,l’espresso
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