“Ricostruire e custodire la memoria storica del proprio passato, nel bene e nel male, non è apologia, è un dovere; dimenticarla è ignoranza, cestinarla una barbarie, raccontarla in modo distorto, secondo la propria ideologia politica, è faziosità e incoscienza. I fatti e i personaggi possono piacere o non piacere, possono essere deplorati o approvati; le canzoni, gli inni trionfali e la satira del momento certamente provocano sentimenti diversi. La storia è quella che è stata e quella che è, non quella che vorremmo fosse”. Questo il credo etico, che si legge nel suo ultimo libro, “Napoli: allegro, ma non troppo. La canzone, colonna sonora della nostra storia”, già in procinto di pubblicazione per i tipi di “graus editore”, di Teodoro Cicala, avvocato di prestigiosa carriera, ma, soprattutto, sensibile melomane con un sviscerato amore per il repertorio vocale, di cui conserva numerosissimi, rari documenti fonografici. Già autore di più libri,sulla figura di Enrico Caruso e sulla tradizione canora partenopea più ampiamente intesa, ha tenuto svariate conferenze su questi argomenti. E proprio una conferenza è stata la sua ultima fatica divulgativa, organizzata dall’Accademia Tiberina di Napoli, recentemente svolta presso il Cenacolo Culturale Pisaturo, ad un tiro di schioppo dalla Villa Comunale cittadina, l’eleganza architettonica di Villa Pignatelli, la severa robustezza di Castel dell’Ovo e l’incantevole abbraccio della città al mare che, impreziosito dalla visione del Vesuvio e dell’isola di Capri, sortisce da lunghissima data uno dei panorami più famosi al mondo. “Vincere-vincere-vincere”, il titolo dell’incontro, nel corso del quale lo studioso ha sciorinato, con la sua consueta generosità, il triste periodo storico che va dal 1940 al 1945,lasciandosi avvicendare da ascolti musicali. Canzoni amare, canzoni ironiche, canzoni che cercano spensieratezza, soprattutto canzoni come documento epocale, di passioni,sofferenze, aspettative, immediato e sincero, perché senza la meditata intermediazione del magistero accademico, come acutamente riconosce anche Marcel Proust quando scrive: «Siccome la cattiva musica si suona e si canta molto più appassionatamente della buona, a poco a poco essa si è riempita del sogno e delle lacrime degli uomini». Un’encomiabile azione, allora, di analisi ed approfondita valutazione emotiva e sociologica che affranca la produzione musicale leggera dal misero, consueto ruolo di frivolo passatempo per farla giustamente assurgere al nobile compito storico di specchio epocale dell’umanità: e l’apparente leggerezza tradisce preziosa profondità.
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