Iran OLTRE IL CHADOR
 







di Mario Nordio




La rivoluzione di un paese che non finisce mai di sorprendere compie trent’anni. L’Iran è l’unico luogo di questa terra che vanta qualche decina di migliaia di poeti censiti. Sono il segno, forse erratico, di una predisposizione a ciò che è bello e godibile della vita. Lo sono anche gli edifici aperti sul giardino e sull’orizzonte o le opere pubbliche capaci di reggere per secoli le passeggiate sul fiume degli innamorati. E’ popolato da moltissimi giovani che hanno fame di posti di lavoro e servizi, una fame aumentata in trent’anni. La loro stragrande maggioranza ha anche poco da spendere per fare acquisti nel mercato delle ideologie, fossero anche quelle della libertà. Questo paese, il 2 febbraio, ha festeggiato i trent’anni della rivoluzione posizionando «Omid» (speranza), un satellite per telecomunicazioni di produzione iraniana e lanciato con vettore iraniano. La Guida suprema Ali Khamenei si è congratulato con il Presidente Ahmadinejad per ilsuccesso della «gloriosa rivoluzione della nazione iraniana». Il trentennio viene celebrato ricordando al mondo che l’Iran aspira a essere potenza regionale e ha una posizione geopolitica che lo obbliga a comportarsi come tale. Così, durante la scellerata guerra che in gennaio del 2009 ha portato le truppe israeliane all’interno di Gaza, l’Iran ha sostenuto Hamas. E quando, il 29 gennaio, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha abbandonato polemicamente un dibattito a Davos reagendo ad alcune affermazioni del presidente israeliano Shimon Peres, l’Iran lo ha applaudito - non certo come sostenitore delle cause nazionali turche. È una celebrazione che porta su di sé forti ombre sul piano interno: dall’inflazione che galoppa alle promesse di benessere non mantenute: non stupisce nessuno che l’Iran abbia una spesa militare da paese sotto assedio. La vocazione globale e regionale dell’Iran era comunque esplicita già trent’anni fa quando, fra il 1978 e il ’79, la rivoluzione iranianaafferma in modo inequivocabile le «diversità assolute» dell’Iran. Esse pesano subito sullo scenario globale che entra in allarme a causa dei connotati ideologico-religiosi della rivoluzione che preferisce l’Islam allo schieramento bipolare Est-Ovest e modella le istituzioni dello stato iraniano su questa scelta. Le medesime opzioni di fondo pesano anche sullo scenario regionale che, in aggiunta, entra subito in fibrillazione a causa di fattori cultural-religiosi. Mentre la maggioranza dell’area è araba e sunnita la rivoluzione è iraniana e sciita. È quanto basta per tentare di soffocare sul nascere la malapianta. Ma il gioco era meno facile e più destabilizzante di quanto potesse apparire a prima vista. L’Iran dello Shah Reza Pahlavi era lo stato alle porte dell’Urss sul quale si incardinava la strategia di contenimento orientale del polo sovietico. Funzione analoga, ma arretrata, svolgeva la Turchia. All’ombra dei due ombrelli strategici si decidevano i ruoli e i pesi regionali deivari stati del Vicino Oriente. Non è difficile immaginare quale fu nel 1979 l’effetto sconcertante provocato in questo assetto regionale dall’uscita di scena dello Shah in gennaio e dall’arrivo di Khomeini il primo di febbraio. La rivoluzione, per di più, non rispettava alcune regole delle rivoluzioni. Ad esempio non si era sviluppata a causa di una sconfitta militare o di una crisi economica. Ne rispettava altre, come quella del pluralismo politico iniziale e della sua rapidissima dissoluzione, o quella di un basso numero di vittime durante il periodo di insorgenza. E’ noto quanto siano difficili da capire le intenzioni di ogni rivoluzione e quanto sia complesso per i decisori stabilire le mosse appropriate al cambiamento di scenario. Ma quella iraniana si presentava agli attori globali e regionali in modo davvero singolare. Aveva spazzato via un regime noto per imperniarsi sui militari, servizi di sicurezza e proventi petroliferi: però lo Shah, in un famoso discorso alla nazione, siera rifiutato di usare l’esercito contro i dimostranti. L’esercito, pochi giorni dopo, aveva dichiarato la propria neutralità mantenendo i soldati nelle caserme. Non secondari rispetto alla caduta dello Shah furono gli atteggiamenti conflittuali all’interno dell’amministrazione statunitense. Il primo aprile, tre mesi dopo l’arrivo di Khomeini, l’Iran sceglieva con un referendum di diventare una Repubblica Islamica. Così, la questione palestinese cominciava a uscire dall’agenda statunitense e a lasciare il posto a quella iraniana. Ma anche l’amministrazione Usa diventava centrale nell’agenda della Repubblica islamica.
