La parola dei giovani iraniani -libertà-
 







di Giuliano Battiston




liberta

Mentre ricorda i giorni più intensi della "rivoluzione verde", quando le vie di Teheran si riempirono di manifestanti che contestavano i risultati delle elezioni presidenziali, gli occhi di Shokoofeh Azar sembrano illuminarsi. E le parole si caricano di entusiasmo: «vedi questa piazza, Valiasr Square? Era un collettore di energia, un grande pentolone in cui si erano depositati i sogni e le speranze di tanti iraniani, vecchi e giovani, ricchi e poveri. C’era chi passava quasi per caso, e poi finiva per unirsi agli altri, restando per strada tutta la notte. E sai che il Park-e-Laleh, laggiù era diventato il punto di incontro e di coordinamento di molti gruppi, dove si organizzavano le mosse successive? In quei momenti c’era la chiara sensazione che tutto fosse possibile. Che stessimo dando vita a un autentico cambiamento nella vita politica dell’Iran». Un cambiamento represso nel sangue. Prima nelle strade, grazie alla spietata ferocia dei basij, ilcorpo paramilitare che "vigila" sull’integrità della Repubblica islamica, e poi nelle aule giudiziarie. Eppure, a distanza di mesi da quei «giorni straordinari», e nonostante il tentativo di soffocare con la violenza il movimento verde, l’entusiasmo di Shokoofeh è soltanto sbiadito. Non scomparso. «Certo, - ci spiega - oggi il clima è cambiato: c’è chi è rassegnato, chi è finito in carcere, alcuni attivisti sono stati "invitati" a emigrare per evitare di finirci, ma abbiamo fatto un passo in avanti molto importante, perché la speranza del cambiamento continua a covare, come il fuoco nella brace. E poi la situazione è finalmente chiara: ognuno ha dovuto schierarsi, dire la sua in modo esplicito, e il quadro politico ne ha beneficiato in trasparenza». Inoltre, se in superficie il pugno di ferro scelto dal governo sembra aver contenuto la forza dirompente della protesta, gli esiti meno evidenti sarebbero diversi. Molti iraniani, infatti, anche quelli più prudenti e riluttanti a scenderein strada, sarebbero rimasti estremamente colpiti dalla violenza gratuita della polizia. Tanto da rivedere le proprie posizioni. «E’ quel che è successo a mio padre - racconta Mahin, regista e attrice di teatro - Lui non si è mai sognato di contestare la Repubblica islamica, ed era perfino convinto che Ahmadinejad avesse governato bene. Eppure dopo aver visto quelle scene terribili nelle strade di Teheran ha cominciato a cambiare idea. E oggi non esista a criticare il nostro "presunto" presidente». E la guida suprema, l’ayatollah Khamenei, che con un gesto formalmente illegale ha attribuito la vittoria ad Ahmadinejad prima che il Consiglio dei Guardiani annunciasse i risultati ufficiali? Anche lui viene criticato?, domandiamo. «Credo che quella sua uscita pubblica sia stata dettata dalla "malattia dell’ignoranza", comune a tutti i dittatori, che vivono in una campana di vetro e non sanno ciò che pensano veramente i propri "sudditi". Khamenei è un uomo isolato, anche politicamente. Inun momento di incertezza ha cercato di raccogliere intorno a sé quante più persone possibili, e ha scelto quelli apparentemente più forti. Non ha mai avuto una grande autorevolezza come leader religioso, e oggi la sua legittimità è ancor più limitata». Dopotutto, prosegue Mahin, «non chiedevamo mica la luna. Nessuno aveva in mente di rovesciare il governo o di fare la rivoluzione: non siamo mica ingenui. Volevamo semplicemente un po’ più di libertà». Una richiesta ritenuta comunque troppo ambiziosa dal regime di Teheran, convinto che la stabilità interna di un paese sottoposto a fortissime pressioni esterne vada mantenuta con la forza. E con un’occhiuta vigilanza su ogni spazio di libera espressione, anche quella artistica. «Con il mio gruppo non abbiamo problemi, racconta Nahim, perché facciamo un teatro molto sperimentale e molto poco politico. In questo modo l’Ershad (il ministero della Cultura e dell’Orientamento islamico ndr) non può intervenire più di tanto». Le cose, però,stanno diversamente per chi non "nasconde" le proprie idee politiche dietro lo sperimentalismo formale. Come Saman Arastoo, un attore di teatro quarantenne, che prima di operarsi - sfruttando un diritto riconosciuto sin dal 1963 dall’ayatollah Khomeini - era una donna. E che oggi invece è sposato