«Il Sud non sono proprio gli Stati Uniti e il Texas è un’altra cosa ancora. Perciò se mi chiedete chi sono vi risponderò che sono uno scrittore texano, cresciuto in una cultura di frontiera che, al suo interno, ha tante cose diverse». Joe R. Lansdale è uno dei più noti scrittori statunitensi di noir, anche se in poco meno di trent’anni di carriera ha macinato un po’ tutti i generi della letteratura pop: dall’horror al mistery, dal western alla fantascienza, dall’hard boiled al pulp. Insomma una sorta di concentrato della cultura popolare a stelle e strisce, anche se il suo Texas è lo Stato della "Stella solitaria", qualcosa di più e di diverso dal resto del paese. Non a caso Lansdale racconta di essere cresciuto a fumetti e country music, nell’America dei primi anni Sessanta, è nato nel 1951 nel paesino di Gladewater non lontano da Nacogdoches, dove l’arrivo dei marziani era meno temuto dell’emergere delle sottoculture giovanili, inaugurate solopoco tempo prima da Elvis Presley. Autore di più di una ventina di romanzi e di oltre duecento racconti, Lansdale è stato definito come lo "Stephen King del Texas", anche se dallo scrittore del Maine lo differenzia prima di tutto proprio la sua origine sudista, il coltivare con cura quell’atmosfera morbida e oscura che accompagna molte pagine della letteratura del Sud, e poi le sue radici texane, da cui sembra scaturire il rapido cambio di passo che segna nelle sue pagine l’irrompere selvaggio della violenza. Vincitore di un numero incredibile di premi e riconoscimenti letterari Lansdale è pubblicato nel nostro paese sia da Einaudi che da Fanucci che stanno traducendo buona parte della sua produzione, da La notte del drive-in (Einaudi, 1998) a Maneggiare con cura (Fanucci, 2002), da Freddo a luglio (Fanucci, 2002) a La sottile linea scura (Einaudi, 2004), da In fondo alla palude (Fanucci, 2004) a L’anno dell’uragano (Fanucci, 2004), da Tramonto e polvere (Einaudi, 2005) a Il latooscuro dell’anima (Fanucci, 2005). In questi giorni Lansdale si trova in Italia per presentare il suo romanzo Sotto un cielo cremisi (pp. 312, euro 17,00), la nuova avventura della sconclusionata coppia di detective Hap e Leonard appena pubblicata da Fanucci e per partecipare al Festival blues che si apre il 10 maggio a Piacenza. Mr. Lansdale, lei era un adolescente negli anni Sessanta e è cresciuto con la cultura popolare dell’epoca. Qualcuno ha detto che l’elezione di Barack Obama rappresenta la fine definitiva di quell’epoca, altri, al contrario, affermano che si tratta del suo pieno ritorno. Cosa ne pensa? Intanto devo dire che sono davvero molto contento per la vittoria di Obama: prima, e per molti anni, ho scritto da depresso, ora torno a scrivere da ottimista. Quanto agli anni Sessanta, credo si possa dire che Obama è il primo presidente dopo parecchio tempo che torna ad incarnare l’idea del "sogno americano", quella che definirei come la mistica del sogno. La sua stessabiografia parla per lui da questo punto di vista: è giovane, è nero, è andato avanti contando su se stesso... Ecco, sì, in tutto questo ci vedo un’estrema proiezione degli anni Sessanta, qualcosa che rimanda in qualche modo a quell’epoca anche se l’America di oggi è completamente diversa. Giurando da Presidente il 20 gennaio Obama ha detto agli americani: «Scegliamo la speranza contro la paura». Crede davvero che la paura sia stata sconfitta negli Stati Uniti? Non so se si può dire che la paura sia veramente finita negli Stati Uniti, credo sarà sempre presente. Anche se è vero che l’elezione di Obama è stata accompagnata dal riemergere di un sentimento positivo. Diciamo che dopo l’ultimo decennio di presidenza Bush stiamo cominciando a tornare alla normalità, alla ragione e al buon senso, in questo senso è venuto il tempo dell’ottimismo, anche se c’è la crisi. Il suo romanzo "L’anno dell’uragano" racconta la tregedia dell’inizio del secolo scorso che colpì la città texana diGalveston: quasi un’anticipazione di quanto poi accaduto nel 2005 a New Orleans con l’uragano Katrina. Quanto sono pesati nel recente voto americano i ritardi nei soccorsi e le responsabilità dell’amministrazione Bush nell’aver quasi abbandonato a se stessa la popolazione colpita? Sicuramente il modo in cui la gente è stata lasciata per giorni in balia dell’acqua ha pesato sul giudizio che è stato poi espresso con il voto. Anche se credo che per scegliere il loro nuovo presidente gli americani abbiano considerato un po’ tutto quello che è successo negli ultimi anni e abbiano tratto le loro conseguenze. Proprio in questi giorni ripensavo a Katrina vedendo alla televisione le immagini delle persone che stanno vivendo nelle tende dopo il terremoto dell’Abruzzo. Sembra assurdo, ma i governi non gestiscono quasi mai bene queste calamità. A distanza di anni, ancora oggi New Orleans e la Louisiana sono in piena emergenza e la gente continua a subire le conseguenze di quella tragedia. Anchea distanza di tempo mi sembra assurdo che un paese come gli Stati Uniti non fosse preparato a fronteggiare una simile emergenza. D’altra parte le priorità dell’amministrazione Bush erano altre, penso alla guerra, e i fondi messi a disposizione per far rispondere a simili calamità erano stati ridotti al minimo. Negli Stati del Sud hanno vinto anche questa volta i repubblicani, anche se con delle eccezioni