Nuove accuse a Israele per il suo atteggiamento nei confronti dei palestinesi. Il responsabile della UN Relief Works Agency (UNRWA) a Gaza definisce una "urgente priorità" la fine del blocco di Gaza, perché rende impossibile la ripresa economica della Striscia, mentre Amnesty International afferma che lo Stato ebraico non dà sufficiente acqua ai palestinesi, sia nella Striscia che in Cisgiordania. John Ging, responsabile dell’agenzia dell’Onu per gli aiuti a Gaza, ha affermato ieri che l’avvicinarsi dell’inverno rende urgente la possibilità di approvvigionamenti per le costruzioni, come cemento e vetro, impediti dal blocco israeliano. In particolare non si riesce a ricostruire case, scuole e altri edifici danneggiati dall’attacco israeliano dell’anno scorso. Il blocco dei materiali da costruzione, inoltre, impedisce la possibilità di ripresa economica, visto che ci sono migliaia di persone senza lavoro. L’UNRWA, ha rivelato Ging, sta creando3.100 posti temporanei di lavoro per alleviare la disoccupazione. Se Israele riaprisse i varchi, nascerebbero 120mila posti di lavoro stabili. Ancora più drammatica la denuncia di Amnesty International che accusa Tel Aviv di aver tagliato l’acqua ai palestinesi nei territori occupati. Secondo un dettagliato rapporto di Amnesty il sistema di depurazione nella Striscia di Gaza è «a un punto di crisi». Nella relazione di 112 pagine, l’organizzazione ha calcolato che il consumo medio giornaliero d’acqua dei palestinesi è di circa 70 litri al giorno, contro i 200 degli israeliani. E in alcuni casi, ha denunciato Amnesty, non si arriva ai 20 litri giornalieri, la minima quantità prevista in caso di emergenza umanitaria. Contemporaneamente alcuni coloni israeliani godono di piscine e giardini lussureggianti nelle proprie abitazioni. Lo Stato ebraico ha smentito la notizia, controbattendo che i palestinesi in realtà hanno più acqua di quanto sia stato stabilito nell’accordo di pace del1990. Amnesty ha individuato una serie di misure definite discriminatorie. Israele si è appropriato della gran parte delle riserve del fiume Giordano e usa l’80% di una falda acquifera condivisa; ai palestinesi che vivono in Cisgiordania non è concesso di perforare pozzi senza il permesso israeliano, difficilissimo da ottenere; l’esercito israeliano spesso «distrugge» le cisterne adibite alla raccolta dell’acqua piovana; l’organizzazione ha raccolto la testimonianza di un soldato israeliano secondo la quale i serbatoi d’acqua sui tetti di alcune case di palestinesi sono utilizzati dall’esercito per esercitarsi al tiro al bersaglio; le operazioni militari dell’esercito israeliano hanno danneggiato le infratrutture idriche palestinesi, anche nell’offensiva "Piombo fuso" nella Striscia dello scorso inverno; la chiusura dei valichi con l’Egitto ha esasperato una situazione già allarmante, pregiudicando di fatto l’accesso ad una serie di materiali necessari per la depurazione e larealizzazione dei progetti. La relazione ha evidenziato inoltre la cattiva gestione delle autorità palestinesi del settore, che secondo Amnesty è nel «caos totale». «L’acqua è una necessità fondamentale e un diritto, ma per molti palestinesi è diventata un lusso che possono a malapena permettersi», conclude la relazione. Nella Striscia di Gaza, il 90-95 per cento dell’acqua dell’unica risorsa idrica presente, la falda acquifera costiera, è contaminato e inutilizzabile per uso domestico. Per far fronte alla carenza d’acqua e alla mancanza di impianti di distribuzione, molti palestinesi sono costretti ad acquistare acqua spesso di dubbia qualità e a un prezzo maggiore. Con una popolazione che al 70 per cento vive con meno di un dollaro al giorno - soglia ufficiale di povertà - una gran parte delle risorse viene utilizzata per acquistare acqua potabile dagli impianti privati di desalinizzazione.Altri ricorrono a varie misure per risparmiarla, pericolose per la salute loro e delleloro famiglie e che ostacolano lo sviluppo socio-economico. E così dopo aver respinto al mittente il rapporto Goldstone sulla violazione dei diritti umani nel corso dell’operazione "Piombo fuso" ieri Israele ha sdegnosamente respinto anche il rapporto di Amnesty. Mark Regev, portavoce del Primo ministro israeliano ha dichiaranto che «Israele fornisce ai palestinesi 20,8 milioni di metri cubi d’acqua, al di sopra e al di là di quanto è obbligato a fare in base all’accordo sull’acqua». E secondo l’esercito israeliano «si tratta di un rapporto unilaterale, pieno di denigrazioni infondate, redatto senza che ad Israele sia stata fornita la possibilità di misurarsi con le accuse». L’ennesima dennuncia delle condizioni in cui sono costretti a vivere un milione e cinquecentomila persone stipate nelle 140 miglia quadrate della striscia di Gaza non sembra però scuotere l’opinione pubblica occidentale. E poi non chiediamoci perchè le barche delle disperazione arrivano cariche sulle nostrecoste.
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