Paradigmatica al riguardo fu la questione degli ostaggi quando, dal 3 marzo 1979 l’ambasciata statunitense a Tehran fu occupata. L’amministrazione Carter, per liberarli, tentò senza successo la carta diplomatica e quella militare. E’ ormai comune valutazione che il trattenimento degli ostaggi a Tehran fu uno dei fattori principali della sconfitta elettorale di Carter.Infatti, furono restituiti alla libertà solo 444 giorni dopo, come grazioso regalo al vincitore, non appena Ronald Reagan si insediò come nuovo presidente. La rivoluzione aveva fatto emergere una indiscussa leadership religiosa, ma Khomeini, al suo rientro, aveva tracciato una strada che apriva al pluralismo politico, pur sotto controllo religioso. Si trattasse di una rivoluzione nazionale in veste religiosa o di una repubblica religiosa in veste nazionale - argomento su cui dibattono ancora gli studiosi iraniani e di Iran - poco importava. Il segnale era un’incertezza che pesava sul piano globale e regionale. Una vera e propria sconcertazione, come quella che coglierebbe un’orchestra che sta suonando se sparisse all’improvviso un’intera sezione di strumenti. Non si era alla rottura degli equilibri fra est e ovest - dovrà aspettare ancora un decennio - ma all’inquietante avvisaglia di una rivoluzione vincente che dichiarava «Né Est né Ovest: l’Islam è il migliore». La convergenza dimotivi economici e strategici alla base delle preoccupazioni e reazioni regionali fu subito evidente. Israele avvertiva un inedito pericolo incombente: l’eventuale nucleare iraniano non era eliminabile con la stessa facilità di quello irakeno e Israele sapeva che già lo Shah aveva una vocazione nucleare. L’Iraq, che puntava all’egemonia sul Vicino Oriente si trovava di fronte ad un competitore molto scomodo. Si apriva la strada per l’uomo forte, Saddam Hussein, che dal ’77 era il responsabile unico della politica petrolifera. Anche la Siria era obbligata ad aggiornare la propria tradizionale politica di competizione con l’Iraq che diventava, giocoforza, una politica di attrito. La Giordania si preparò subito a schierarsi con l’Iraq nella guerra dell’anno dopo. Difficilissima stava diventando la situazione dei piccoli stati del Golfo, ovviamente sostenuti dalla Lega Araba, dove l’Iran aveva pretese territoriali sull’isola di Abu Musa nello stretto di Ormuz, già occupata dallo Shah. Uncontraccolpo toccava anche l’Egitto che aveva appena firmato gli accordi di Camp David e che era, in tutta sostanza e con qualche buon motivo, il secondo pretendente alla leadership araba. Nulla più di una vincente rivoluzione islamica poteva inquietare di più il regime che aveva ferocemente represso i radicali islamisti interni. In quel periodo gli articoli di al-Ahram assomigliano molto a quelli del Times di Londra. Così la guerra dell’Iraq all’Iran fu guerra per delega. Un terribile conflitto a somma zero dal quale uscì vincente chi si indebitò meno: l’Iran. Ne conseguì la politica della mano tesa verso gli Emirati, la scelta di sostegno all’Armenia piuttosto che all’Azerbaidjan, la neutralità interessata durante la seconda guerra del Golfo, quella in cui Bush padre si rifiutò di arrivare a Baghdad. Chi non è di memoria corta dovrebbe ricordare che alla conferenza dei quattro grandi a Tehran, il 28 novembre del 1943, l’Iran viene presentato sulla scena internazionale della Secondaguerra mondiale come paese inserito in modo organico nelle strategie geopolitiche del momento. Si tratta di un incardinamento regionale e globale che si rafforza se si indebolisce il quadro d’insieme. E’ conseguente osservare a questo punto che la Repubblica Islamica d’Iran non solo dava e da continuità politica alle vocazioni regionali e globali e che, almeno a chi scrive, suona singolare che dopo trent’anni sia difficile prenderne atto. Forse a questo fanno velo le violente dichiarazioni anti-israeliane e anti ebraiche, o quelle anti-statunitensi - nonostante i recentissimi segnali di attenzione alla mano aperta del presidente Barak H. Obama. I trent’anni trascorsi, inoltre, hanno visto svilupparsi una politica regionale iraniana che la scuola realistica delle relazioni internazionali può definire «sensata». La politica iraniana durante l’ultima guerra del Golfo ha certamente sfruttato la debolezza di un Iraq di fatto tripartito, ma ha evitato di esasperarla. L’Iran ha sviluppatorelazioni economiche con i vicini (il progettato gasdotto che unisce Iran e India attraversando il Pakistan meridionale), quelle con i paesi emergenti dell’America Latina e dell’Africa. Si è segnalato per una presenza attiva come osservatore nello Sco (Gruppo di Shanghai) che riunisce la Federazione Russa, la Cina e quattro Paesi dell’Asia Centrale e nei rapporti con i Paesi Europei al di là della questione nucleare. Si tratta di partite aperte. In conclusione, l’Iran sorprende solo chi vuol farsi sorprendere. Iraniani inclusi.
* Università Cà Foscari di Venezia










