Somalia, nuovi scontri a Mogadiscio
 







di Francesca Marretta




Quello delle stragi di civili è un copione che si ripete dal sette maggio scorso, data d’inizio dell’offensiva dei gruppi estremisti islamici per rovesciare il governo insediatosi a gennaio con l’appoggio dell’Onu.
L’insurrezione somala, composta da "al-Shebab al-Mujaheddin", gruppo legato ad al-Qaeda noto più semplicemente col nome di shebab ed Hezb al-Islamiya, guidata dall’ex leader delle Corti Islamiche Hasan Daher Aweys, è appoggiata da jihadisti arrivati in Somalia da altri paesi.
In sostegno alle forze regolari ci sono soldati della missione di peacekeeping dell’Unione Africana Amisom e miliziani al seguito dell’ex signore della guerra Yusuf Indho Ade, che recentemente ha stretto un patto col governo regolare.
In quest’ultima tornata di violenti combattimenti i caschi blu dell’Amisom, che presidiano porto, aeroporto e palazzi del governo, sono intervenuti a fianco delle forze governative somale.
Grazie all’intervento dei soldatiAmisom il governo somalo ha potuto tirare il fiato e riconquistare posizioni nella capitale. Il Presidente ha anche annunciato l’uccisione di 40 miliziani islamici da parte delle forze governative.
Ma ieri sera la situazione pareva ribaltata.
Parlando ai microfoni di al-Jazeera il portavoce degli shebab Ali Al-Tayri, ha annunciato che il suo gruppo ha «riconquistato» le posizioni perse negli scontri precedenti nella zona nord di Mogadiscio.
Di fronte alla prospettiva di una capitolazione della Somalia nelle mani di jihadisti legati ad al-Qaeda, i paesi della regione scalpitano per intervenire nel conflitto.
L’Igad, organizzazione che riunisce Etiopia, Kenya, Sudan, Uganda, Somalia e Gibuti, non solo ha chiesto all’Unione Africana (Ua) e al Consiglio di sicurezza dell’Onu di rivedere le regole di ingaggio dell’ Amisom, ma ha anche chiesto in sede di Consiglio si Sicurezza Onu di rivedere la risoluzione 1725 del 2006, che vieta ai Paesi vicini di intervenire militarmente inSomalia, essendo il paese del Corno d’Africa oggetto di una «evidente aggressione» e non solo di uno scontro intestino.
Secondo Addis Abeba gli jihadisti giunti in Somalia (provenienti anche da Usa, Australia e Regno Unito, ndr.) sarebbero circa 2500.
L’insurrezione somala controlla quasi tutto il sud del paese, parte del centro e delle aree orientali, oltre a diverse zone di Mogadiscio.
Questa pare una condizione sufficiente per dare credito alle rivelazioni del quotidiano ugandese indipendente "The Monitor", che sostiene che gli Usa stiano intevenendo indirettamente nel conflitto in appoggio alle forze governative somale. Washington fornirebbe loro armi e munizioni tramite i militari ugandesi dell’Amisom presenti in Somalia.
Kampala smentisce, ma non è un segreto per nessuno che il Presidente ugandese Museveni sia uno dei migliori alleati degli Usa nella Regione. Stesso vale per il presidente Etiope Zenawi. E l’Etiopia, già intervenuta militarmente in Somalia, è ilcapofila dei paesi pronti a scendere in campo contro gli estremisti islamici, che sono appoggiati nella regione dall’Eritea.
Il ministro degli Esteri somalo Sam Kutesa ha dichiarato venerdì scorso che non solo esitono prove in basi alle quali Asmara fornirebbe armi e addestramento agli shebab, ma anche una via di transito per jihadisti Pakistani che entrano in Somalia. Il governo somalo sostiene che la Somalia sia considerata da al-Qaeda una conquista «strategica».
Secondo dati dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), i cittadini somali fuggiti da Mogadiscio dal sette maggio sono ormai duecentomila.









   
 



 
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