Termini Imerese, famosa e rinomata per le sue terme e le sue grotte, ma senza alcuna vocazione industriale. Lasciata lì, dimenticata, colonizzata - come del resto l’intero Sud - dalla politica "piemontese" sbarcata con l’Unità d’Italia. Perché allora la Fiat va a prendere posto proprio lì, "laggiù in fondo", a sud del Garigliano? Inizio della storia, cominciamo pure dal 1962, al tempo in cui Vittorio Valletta considera ancora il Sud «un luogo che sta troppo lontano». Lo sbarco al Sud, rompendo il tabù "geografico" della dirigenza Fiat, era iniziato già qualche anno prima, nel 1953; quando Valletta si degna di impiantare uno stabilimento meccanico nei pressi di Napoli, precisamente a Poggioreale. Mica a sue spese. Dare moneta vedere cammello. E infatti Valletta chiede, e ottiene, da quella che si chiama "Banca Internazionale per la ricostruzione e sviluppo", tre bei miliardi di lire. Per la verità, quei soldi sono a nome dell’"Istituto per losviluppo economico dell’Italia meridionale"; ma in sostanza se li pappa lei, la Fiat. Insieme a un bel po’di terreno pubblico, generosamente espropriato all’uopo. Non va granché bene; perdite secche, produzione scarsa e occupazione per neanche mille persone. Valletta allora batte ancora cassa. Su questo fronte, Fiat, Piero Campilli, che ha in mano la Cassa del Mezzogiorno, e Saragat marciano uniti. Nessun dorma. Nel 1961 Valletta entra in Sofis, la Società finanziaria siciliana, come primo passo di presa di possesso del territorio. Un territorio che è zona ideale di bassi salari (là esistono infatti le provvidenziali paghe differenziate, meglio note come "gabbie salariali", evviva) e di sicuri incentivi pubblici. Il paradiso all’improvviso, come quel film. L’anno dopo, 1962, nasce quindi la società Sicilfiat, ma prima di diventare operativa passano anni di progetti e contro-progetti, tra ricerche del luogo "adatto" e di studi sull’"impatto". Un’iradiddio di carte e di pianisoprattutto finanziari, la Fiat mica può sbarcare in quel deserto "laggiù in fondo" senza le debite garanzie; e ci vogliono strade, rotaie, energia elettrica, acqua, terra. E quattrini dello Stato, tanti. Il favoleggiato stabilimento non c’è ancora, ma la Fiat ha già allungato le mani: è riuscita infatti a incassare i contributi di una legge - n.717, 1965- che eroga soldi a chi investe al Sud: modificata ad hoc, in tempo perché i soldi siano dati anche alle grandi imprese; e, vedi caso, la Fiat lo è... Scartate Milazzo, Catania, Siracusa, Carini salta fuori Termini Imerese; e solo nel 1970 la Fiat sicula entrerà in funzione. Mica con roba e soldi Fiat, siete matti. La Regidone, che regala i terreni, partecipa con una quota di investimento pari al 49 per cento della medesima società Sicilfiat. La Fiat c’è; lo stabilimento dell’ex sconosciuta Termini Imerese con soli 350 addetti comincia a produrre la 500; poi la 126 e via via gli occupati diventano 1500, fino a toccare i 3200negli anni Ottanta. Grandi investimenti Fiat al Sud, dunque? Sì, e massicci, un vero record. Ma mica con soldi suoi. In quel decennio lì, la Benemerita di Casa Agnelli ha investito, si calcola, 700 miliardi. Ma, di essi, 106 risultano elargiti dallo Stato in conto capitale; e 227 sotto forma di finanziamenti a tasso agevolato (cioé sempre pagati da Pantalone). Vale a dire: il 48 per cento del totale che va sotto il nome di investimento Fiat nel decennio d’oro, in realtà è "roba nostra". Andate a leggere un libro uscito nel 2002, scritto da Luca Germano, docente dell’Università di Trieste -"Governo e grandi imprese. La Fiat da azienda protetta a global player", Mulino - : lì c’è la lista impressionante dei costanti interventi pubblici a favore della Fiat. Una lista che nei decenni, dagli anni 70 ad oggi, e andata aumentando. Sette anni fa, le stime del ministero per le Attività produttive parlavano di qualcosa come 4.5 miliardi di euro versati complessivamente alla Fiat per"sostenere" Termini Imerese. E sempre per "sostenere" Termini Imerese, «nel decennio successivo, 1988-1998, su un investimento complessivo di 3.340 miliardi, l’onere dello Stato ammonta a 1.855 miliardi pari al 56 per cento»: sotto l’ineffabile forma di «contributi in conto capitale, prestiti obbligazionari, finanziamenti agevolati». C’è da aggiungere che le fonti ministeriali non danno cifre precise su quanto lo Stato ha sborsato sotto la voce dell’altra colossale rapina Fiat che si chiama «cassa integrazione, sia ordinaria che straordinaria». Tuttavia, secondo dati forniti da una indagine della Camera nel 2002, la Fiat ha percepito a questo titolo, nello stesso decennio, almeno 1,2 miliardi di euro (paga sempre Pantalone). Un protezionismo (scusate l’eufemismo) che non ha paragoni in campo internazionale. Numeri alla mano: dal 1977 al 1987, Fiat e Alfa Romeo hanno messo in cassa, per mano governativa, 6,7 miliardi di euro. Un ammontare di aiuti statali molto superiori aquelli percepiti da Renault (4,4 miliardi); Volkwagen (1,5 miliardi); General Motors (1,1 miliardi); Ford (655 milioni). E con ciò? Con ciò - cioé alla faccia dei "soldi nostri" - mentre la Germania, nel famoso decennio, ha aumentato la sua produzione-auto del 13 per cento e la Francia del 40, la Fiat ha diminuito la sua del 15 (sono sempre dati del libro di Luca Germano). Con la manodpera scesa dai circa 4000 ai livelli di oggi, con il territorio devastato e sullo sfondo il drammatico smantellamento. Termini Imerese da manuale: privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite. Lo diceva già un certo Marx.
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