   
 



 
09-10-2015 - WikiLeaks svela l’assalto del Tpp alla salute e alla libertà della rete
26-02-2015 - Ucraina, Putin: taglio del gas da Kiev a regioni dell’est puzza di genocidio
22-02-2015 - Obama al summit antiterrorismo: "Non siamo in guerra con l’islam ma con chi lo strumentalizza"
12-02-2015 - Maratona al vertice di Minsk. Putin: "Raggiunto accordo per il cessate il fuoco"
10-02-2015 - Il Cremlino: "Se gli americani armano Kiev ci sarà un’escalation del conflitto"
09-02-2015 - Ucraina, Putin: "Non accetteremo ultimatum". Kiev denuncia: "Nel week end 1500 soldati russi hanno varcato la frontiera"
05-02-2015 - Ucraina, Kerry: Russia deve "impegnarsi subito" per fermare la guerra. Putin mobilita i riservisti
09-01-2015 - Un 11 settembre francese? Chi ha ordinato l’attentato contro Charlie Hebdo?
23-12-2014 - Ttip, a chi conviene il trattato commerciale tra Europa e Stati Uniti?
22-12-2014 - Lauti stanziamenti Usa anti-Assad
19-12-2014 - Obama e i giovani neri di Ferguson
18-12-2014 - Putin: "Misure adeguate contro la crisi, economia in ripresa entro due anni
17-12-2014 - Cuba-Usa, svolta nei rapporti: liberato il contractor Gross, scambio di agenti segreti
15-12-2014 - Guerra in Ucraina: viaggio da Sloviansk a Kiev dove il diritto alla salute è negato
14-12-2014 - Libia, chiuso il più grande porto petrolifero: rischio blocco del gas italiano a Mellita

Privacy e Cookies