Sarà meno clamoroso dal punto di vista dell’impatto simbolico, ma il tour che il presidente Obama comincia oggi in Asia è senza dubbio il suo viaggio più importante. Non ci sono rapporti da ricucire come quello con il mondo islamico. Nei confronti del continente asiatico la politica dell’amministrazione democratica non è rivoluzionaria in quasi nulla. «La questione è piuttosto cosa è cambiato in Asia - ha spiegato ieri in un briefing per la stampa Evan A. Feigenbaum, esperto del Council on foreign relations (Cfr) - Negli ultimi dieci anni la regione è diventata il centro dell’economia mondiale. Da tre gli asiatici provano ad avere più peso politico e anche a costruirsi una identità asiatica da spendere nel mondo». E gli Usa, che di terreno ne hanno perso, dovranno lavorare per incoraggiare le partnership bilaterali, gestire alcune enormi partite globali con Pechino. E’ anche per questo che nel viaggio, oltre all’icona Obama - che ha vissuto inIndonesia e nel Sud-est asiatico è molto popolare - ci saranno il Segretario al Tesoro Geithner, Hillary Clinton e altre figure cruciali dell’amministrazione. Ogni tappa del viaggio di otto giorni che passerà per il Giappone, la Cina, la Corea del Sud e il vertice dei Paesi del Pacifico (Apec) di Singapore ci sono partite importanti di cui discutere e la presenza di personaggi chiave servirà a moltiplicare gli incontri, mettere gli interlocutori a loro agio. E’ la stessa composizione dall’amministrazione democratica che lascia intendere quanto negli Usa si abbia la consapevolezza dell’importanza del continente asiatico: il Segretario al Tesoro parla correntemente cinese e giapponese, mentre quello al commercio è un sino-americano di prima generazione. L’emergenza del momento è quella coreana, con la tensione sullo sconfinamento e la mobilitazione delle truppe su entrambi i fronti del 38° parallelo - che demarca il confine tra Seul da Pyongyang. E’ probabile che la crisi sial’ennesimo tentativo del regime nordcoreano di alzare la tensione per attirare l’attenzione. In questi giorni gli Usa hanno accettato di inviare una missione diplomatica nello Stato canaglia e forse il regime vuol dimostrare al suo popolo che non c’è nessun cedimento in corso. Molte pressioni verranno da parte di tutti i Paesi asiatici - la cui forza sta soprattutto nell’export - a rilanciare i colloqui in sede di Organizzazione mondiale del commercio. Il Wto è impantanato da tempo e la crisi ha ridimensionato il commercio mondiale e moltiplicato le misure protezionistiche da parte di tutti i Paesi (Usa compresi). Obama ha sempre negato di voler usare il protezionismo come misura anti-crisi (ne 1929 non funzionò affatto), ma in questo momento non è in grado di promettere nulla. Negli Stati Uniti e nel partito democratico le voci contro la liberalizzazione del commercio mondiale non mancano e poi in questo momento l’agenda politica Usa è fitta di altre questioni - Sanità,Afghanistan, Clima - impossibile infilarcene un’altra. Intanto però, come spiega ancora Feigenbaum «sul fronte economico, i Paesi asiatici si sono mossi per coordinarsi, sviluppare il libero commercio tra loro». Un tema di cui Obama e i suoi non vorrebbero sentir parlare è la Birmania. Al vertice di Singapore però Myanmar siederà al tavolo con gli Usa per la prima volta dopo la repressione della rivolta dei monaci. Ernest Bower del Brooking Institution spiega che «Ci saranno molte domande su Myanmar, ma Washington eviterebbe volentieri di affrontare la questione pubblicamente. In questi giorni inviati Usa sono stati nel Paese e hanno incontrato Aung San-su Kyi. C’è un’attenzione nuova, ma a Washington preferirebbero procedere senza clamori». Con i Paesi del Pacifico, impauriti dallo strapotere cinese, gli Usa hanno comunque spazio per moltiplicare gli scambi, dialogare in forme nuove. «L’esempio vietnamita è il migliore» spiega ancora Bower. Oltre al Giappone, insomma, c’èmodo per gli Usa per mantenere un sistema di amicizie e alleanze nel continente divenuto centro del mondo. La novità sta nella consapevolezza Usa di dover offrire qualcosa, non solo imporre politiche come in passato. Con la Cina si tratterà di discutere di economia mondiale, valore dello yuan, scambi e politiche ambientali su un terreno di parità. E’ la partita più interessante e delicata da giocare. L’interesse sta nell’attenzione americana e, soprattutto, nel protagonismo cinese, questo sì una novità manifestatasi a partire dalla crisi economica. Con il Giappone c’è invece un profondo legame. «In entrambi i Paesi c’è una transizione politica - spiega Sheila A. Smith, l’esperta giapponese del Cfr- che rende più difficile le relazioni del giorno per giorno. Con il Giappone si possono stabilire alcune grandi priorità sulle quali possiamo lavorare insieme: la ricostruzione nei vari dopoguerra, per la quale il Paese è tra i migliori, il clima, la non proliferazione». Poi c’è lavicenda delle Basi Usa nel Paese, un tema scottante per la politica interna per affrontare il quale i governi hanno approntato una commissione bilaterale. Concessioni Usa aiuterebbero il nuovo governo e faciliterebbero i rapporti. L’agenda è fitta, le soluzioni verranno un po’ alla volta. In una settimana di incontri, al massimo si possono gettare le basi.
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