Pensioni a rischio?
 











Anche con la crisi sono i pensionati a finanziare lo Stato
La crisi morde, crescono i disoccupati ma anche nel 2009 l’avanzo economico dell’Inps sfiorerà i sei miliardi e quello dell’Inail il miliardo e mezzo. Sono somme che vengono utilizzate dallo stato per la gioia del Ministro Tremonti che esclama «meno male che abbiamo l’Inps».
E’ bene ricordare che solo in Italia vi sono pesanti prelievi fiscali sulle pensioni: l’Inps versa al Tesoro 28 miliardi di ritenute fiscali.
E’ bene ricordare che l’Inps vanta crediti accertati per 30 miliardi in gran parte da aziende per contributi non pagati.
E’ bene ricordare che l’evasione contributiva è crescente e non sono spiccioli ma decine di miliardi all’anno.
Hanno per anni suonato la grancassa del crollo finanziario del sistema pensionistico pubblico. Poi si sono inventati la "gobba" del 2015, spostata poi al 2035 e riproposta dal Libro Bianco del Ministro Sacconi nel 2050. Hanno per annisostenuto che il costo delle pensioni in rapporto al Pil (13%) era superiore a quello degli altri paesi europei facendo diventare pensione il Tfr (trattamento di fine rapporto), gli assegni sociali, i prelievi fiscali: in verità il 13% non è che un modesto 8,5%. I lavoratori dipendenti producono un avanzo economico superiore ai 14 miliardi all’anno e sono l’architrave del sistema pensionistico.
Ma il bilancio dell’Inps mette in luce disavanzi enormi di alcune gestioni. E’ il caso del fondo dei dirigenti di azienda che hanno livelli pensionistici quattro volte superiori a quelli dei dipendenti. Nella gestione dei lavoratori autonomi il deficit del fondo artigiani è di 3,6 miliardi di euro e tra gli artigiani vi sono aziende con numerosi dipendenti e sempre meno botteghe e quello dei coltivatori ammonta a 5 miliardi e sono sempre di meno i piccoli contadini. Non si capisce poi perché i 112 milioni annui del deficit del fondo clero non vengano recuperati sull’8x1000 destinato alleChiese.
Contemporaneamente, il bilancio dell’istituto certifica la modestia degli importi pensionistici dei lavoratori dipendenti. Si tenga poi presente che la pensione delle lavoratrici è inferiore del 20% a quella dei lavoratori e che 5 milioni di uomini e donne in carne ed ossa percepiscono mediamente meno di 500 euro al mese, per non parlare degli invalidi civili, ciechi e sordomuti e dei percettori di assegni sociali che mediamente ricevono sui 300 euro al mese.
Ci sono le condizioni finanziarie per rivalutare gli assegni pensionistici a cominciare da quelli minimi, per liberare le pensioni dal prelievo fiscale e per istituire un sistema di rivalutazione annuale sulla base di un paniere di prodotti più aderente ai consumi degli anziani: sono richieste minime che ci auguriamo vengano assunte dalle confederazioni sindacali e sostenute con azioni di lotta. Ma quando si affronta il tema pensioni le confederazioni sindacali sembrano assenti, la Confindustria e le associazionidatoriali fanno muro, economisti ed esperti dei partiti di governo ed anche del Pd sembrano morsi da una tarantola, non parliamo del partito di Casini e dei Radicali.
I pensionati sono "intimiditi" da una campagna bipartisan martellante che li accusa di essere degli egoisti responsabili del deficit pubblico, di frenare lo sviluppo economico e di non avere a cuore il domani dei giovani, quindi dei figli e dei nipoti. Nello stesso mondo del lavoro, per responsabilità in primo luogo di Cisl e Uil, questioni come l’orario di lavoro e l’età della pensione (come pure la natura solidaristica e protettiva del contratto nazionale di lavoro e del sistema pensionistico pubblico), sono diventati contrattabili e di conseguenza rinunciabili.
Come per le pensioni anche per gli infortuni siamo in presenza di un istituto (l’Inail) che finanzia lo Stato. L’avanzo economico degli ultimi anni gestito dal Tesoro ha superato i 13 miliardi mentre sono modestissimi i risarcimenti per chi rimanepermanentemente menomato o per i familiari degli assassinati sul lavoro. Si spende poco o niente per la sicurezza sul lavoro, mentre nelle aziende più di un milione di lavoratrici e lavoratori ogni anno si ammala e si infortuna, decine di migliaia rimangono permanentemente invalidi e più di 1000 muoiono. Le risorse per aumentare le rendite ed accrescere la sicurezza dei luoghi di lavoro ci sono, ma vengono utilizzate dallo Stato per altri scopi.
