Scontri etnici in Cina 140 morti, oltre 800 feriti
 











E’ stato un massacro i cui contorni non sono ancora chiari: nelle violenze di ieri a Urumqi, nella regione cinese dello Xinjiang, 140 persone hanno perso la vita e più di 800 sono rimaste ferite. Centinaia gli arresti effettuati. Lo hanno dichiarato alla stampa locale dirigenti del Partito comunista cinese, indicando che si è trattato di una rivolta di grandi proporzioni. Le fonti hanno aggiunto che il bilancio delle vittime potrebbe aumentare.
Gli incidenti sono stati innescati da una manifestazione di protesta per l’assassinio di due uighuri (la minoranza etnica turcofona musulmana) avvenuto il 26 giugno nel sud della Cina in scontri tra operai cinesi e uighuri nei quali due giovani musulmani sono rimasti uccisi.
Nelle foto e nei filmati comparsi su internet a partire dalla notte scorsa, quando si è diffusa la notizia degli incidenti, si vedono civili sanguinanti e feriti ma nulla che lasci intuire le reali dimensioni della violenza. Igruppi di esuli uighuri (la minoranza etnica musulmana), che hanno contatti con la popolazione dello Xinjiang, hanno denunciato la repressione, affermando che la polizia cinese aveva aperto il fuoco su una manifestazione "pacifica".
Nei suoi primi dispacci, Nuova Cina non precisa l’etnia delle vittime tra le quali, aveva affermato in precedenza, ci sarebbe almeno un agente della Polizia armata del popolo (Pap), il corpo paramilitare addetto al controllo dell’ordine pubblico.
Urumqi, una città di 2 milioni 300 mila abitanti, a circa tremila chilometri da Pechino, è la capitale della Regione Autonoma dello Xinjiang. Gli uighuri sono gli abitanti originari della regione, che chiamano Est Turkestan. Oggi la minoranza etnica rappresenta circa la metà dei 20 milioni di abitanti dello Xinjiang, in gran parte immigrati da altre zone della Cina.









   
 



 
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