importanti come la Florida e la Virginia che segnalano cambiamenti sia sul piano demografico che politico. Anche il vecchio Sud comincia pian piano a cambiare? E’ un processo lento e graduale, ma iniziato già da un po’ di tempo: il Sud sta cambiando sia socialmente che culturalmente. Molti segnali interessanti si possono già cogliere, anche se c’è ancora tanta strada da fare. Quando vengo in Europa mi rendo conto che questi cambiamenti forse non sono percepiti da chi vive qui, ma negli Usa se ne sono accorti in molti. Le giovani generazioni, quelle che fino ad ora non hannoavuto accesso al voto, stanno cambiando il Sud con le loro scelte e con il loro voto. Sono loro che stanno facendo la differenza rispetto al passato visto che non hanno certo le stesse idee conservatrici dei loro padri o dei loro nonni. Una canzone di una cantante country, Nanci Griffith, una texana come lei, si intitola "Lone Star State of Mind". Come a dire che il Texas, lo Stato della Stella solitaria, corrisponde a un’idea più a un luogo geografico. E’ così? Intanto devo dire che si tratta della mia cantante preferita e che mia figlia Kasey, che è al suo primo disco country, interpreta spesso quella canzone. A parte queste note personali, credo di essere d’accordo con Nanci Griffith: il Texas è quasi la sintesi di tutto ciò che è americano, nel bene come nel male. Per me quest’idea dell’America è legata alla possibilità di realizzare i propri desideri, i propri sogni, come è riuscito di fare a me. L’America ha i suoi problemi come qualunque altro paese al mondo, solo che danoi puoi arrivare da qualunque posto e cercare di realizzare ciò che ti sta veramente a cuore. Ti può andare bene o ti può andare male, ma in ogni caso hai avuto la possibilità di provarci. Dico questo per esperienza personale: la mia vita è andata proprio così, altrimenti non sarei mai diventato uno scrittore e oggi non sarei qui a parlare con lei. Tra i suoi riferimenti letterari lei cita spesso la scrittrice Flannery O’Connor, nata in Georgia e considerata tra le ispiratrici del "gotico sudista". Perché l’ambiente degli stati meridionali ha prodotto una letteratura così sofferta e attraversata da tratti oscuri e misteriosi? E’ difficile rispondere in modo netto a questa domanda. Da un lato è evidente che l’ambiente naturale ha la sua importanza, nel senso che il Sud ha un’origine molto più "dark" rispetto ad altre parti degli Stati Uniti: c’è molta acqua, molte paludi, molti alberi e molto più buio. Insomma una natura che può fare paura, può creare timori e inquietudini. Unanatura che è accompagnata da un’idea di mistero, di insondabile e di oscuro. Perciò credo che gli scrittori sudisti cresciuti in questo contesto non possano che avere una visione un po’ gotica, attraversata dall’eco che crea il clima che c’è intorno a loro. Inoltre il Sud, a partire dalla sua natura ma anche dalla sua storia, sembra predisporre le persone a una dimensione più appartata, più individualista, più solitaria. Perciò sia in passato che talvolta ancora oggi non è facile capire cosa accada davvero nelle regioni più oscure del meridione americano... è tutto un po’ misterioso. Magari fatti analoghi a quelli che succedono nel Sud capitano anche in altre parti del paese, ma solo qui trovano una traduzione culturale così fosca e gotica. Nel Sud le persone sono più propense a guardare al lato oscuro delle cose, si tratti della vita di tutti i giorni come del loro passato. Flannery O’Connor diceva dei sudisti e dello spirito del Sud: «Noi amiamo vedere nell’oscurità». Ecco, tuttiquesti elementi credo abbiano contribuito a creare quel particolare stile sudista e un po’ gotico della letteratura americana. In uno dei suoi romanzi più noti, "La sottile linea scura" (Einaudi, 2004), questa dimensione "dark" incrocia la storia e le radici del Sud. Quale rapporto c’è tra questo cuore oscuro e la memoria di questa parte degli States? In quel libro io sono partito da degli elementi autobiografici, dai miei ricordi di bambino, per raccogliere poi anche delle storie e delle tracce che sono rimaste nella memoria collettiva di tutto il Sud. Di base c’erano esperienze dirette riviste a distanza di moltissimi anni, ma anche gli interrogativi che il Sud continua a porsi sulla sua storia passata. Parlo di un’oscurità tutta particolare della società sudista: quella legata al razzismo e alle tante forme assunte dalla discriminazione razziale di cui sono stati vittima per tanto tempo gli afroamericani. I ricordi di tutto ciò mi hanno accompagnato fino ad ora, perciòquando ho scritto quel libro ho vissuto come una sorta di catarsi, ho guardato in faccia quei fantasmi che però non sono solo miei ma appartengono alla memoria di tutti i sudisti. Lei torna ora in Italia con una nuova avventura di Hap e Leonard. Nelle storie dei due detective la violenza esplode improvvisa, come una sorta di casualità ineluttabile. Perché? Perché è frutto della loro condizione di marginalità, è il segno del loro essere "fuori" dalla società. In questo senso la violenza segnala l’altra faccia di un modello sociale, quello del mio paese, che se regala la possibilità di provarci a tutti, è molto duro con chi alla fine non riesce a concludere nulla. La violenza dà forma e voce a questa frustrazione profonda.
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