Sulle pensioni (così come per i contratti) lo scontro va ben oltre le risorse, investe il domani del mondo del lavoro in termini di diritti e di certezze: si tratta del futuro dellasocietà.                                                                             Sante Moretti
Riparte l’attacco alle pensioni
L ’assalto alle pensioni, capitanato dal governatore della Banca d’Italia, è ripartito. E ha tutta l’aria del definitivo colpo d’ariete al sistema previdenziale solidaristico e a ripartizione che, per trent’anni, aveva consentito di tenere saldo il patto in base al quale il lavoro e i contributi dei figli alimentavano il fondo necessario per garantire ai padri una pensione dignitosa. E così via, di generazione in generazione. Tutti sanno, anche se moltidimenticano, o piuttosto fingono di dimenticare, che il welfare pensionistico ha subito, a partire dal ’92, una progressiva scarnificazione: l’elevazione dell’età pensionabile, l’abbattimento dei rendimenti, il passaggio al regime contributivo sono stati le punte di lancia di questa scientifica demolizione. Uniti alla devastante proliferazione dei lavori precari, saltuari e soggetti a sottocontribuzione, hanno formato un micidiale combinato disposto che se ha depauperato le pensioni di anzianità in essere, ha letteralmente piallato ogni legittima aspettativa dei giovani, i quali - a meno di una rivoluzione nel mercato del lavoro e di un intervento massiccio della fiscalità generale - alla pensione non arriveranno mai. O vi arriveranno, dopo una vita di lavoro, con una rendita prossima agli importi di quella sociale, con la quale è piuttosto evidente che non è umanamente possibile sopravvivere. Nondimeno, fra palesi falsificazioni circa lo stato dei conti dell’Inps e fraudolentecampagne tendenti a contrapporre gli interessi dei giovani a quegli degli anziani, si vuole andare oltre. Ma oltre cosa? «Elevare l’età pensionabile, aumentare sensibilmente la soglia attuale», dice perentoriamente Draghi. Riuscite a immaginare un edile, un operaio o un’operaia di linea, un infermiere o un’infermiera, lavorare fino a 70 anni? E cosa ne sarà di quelle persone, già oggi in attesa di una prima occupazione alla "tenera" età di 30 anni? Non è vergognoso che si vada raccontando che quanto si risparmia in pensioni erogate può essere speso per un rafforzamento degli ammortizzatori sociali ormai ridotti ad un colabrodo? Come se tutta la spesa sociale dovesse rimanere racchiusa in un fazzoletto e si trattasse, di volta in volta, di decidere come distribuire il poco grano che c’è in cascina e chi lasciare scoperto. Perché, questa è la logica, per tutti non ce n’è. Ma oggi, come dicevamo, si va oltre. E si propone di anticipare quell’automatismo perverso - già predisposto dalministro Sacconi con qualche robusta complicità sindacale e con la sostanziale adesione del Pd - che prevede di correlare l’importo della pensione all’attesa media di vita: più quest’ultima cresce e più si riduce l’indennità a tua disposizione.
E ’ il meccanismo tipico delle assicurazioni, dove l’attenzione per la finalità sociale dell’istituto pensionistico è pari a zero. Né ciò basta, perché all’orizzonte c’è la modifica, naturalmente al ribasso, dei cosiddetti coefficienti di trasformazione, vale a dire gli indici in base ai quali si rivalutano le somme versate a titolo di contribuzione. I fautori delle pensioni integrative che avrebbero dovuto compensare l’inesorabile riduzione di quelle pubbliche, dovrebbero poi spiegare come potrà mai pagarsele quell’esercito di precari, di disoccupati, o di occupati che percepiscono un salario di fame, sulle cui spalle è stato posto questo fardello. Quanto ai lavoratori esposti ad attività usuranti, il tema è archiviato. Se mai è statodavvero aperto. Come sepolto è un qualche riconoscimento del lavoro di cura delle donne. E allora? Allora bisognerebbe rimettere il ragionamento sui piedi. E riconoscere, per cominciare, che se aumenta l’attesa di vita e con essa il numero degli anziani, è necessario aumentare anche la quota di Pil ad essi destinata. Cosa che pare più sensata di costringerli a lavorare da vecchi o di diminuire i loro mezzi di sostentamento. Le risorse necessarie devono essere generate aumentando il tasso di occupazione, annichilito dalla cronica incapacità dello Stato e delle imprese ad investire nei settori più innovativi, nella ricerca, nella soddisfazione di consumi sociali totalmente rimossi. Ancora: diminuendo l’orario di lavoro a parità di retribuzione, anche e proprio in una fase di crisi come l’attuale, attraverso i contratti di solidarietà e il sostegno pubblico che per essi prevede la legge. Ancora: aumentando le retribuzioni (e quindi il gettito fiscale e contributivo che automaticamente neconsegue), considerato che la quota di ricchezza trasferitasi in questi vent’anni dal lavoro al capitale è stata di oltre 10 punti. Ancora: legalizzando le centinaia di lavoratori migranti costretti a lavorare in nero da una legislazione autolesionistica non meno che xenofoba. Ancora: assumendo 40mila ispettori del lavoro (i quali rendono molto più di quanto costano) e addestrandoli ad una caccia davvero senza quartiere all’evasione fiscale che - come ognuno sa - veleggia verso i 150 miliardi di euro l’anno. Infine: varando una politica economica che - liberata dall’ossessione del debito pubblico e dell’inflazione - scelga senza titubanza il finanziamento in deficit della domanda interna, dell’innovazione tecnologica, della ricerca, di un’infrastrutturazione civile legata alla bonifica ambientale. Questo il salto di cultura, di "paradigma" che occorrerebbe produrre. Questo l’atto di vero realismo politico, lontano mille miglia dalle scelte presenti, su cui la sinistra deve spendere lesue carte.                                                                              Dino Greco
«Altro che nuovi tagli.Investire sul welfare produce sviluppo»
«L’aumento della speranza di vita è una opportunità che non può essere utilizzata come pretesto per aumentare l’età pensionabile per tutti». Carla Cantone, segretaria generale dello Spi Cgil, mette le mani avanti rispetto a nuovi interventi per ridurre la spesa previdenziale, come quelli proposti di recente dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Al contrario, la Cgil chiede maggiori investimenti sul welfare indifesa delle famiglie e nell’interesse generale.
