Fatti, retorica e un monito ai suoi Obama spinge la riforma
 







di Martino Mazzonis




Barack Obama

Se Barack Obama riuscirà a far passare la riforma sanitaria, bisognerà davvero cominciare a guardarlo come un marziano. Proprio come nei giorni in cui è stato eletto, quando gli afroamericani hanno pianto e il mondo è rimasto incollato alla Tv per guardare il suo discorso davanti alla folla di Chicago. La riforma è il tema più duraturo e difficile per la vita politica americana ed avrebbe il valore simbolico che hanno avuto i diritti civili all’inizio degli anni 60.
Con l’intervento davanti al Congresso, il più politico e ricco di particolari specifici tra i suoi grandi discorsi, la campagna è cominciata per davvero, il gioco si è fatto duro. I sostenitori della campagna nel 2008 hanno già ricevuto due email che chiedono di telefonare per premere sui propri congressisti - in ciascun messaggio c’è il numero di telefono dell’ufficio di Washington degli eletti nel distretto di chi lo riceve - e il presidente è di nuovo in tourné. Ieri Obama haparlato davanti a una platea di infermiere tornando a ripetere che «Abbiamo parlato di questo tema fino alla morte, è il momento dell’azione».
Nel discorso del presidente c’è la retorica, ci sono i fatti, l’individuazione di nemici e una dose massiccia di buon senso, quello che spesso manca nei dibattiti politici su questioni importanti che dividono.
Sono due o tre le audience a cui Obama ha parlato. Innanzitutto gli americani tutti, quelli con un’assicurazione e quelli senza, quelli impauriti dalla campagna terroristico-ideologica dei repubblicani. A questi il presidente ha fornito fatti sulle sue proposte. Gli Usa spendono in sanità per persona 1,5 volte la media dei Paesi sviluppati, ma a differenza di questi non hanno un sistema che copra tutti. Le persone senza assicurazione sono in aumento costante, così come i costi delle assicurazioni e i casi nei quali all’assicurato malato vengono fatti pagare parti della cura o, peggio, a cui la cura costosa viene rifiutata con uncavillo legale. Raccontando di un uomo dell’Illinois cui è stata rifiutata la chemioterapia perché si era dimenticato di scrivere sulla polizza che aveva dei calcoli - che non sapeva di avere -, il presidente ha concluso con una tirata populista di quelle che gli riescono: «Tutto questo fa male al cuore ed è sbagliato. Nessuno dovrebbe essere trattato così negli Stati Uniti d’America».
Dopo aver elencato i bisogni, Obama è passato alle proposte, partendo da quelle su cui c’è accordo almeno in casa democratica: più copertura, più scelta, divieto di rifiutare le cure, riduzione dei costi extra polizza, obbligo per tutti di avere un’assicurazione o versare una tassa della salute alternativa. «Chi non vuole copertura sanitaria o la rifiuta ai suoi dipendenti scarica il costo su tutti gli altri», ha sostenuto il presidente.
La parte sulle bugie era rivolta soprattutto a coloro che l’assicurazione ce l’hanno. Se ne avete una e ne siete soddisfatti, per voi non cambierà nulla, «loripeto, non cambierà nulla». Quanto all’idea diffusa dalle talk radio che ci saranno commissioni di burocrati con diritto di decidere se curare o meno un paziente «sarebbe da riderci sopra se non fosse tanto cinica e irresponsabile». Non è nemmeno vero che gli immigrati illegali verranno curati. E’ in questo momento che il deputato della South Carolina, Wilson gli grida «Stai mentendo», un errore personale grave per cui ha chiesto scusa, ma anche una gaffe politica per tutto il suo partito, che non sembra avere idee alternative e ha come unica tattica quella di cercare di far saltare il tavolo.
Per difendere l’opzione pubblica - sulla quale però non ha messo veti, né ha promesso battaglia - Obama ha difeso la libera concorrenza: «Ci sono Stati come l’Alabama dove una sola assicurazione controlla la quasi totalità del mercato» e senza concorrenza, sono i consumatori che pagano prezzi più alti.
Gli altri a cui si rivolgeva Obama erano gli eletti del suo partito e il Congresso nelsuo complesso. Il presidente ha ricordato una proposta sulla punibilità dei medici fatta dal suo già avversario McCain in campagna elettorale e l’ha fatta propria. Un modo di mostrarsi bipartisan, di aprire spazi, anche se solo teorici, di mostrare di non essere a caccia del muro-contro-muro. A tutti Obama ha ricordato, senza dirlo, che il Congresso è ben più impopolare del presidente, proprio a causa della sua inazione e dei calcoli politici a stretto giro che i congressmen troppo spesso fanno. E’ un messaggio ai repubblicani, con i quali Obama è stato duro, ma è soprattutto un avvertimento ai democratici. Nel Congresso impopolare la maggioranza ce l’hanno loro e l’ultima volta che il tema della riforma sanitaria è stato affondato, nel 1993, non è Bill Clinton ad averle prese, ma il partito democratico, che ha perso la maggioranza in Senato fino al 2006. Forse vi converrebbe rischiare, anziché guardare dall’altra parte sperando di non arrivare mai a un voto in aula, ha mandato a direObama. In fondo, uno dei suoi cavalli di battaglia è stato cambiare il modo in cui a Washington si fa politica - non tanto e solo i contenuti, ma le forme.
Il presidente ha anche individuato un nemico. Con i medici, i sindacati ospedalieri, le compagnie farmaceutiche, ci sono accordi sul tema della riforma. Nelle trattative, la Casa Bianca ha regalato qualcosa ed ottenuto il sostegno. I cattivi sono le assicurazioni, che per loro natura cercano il profitto e sono legate a Wall street (un altro cattivo della recita).
Il colpo di teatro retorico del presidente è stata la parte finale, la lettera di Ted Kennedy, il saluto del leone liberale al presidente, nel quale il senatore dice: «Sento che molto presto tutti si potranno permettere le cure e in America, la salute non dipenderà dalla ricchezza di una famiglia». Ben detto. Adesso servirà tutta la capacità di pressione, la tattica, la mediazione e molta fortuna per portare a casa la riforma. I discorsi sono importanti, ma il giornodopo bisogna sapere come usarli.









   
 



 
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