Dopo quattro giorni di battaglia senza sosta intorno al palazzo presidenziale di Mogadiscio e in altri quartieri della capitale somala, in cui sono state uccise almeno altre trenta persone, in stragrande maggioranza civili, l’insurrezione armata estremista islamica somala ha ieri posto un ultimatum al governo di transizione sostenuto dall’Onu. «Avete cinque giorni per abbandonare le armi e sciogliere questo esecutivo fantoccio. Dopo questo breve arco di tempo lanceremo l’offensiva finale». Parola di Mukhtar Abdel Rahman Abu Zubeyr, emiro dei miliziani somali noti come shebab, che vuol dire giovani ("al-Shebab al-Mujaheddin"). Gli shebab somali, che combattono a finaco di Hezb al-Islamiya per rovesciare il governo guidato dal Presidente Sharif Ahmed, sono considerati una costola di al-Qaeda. Per questo qualche centinaio di combattenti votati al martirio, provenienti da diverse parti del mondo, compresi Usa Australia e Regno Unito, si batte oggiin Somalia. Uno dei leader degli shebab, Abu Mansoor al-Amriki, è un convertito all’islam americano del Minnesota. La sua principale missione è fare proseliti su Internet grazie a video hip-hop in salsa jihadista. Ieri l’insurrezione somala ha reso noto anche che, se non lasceranno Mogadiscio, i rappresentanti del governo, saranno catturati giudicati da tribunali islamici. Al momento gli insorti sembrano avere la meglio sulle forze del governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Questo nonostante la presenza della missione dell’Unione Africana Amisom che conta 4800 uomini a fianco delle forze governative. E nonostante il fatto che i soldati regolari siano stati foraggiati con 40 tonnellate di armi e munizioni dagli Usa. Ieri, il governo somalo ha annunciato che l’Unione Africana invierà ulteriori rinforzi. Si dovrebe così arrivare a un contingente di 8mila caschi blu. Il presidente Sharif avrebbe anche chiesto ai soldati del contingente africano di non limitarsi adifendere le posizioni da loro controllate, come il porto, l’aeroporto e il palazzo presidenziale, ma di impegnarsi nei combattimenti insieme alle truppe governative contro i ribelli islamici che circondano la capitale. Ma il mandato dell’Amison stabilisce che i caschi blu possono aprire il fuoco al solo scopo di difesa. La settimana scorsa al vertice dell’Ua in Libia non si è raggiunta una maggioranza per modificare tale regolamento. Ora Kenya, Uganda, Sudan, Giuti, Etiopia e Somalia hanno avanzato una nuova richiesta all’Unione Africana per modificare il mandato. Così i caschi blu dell’Amison passerebbero da "peacekeepers" a "peacemakers". Paradossale formula che indica la possibilità di attaccare, invece che agire in difesa. Dal canto loro gli shebab hanno già fatto sapere che se il mandato dei soldati Amison sarà modificato li attaccheranno per prendergli tutte le armi. Dal sette maggio, data dell’inizo dell’offensiva per rivesciare l’esecutivo gli scontri nella sola capitaleha causato oltre 330 morti. I feriti sono almeno tre volte di più. Le vittime sono per la quasi totalità civili. La situazione negli ospedali di Mogadiscio è tale da non consetire la cura di molti feriti. La ripresa del conflitto ha portato alla fuga dalla capitale somala almeno 185mila persone, secondo le Nazioni Unite. Per domare le fiamme dell’inferno somalo, un tentativo di mediazione in extremis è stato messo in piedi al Cairo, dove oggi è atteso il ministro degli Esteri, Muhammad Omar. L’Egitto riceverà successivamente i rappresentanti dei gruppi ribelli. L’insurrezione che combatte per rovesciare il governo somalo è finanziata e armata dall’Eritrea. Durante il vertice dell’Unione Africana tenutosi la scorsa settimana in Libia, la stessa organizzazione ha lanciato un appello al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite affinché imponga sanzioni ad Asmara. A loro volta gli insorti somali accusano il governo di Mogadiscio di lavorare sottobanco a un (re)intervento dell’Etiopianel conflitto. A sostegno di questa tesi, nonostante le smentite di Addis Abeba e Mogadiscio, vi sono due elementi. Il primo riguarda la ripetuta segnalazione di movimenti di truppe etiopi in Somalia. Il secondo è che a causa del sostegno "undercover" degli etiopi al governo di transizione, alcuni ufficiali della sicurezza somala di stanza nella zona di Beletwein (centro-sud) in sarebbero passati tra le fila di Hezb al-Islamiya. L’esercito etiope è intervenuto massicciamente nella zona centro meridionale della Somalia nei due anni che hanno preceduto l’insediamento dell’attuale governo di transizione.
|