In Italia si torna a parlare di tagli alle pensioni. Non sono bastate le misure attuate dal governo nel luglio scorso, vale a dire il graduale innalzamento fino a 65 anni dell’età pensionabile per le donne nel pubblico impiego e le norme che dal 2015 legano l’età pensionabile all’aumento dell’aspettativa di vita. Il governatore Draghi e la Confindustria chiedono di più. Già si parla di estendere al settore privato ciò che è stato appena deciso per le lavoratrici pubbliche.
Per quanto riguarda l’aumento dell’età pensionabile delle donne, la Cgil, me compresa, pensa che non sia accettabile. Le donne hanno un vita vissuta nel lavoro molto diversa dagli uomini, nel senso che iniziano a lavorare più tardi, a volte sono costrette a smettere per avere figli. Il vero tema, casomai, è quello della parità nelle opportunità di lavoro e di carriera tra uomini e donne. Bisognerebbe cominciare da qui invece che pensare all’età pensionabile.Ricordo che nel luglio 2007 noi della Cgil abbiamo firmato un protocollo che non è stato ancora applicato del tutto. In particolare, non sono stati rispettati gli impegni assunti per il lavoro usurante. L’età dell’uscita dal lavoro deve scaturire da un modello di regole basate sulla flessibilità e sulla volontà di chi deve andare in pensione. Non si può pensare di far cassa con le pensioni. Se servono risorse, bisogna far ripartire il paese, fermare i licenziamenti e contemporaneamente investire sul welfare pubblico, il contrario di ciò che prevede il Libro Bianco del ministro Sacconi.
Il governatore Draghi sostiene però che è proprio innalzando l’età pensionabile che si possono trovare le risorse per «adeguare il nostro sistema di ammortizzatori sociali» alle nuove necessità.
Questa è una grande contraddizione. Si propone di fare andare in pensione più tardi i lavoratori nel momento in cui costoro vengono messi in cassa integrazione, in mobilità. Bisognerebbe prima averlo, illavoro.
La logica di fondo resta quella dello scambio. Draghi dice: siccome le risorse a disposizione sono quelle e sono limitate, «se si vogliono assicurare pensioni di importo adeguato a un numero crescente di pensionati» è «indispensabile» aumentare l’età media di pensionamento. Non sarebbe invece l’ora di pensare a maggiori investimenti sul welfare, dal momento che l’Italia è tra i paesi che destinano meno risorse alla spesa sociale? L’Eurispes ricorda che, nel 2006, il nostro paese ha speso per il welfare il 26,4% del Pil, contro il 31% di Francia e Germania.
L’ho detto. Investire sul welfare può produrre sviluppo e occupazione, oltre a garantire maggior benessere alle persone anziane. Dove si prendono i soldi? Semplice: dove ci sono gli sprechi, dove si fanno regali e dove c’è l’evasione fiscale e contributiva. Il contrario dello scudo fiscale.
Il problema è che l’opinione della Cgil non sembra trovare sponde a livello politico, neanche tra le forze di opposizione. Sesi eccettua la sinistra, ormai quasi tutti i partiti considerano l’aumento dell’età pensionabile una cosa di cui si può discutere. Compreso il Partito Democratico.
Che cosa pensa il Pd su questi temi è affar suo. Non mi pare che le cose stiano così. In ogni caso, la Cgil in tutta autonomia fa le proprie analisi, avanza le proprie proposte ed è disposta a confrontarle con tutte le forze politiche.
Si parla tanto di età pensionabile ma, sui veri problemi dei pensionati, il governo fa orecchie da mercante. Penso ai bassissimi importi degli assegni, ai servizi per i non autosufficienti...
I problemi che hanno i pensionati sono quelli di vedersi aumentare le loro pensioni, di vedersi estesa la quattordicesima come si era impegnato a fare il governo Prodi, di avere una legge sulla non autosufficienza, di avere una sanità e una assistenza pubblica degna di questo nome. Questo è ciò di cui i pensionati vogliono discutere con il governo. Sono tredici mesi che abbiamo inviato la nostrapiattaforma ma nessuno ancora ci riceve. Tanto è vero che dal 2 al 7 di novembre ci sarà la settimana di mobilitazione dei pensionati contro il governo, con tante iniziative in ogni città: dal volantinaggio, all’incontro con i parlamentari, ai presidi, ai gazebo.    Roberto Farneti

 









   
 



 
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