Responsabilità, visione e orgoglio, Obama parla al futuro dell’Africa
 







di Martino Mazzonis




Alta retorica, Luther King, ricordi e un forte invito a dire addio alla corruzione e provare a prendere in mano il proprio destino. E poi il riconoscimento che la devastante situazione in cui si trova il continente africano è anche l’eredità di una storia passata, del colonialismo.
Sulla faccia della Terra, Barack Obama è il solo leader che possa parlare in maniera franca a un continente intero, criticarlo e fare autocritica, e ottenere un grande successo. Il primo discorso, della prima visita africana da presidente è stata l’occasione per disegnare un’idea di rapporti tra Stati Uniti e Africa e per raccogliere l’ennesima ovazione: «Yes we can» scandivano i deputati ghanesi e la gente per le strade cantava e ballava gridando il suo nome. «Sono qui al termine di un lungo viaggio - ha detto il presidente Usa davanti al Parlamento ghanese - perché penso che il ventunesimo secolo non sarà solo il prodotto di quanto succede da Mosca, Roma oWashington, ma anche di quanto capita ad Accra».
Obama ricorda che suo nonno, un anziano del villaggio che lavorava come cuoco per gli inglesi, «è stato chiamato "ragazzo" tutta la vita» e che è stato arrestato ai tempi della lotta indipendentista.
Parlando all’Africa, Obama ha usato lo stesso schema usato al Cairo con il mondo musulmano e con gli afroamericani a cui si rivolgeva in campagna elettorale chiedendo loro di non far passare le giornate dei figli davanti a uno schermo televisivo: basta piangersi addosso per la propria sventura. La storia esiste e pesa - come ha voluto ricordare anche nella visita alla prigione per gli schiavi fatta assieme alle figlie - ma guardando al passato non si prende il futuro in mano. Il ricordo del passato, poi, non giustifica la corruzione, la mano dura, le violenze tanto diffuse tra gli apparati burocratici dell’Africa.
Per Obama, «il futuro dell’Africa dipende dalla buona governance, che manca in troppi posti da troppo tempo». Quello èil cambiamento che serve al continente, un cambiamento che può essere solo il prodotto dell’impegno degli africani.
Obama ha scelto il Ghana per parlare di democrazia e trasparenza perché l’ex colonia britannica è tra i Paesi africani con un processo democratico tra i migliori. Dopo l’elezione dell’ex capo della giunta militare di sinistra, il colonnello Rawlings, a presidente nel 1992, il processo elettorale ha funzionato in maniera perfetta. Nel 2009, l’attuale presidente Mills ha vinto per mezzo punto percentuale senza che questo producesse proteste o altro. Un caso più che raro, come dimostra ad esempio la recente vicenda delle elezioni presidenziali in Kenya. Il presidente Usa non voleva andare nel suo Paese d’origine a incoronare un governo corrotto e nemmeno visitare una delle due superpotenze africane - la Nigeria e l’Africa.
Oltre alla propria vicenda personale, alla lunga ricerca delle origini personali, un fattore costitutivo della personalità del presidente Usa, ilviaggio è il frutto di diverse necessità. In questi anni l’Africa è andata per conto proprio o è stata colonizzata dagli investimenti cinesi, se gli Usa vogliono riconquistare la leadership mondiale, devono farlo ritessendo legami anche con il solo continente che non esprime una superpotenza globale. Il viaggio di Obama è il primo passo, lo staff della Casa Bianca ha persino messo a punto una sintesi del discorso del presidente che ha spedito per sms a tutti coloro che ne hanno fatto richiesta.
Nell’idea originiaria di politica estera del presidente democratico c’è poi un peso significativo per quel multilateralismo globale che si occupa della povertà, dell’Aids, della desertificazione. La consigliera politica di Obama per gli affari internazionali Susan Rice ha un approccio molto attento a questi temi - oggi fa l’ambasciatrice degli Usa all’Onu, un bello strappo rispetto a John Bolton.
E’ in quest’ottica che Washington sta per nominare un inviato speciale in Africa centrale conl’incarico di lavorare alla fine del conflitto che attraversa da quindici anni il Congo. Gli Usa pensano che dalla pacificazione della regione dei grandi laghi passi la stabilizzazione di buona parte del continente. Come sempre, e come per molti altri passi fatti dal presidente Obama, l’inizio è di grande valore simbolico. Come sempre, il difficile, anche nei rapporti con l’Africa, viene adesso.









   
 



 
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