Guglielmo Vergine, maestro di Enrico Caruso
 











Nobilissima figura di intellettuale, disinteressata (perché non opera per lucro) e generosa (perché non lesina la condivisione e divulgazione dei suoi risultati), Gennaro Lieto ha svolto tenaci, appassionate ricerche specialmente nell’ambito della napoletanità, indagando su personaggi legati alla città del Vesuvio per rilevarne episodi biografici prima sconosciuti o rettificare dati erronei su opportune basi documentarie. Una delle sue ultime ricerche, alla quale qui viene doverosamente riconosciuta tutta la paternità, ha avuto così modo di vertere su colui che è notoriamente il cantante per antonomasia, Enrico Caruso, o meglio, su un elemento abbastanza trascurato della sua formazione artistica, ma da non sottovalutare assolutamente giacché è quello che principalmente gli ha permesso il passaggio dalla giovanile pratica musicale girovaga sugli stabilimenti balneari ai maggiori palcoscenici del mondo ed alla fama planetaria ed imperitura che oggitutti sappiamo: il suo primo vero insegnante di canto, Guglielmo Vergine.
Un’indagine nata per caso, rivela lo stesso Lieto, scorrendo un’ingiallita pagina del quotidiano Roma del 1901 e le poche righe che quel giornale dedicava alla prematura morte, in età infantile, di Linda, ultimogenita del prezioso maestro di canto, avvenuta l’11 settembre nel quartiere San Ferdinando. Così, dai registri dei morti della parrocchia di Sant’Anna di Palazzo ne è venuta fuori la residenza, vico Sergente Maggiore, 24. Proseguendo le pazienti ricerche risulterà, riguardo al maestro Vergine, anche insegnante di pianoforte e compositore di pagine vocali su testi in italiano ed in napoletano (“Risposta a Basta ca po’”, “L’unione de lli fabbriche”, “Lli ballarine”, “Ntonè non t’’o penzà”, su versi da Ettore De Mura erroneamente attribuiti a Pasquale Cinquegrana anziché correttamente a Leopoldo Spinelli, “La renfrescata”, “Vieni sul mar!”, “Non me guardà”)  e del quale pur tacciono importanti datianagrafici opere, del presente e del passato, dedicate alla canzone napoletana anche quando compilate da autorevoli studiosi, che nacque a Napoli il 5 settembre 1859, da Vincenzo ed Anna De Luca, che il 14 agosto del 1886 sposerà Beatrice D’Agostino, casalinga, andando a vivere in via Santa Lucia al Monte 15, che dopo solo due anni si trasferirà in vico Taverna Penta, oggi via Emanuele de Deo, al numero civico 7, portando con sé pure l’anziano genitore, anch’egli musicista. E sarà proprio in vico Taverna Penta 7 che busserà alla porta un poco più che diciottenne Enrico Caruso, grazie alla mediazione del baritono Eduardo Missiano.
«Che ce sperate? È ’na voce ’e niente!» sarà il duro responso del maestro, come poi riportato dal suo illustre discepolo, ma c’è chi insinuerà che fu affermazione strategica per accaparrarsi il prezioso allievo a cui aveva già prospettato la necessità di un lungo, assiduo lavoro. Un lavoro che Enrico Caruso non poteva però permettersi di pagare ma che peril quale l’insegnante trovò soluzione in un quarto dei guadagni dei primi cinque anni di carriera del giovane, quasi a tradire una già ben chiaramente subodorata potenzialità dell’aspirante tenore.
Le lezioni poi proseguiranno in vico Colonne a Cariati, 28, nuova residenza di Guglielmo Vergine dal 1893, fino al 1894. Rimasti poi affettuosi rapporti tra i due, il maestro di canto non si periterà di sollecitare il nascente astro della lirica circa il pagamento del lavoro didattico svolto, possibile indizio di una certa indigenza dell’insegnante.
Ma gli esordi del grande tenore nondimeno non erano dei più floridi economicamente se gli scriverà: «Carissimo Maestro, mi scuserete se io non ho risposto alle Vostre, ma per me è stato giuocoforza, perché non potevo rispondere, stando le cose a mal partito. Sappiate che io sono rimasto qui per niente, solamente per avere la soddisfazione di cantare Bohème, perché Beduschi mi aveva rotto le gambe, dicendo che nessuno poteva farla meglio dilui e che io potevo cantare bene la Traviata, ma la Bohème, no! Ed è stato giuocoforza che io restassi per niente, stante che ci andava per mezzo la mia carriera. Ora che vi ho spiegato tutto in due parole, potete immaginare il dispiacere che mi recavano i vostri telegrammi e le vostre ultime. Dispiacere che non so dirvi, tanto che la notte non dormo. So benissimo che a voi queste cose non importano, ma pure dovete convincervi della situazione nella quale un individuo si trova: non siete solo voi il martire, ma anche la mia famiglia, la quale credo che abbia bisogno. Infine, credetemi che non è per trascuratezza, e vi assicuro che, se avessi saputo, avrei agito come è mio dovere; ma le forze non ci erano, e se io torno a Napoli non avrò quanto per sbarcare a terra. Il mio successo ha almeno accorciata la mia carriera in progressione di sicuro un paio di anni, perché scelto da Puccini e insegnata da lui l’opera. Mi pare che sia una soddisfazione che ognuno pagherebbe un gran che… Sonostato in Casa Puccini; ho mangiato in tavola con lui, che mi tratta come un fratello, perché lui ogni due o tre giorni è qui. Finisco con l’augurarmi che non mi serbiate rancore, ed accogliete un bacio dal Vostro Enrico Caruso».
La situazione, comunque, sarà poi onorevolmente risolta.
Qualche anno dopo, il maestro Guglielmo Vergine, l’insegnante di canto del grande Enrico Caruso,  morirà giovane, a soli quarantasette anni, come rivela la dicitura sulla sua tomba. L’assenza della ferale notizia (finanche sui registri parrocchiali di Sant’Anna di Palazzo) lascia sospettare una certa povertà del musicista, opinare la morte probabilmente avvenuta in un’anonima corsia di ospedale, soprattutto, tristemente verificare l’assoluto disinteresse della stampa cittadina. Rosario Ruggiero









   
 



 
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