con Hoda, una bellissima ragazza di vent’anni, con cui ha condiviso l’atmosfera elettrizzante delle manifestazioni post-elettorali. «Fare teatro in Iran? Un’impresa! Tutto ciò che di buono è stato fatto nel Novecento in campo teatrale viene guardato con sospetto - dice sconsolato Samam -. Per essere sicuri di poter lavorare liberamente bisognerebbe recitare il Corano, con la dovuta accortezza, ovvio. Per dirla in breve: Islam? Sì. Brecht? Dimenticatelo». Anche se amputata da un sistema di regole complicate e spesso incomprensibili, la produzione artistica iraniana rimane comunque effervescente. E trova nei mezzi di comunicazione digitale dei formidabili strumenti di mobilitazione. Lodimostrano i tanti video musicali girati in sostegno del movimento verde. Da quelli più tradizionali di Shahram Naseri e Mohamdreza Shajariyan, ai rap politici di Sasi Mankan e Shanin Najafi, nuove icone delle contestazione giovanile. Ma lo dimostrano anche i video a contenuto politico che circolano sui laptop degli iraniani. Video dedicati a Neda Agha Soltani, la studentessa uccisa durante le proteste e divenuta simbolo della rivolta; a Mir Hossein Moussavi, il candidato riformatore trasformato nel leader politico di un movimento frammentato e molto eterogeneo; e, soprattutto, al presidente dell’Iran. Che in uno dei video più caustici e divertenti viene presentato non come Ahmadinejad, figlio di Ahmad, ma come Antarinejad, figlio di una scimmia. «Perché?» Si stupisce Abdollah, studente originario di Mashad. «Ma perché è stupido come una scimmia. Basta guardarlo. Ed è pure bugiardo: aveva detto che avrebbe portato i soldi del petrolio nelle tasche degli iraniani, e invece ancoraniente. Aveva detto che avrebbe sistemato l’economia, e invece la disoccupazione è alle stelle. Non c’è niente da fare, conclude divertito. Abbiamo un presidente che ragiona come una scimmia». La pensa diversamente Shahrad Shahvand, venticinquenne di Shiraz, che studia scienze politiche all’Università di Teheran: «Altro che stupido: è un politico incredibilmente scaltro e intelligente. Non si spiegherebbe altrimenti il consenso che gode non solo presso Khamenei, ma anche presso parte dell’opinione pubblica e presso componenti importanti del potere politico ed economico iraniano». E’ anche per questo che Shahrad non crede in una rapida implosione della Repubblica islamica: «dai miei studi ho imparato che non si può predire il futuro, ma si può analizzare la storia. E la storia dell’Iran ci dice che qui i cicli di potere durano circa 60 anni, come dimostra la dinastia Pahlavi. Siccome la Repubblica islamica è nata nel 1979, è solo a metà della sua vita, e ci vorranno ancora duegenerazioni prima che ceda il passo». Ma molti in Iran sono impazienti. E si chiedono che fare, ora. Come Nazli, giovane attivista, che nel suo piccolo ha contribuito al successo della "Campagna per un milione di firme", contro le leggi sessiste e discriminatorie iraniane. Dopo le elezioni del 12 giugno, Nazli è più confusa di prima: «la Campagna è andata bene, ed è stata un’occasione per creare nuovi gruppi politici e di studio. Io per esempio mi sono unita a un comitato che fa riferimento al movimento studentesco di Advar-Takhim-Vahdat, ma i principali esponenti del movimento, Ahmed Zeidabadi e Abdollah Momeni, ora sono in carcere. E noi non sappiamo cosa fare, come procedere. Non c’è vera organizzazione. Siamo confusi. Hai qualche consiglio?», mi chiede con preoccupata sollecitudine Nazli. «Intanto continuare a manifestare, ogni volta che è possibile, interviene Amen Shirafkan, giornalista di ventisette anni, redattrice del giornale riformista Farheektegan, dove è approdata dopo lachiusura coatta del quotidiano Etemad-Melli. E nel frattempo indagare su quei fenomeni della società iraniana su cui è più difficile farlo. Quelli di cui cerco di occuparmi io: le tematiche femminili, i fenomeni tabù come i delitti d’onore e gli aborti, su cui mancano dati e volontà di fare chiarezza». Amen è realista, e sa che le difficoltà sono tante. Ma oggi che l’onda verde tornerà in strada. «Perché dobbiamo continuare a rivendicare risultati elettorali certi e trasparenti». Ma anche perché, come ci dice Shokoofeh Azar, «prima poi il regime cadrà. Come un castello di sabbia».









   
 



 
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