Il braccio di ferro finale per chiudere le trattative su uno scambio di prigionieri tra Hamas e Israele insiste su tre nomi o addirittura solo uno. Nomi di palestinesi inclusi nella lista presentata da Hamas al governo israeliano come merce di scambio per rilasciare il caporale israeliano Ghilad Shalit, rapito tre anni fa in una zona di confine tra Gaza e Israele. Mentre ieri sera l’ufficio del Premier Netanyahu frenava gli entusiasmi per l’imminenza della risoluzione della vicenda nel giro di pochi giorni, indicata con insistenza dalla stampa, da Gaza, Hamas rassicurava le famiglie dei detenuti, promettendo loro che li avrebbero riabbracciati presto. Non è realistico pensare che qualcosa accada prima della prossima settimana. Domenica è previsto infatti il dibattito sulla questione alla Knesset, il Parlamento israeliano. Intanto appare già una vittoria per il movimento islamico il fatto che all’elenco del migliaio di detenuti oggetto delletrattative sono stati aggiunti 160 nomi di palestinesi con passaporto israeliano la cui scarcerazione era stata finora considerata un tabù per lo Stato ebraico. Per chiudere l’affare è giunta ieri al Cairo, dove si svolgono le trattative tramite il governo egiziano e un mediatore aggiunto tedesco, una delegazione di pezzi grossi di Hamas guidata da Mahmoud Zahar, leader e ministro degli esteri del governo de facto di Gaza. Successivamente è previsto anche un summit interno ad Hamas a Damasco, dove vive esiliato il capo dell’Ufficio politico, Khaled Meshaal. A indicare che uno scambio sia alle porte sono intervenuti diversi elementi. Ad esempio subito dopo l’incontro tenuto nei giorni scorsi col presidente egiziano Mubarak il capo di Stato israeliano Shimon Peres, ha parlato di «progressi reali» realizzati in questa fase del negoziato. La censura militare israeliana impone il silenzio assoluto sulle informazioni relative alle trattative per Shalit. Dopo la diffusionenella serata di ieri delle dichiarazioni di Netanyahu sulla mancanza di un accordo con Hamas, Liberazione ha chiesto al portavoce del Premier, Mark Regev se Peres avesse capito male al Cairo. «Non sto contraddicendo quello che ha detto il Presidente» ha risposto Regev, «ma c’è una grande differenza tra parlare di progressi e dire, come è stato scritto, che uno scambio è questione di ore. Sono soprattutto informazioni provenienti dall’altra parte e alcune sono volutamente errate». Altro indicatore delle acque in movimento per lo scambio è il raggruppamento dei detenuti da rilasciare nelle carceri israeliane di Ramla, Hadarim e Be’ersheva. La maggioranza dell’opinione pubblica israeliana è favorevole alla scarcerazione di prigionieri palestinesi per riportare a casa Shalit. I problemi con cui Netanyahu deve fare i conti sono quelli posti dalle associazioni delle vittime del terrorismo, che si rivolgeranno alla Corte Suprema che in questi casi può riunirsi anche d’urgenza.Quattrocentocinquanta palestinesi in lista per lo scambio sono stati coinvolti in attentati contro israeliani. Di questi settanta si sono «macchiati di fatti di sangue» come riporta la stampa israeliana. Israele avrebbe acconsentito alla loro liberazione, ma a condizione che vadano in esilio fuori dai Territori palestinesi. Nella lista dei prigionieri da scarcerare figurerebbero nomi di leader storici palestinesi come Marwan Barghouti, leader e parlamentare di Fatah arrestato a Ramallah in violazione degli Accordi di Oslo nel 2002 ed Ahmed Saadat, leader del Fplp, catturato in violazione di accordi internazionali con una incursione israeliana nel carcere di Gerico tre anni fa. Oltre alla scarcerazione di figure palestinesi prominenti, l’altra condizione messa sul piatto dal movimento islamico è l’allentamento delle chiusure di Gaza e l’apertura del valico con l’Egitto. Dal canto proprio, Hamas ha annunciato ufficialmente una sospensione del lancio di razzi versoIsraele. Chi attacca lo Stato ebraico dalla Striscia in questo momento lo fa contravvenendo gli ordini di Hamas, dunque per remargli contro. Il dissenso interno al movimento è tenuto sotto controllo. Non proviene solo da esponenti di Fatah, ma anche da elementi Salafiti fuoriusciti dallo stesso movimento che, in zone come Rafah, a sud della Striscia, hanno subìto influenze di qaedisti infiltrati. Anche tra la popolazione a Gaza emerge malcontento per le sempre maggiori ingerenze di Hamas nella vita sociale. Ma una vittoria politica con Israele rafforzerebbe il movimento islamico. Se lo scambio dovesse palesarsi, le annunciate dimissioni del Presidente palestinese Abbas avrebbero senso. Sarebbe l’ultima carta rimastagli per indurre l’Amministrazione Usa e l’Ue a fare pressioni sul governo israeliano ed ottenere qualcosa di più che schiaffi, o come avveniva durante gli innumerevoli incontri tra l’Anp e l’ex Premier Olmert, nulla più che strette di mano e pacche sullespalle. Durante il viaggio in Sudamerica che lo ha portato pochi giorni fa in Brasile e ieri in Argentina, Abbas ha chiesto al suo omologo brasiliano Lula de Silva di persuadere l’Iran a smettere di sostenere Hamas. Ma sulla stampa carioca si parla oggi solo della visita di Ahmadinejad, ricevuto dal presidente brasiliano subito dopo il Presidente palestinese. Mentre sulla stampa araba e israeliana la prima notizia ieri erano le trattative indirette sullo scambio di prigionieri tra Hamas e Israele.
|