Chissà se tra gli infiniti studi svolti dall’uomo ci sia mai stata una attenta indagine sugli elementi comuni dei maggiori uomini di genio della storia. Con ogni probabilità, per come già appare ad una osservazione a vol d’uccello, un elemento tra i più ricorrenti potrebbe sicuramente risultare una certa eterogeneità nella formazione del pensiero. Molteplici, infatti, furono gli interessi di studio di uno scienziato come Isacco Newton; Albert Einstein, oltre alla conoscenza della matematica e della fisica, suonava il violino; Galileo Galilei fu di robusta formazione letteraria e, figlio del musicista Vincenzo Galilei, addentro all’arte dei suoni; Michelangelo Buonarroti, pittore, scultore ed architetto, coltivò anche l’arte dei versi componendoli secondo schemi metrici canonici, con l’inevitabile esercizio di intelletto che questo comporta; per non parlare della duttilità d’ingegno di Leonardo da Vinci o dell’ampiezza culturale di Dante Alighieri eGiacomo Leopardi. Questa apparente casualità trova una possibile spiegazione nel fatto che ogni disciplina propone particolari meccanismi logici, diversi da quelli delle altre, sì che la mente che li acquisisce si arricchisce di questi e di tante differenti cognizioni e può far convergere il tutto, opportunamente, in un altro particolare campo rivelandosi così originale e creativa. La pratica specifica, insomma, forma il tecnico, ma è la cultura più ampia a favorire il genio. L’algebra, ad esempio, insegna particolari meccanismi logici come che il prodotto di due negatività dà risultato positivo, quanto dire che negare una negazione equivale ad affermare. Ciononostante, la lingua italiana, che evidentemente adotta e rispecchia modalità logiche dei suoi parlanti inveterate nei secoli e pur chiaramente efficaci, contravviene clamorosamente a quel criterio, e due negazioni, lungi dall’affermare, continuano a negare. Così, dire “Non ho mai bevuto vino”, equivale a dire “Mai hobevuto vino” e l’esclusione di una esclusione, ossia “non” e “mai” insieme, continua ad escludere. In geometria, figure con i rispettivi lati nella stessa proporzione si dicono simili, come ad esempio due quadrati di cui uno con i lati lunghi il doppio dell’altro, e si precisa che il primo è più grande del secondo. In pittura, due quadrati del genere, possono invece anche essere ritenuti dall’osservatore assolutamente uguali, ma posti a differenti distanze da lui, uno più vicino, l’altro più lontano. È quella che chiamiamo prospettiva. E la musica? Qual è il contributo di questa disciplina alla formazione del pensiero? Un contributo sicuramente amplissimo. Uno è sicuramente l’arricchimento lessicale attraverso l’acquisizione e la comprensione concreta di tanti termini specifici, ma al tempo stesso di uso comune, come canzone, sinfonia, ritmo, sincope, armonia e molti altri ancora, quindi viene offerto allo studioso tutto un mondo di personaggi, istanze estetiche ed espressionigeniali che si inserisce, amplia e chiarisce il percorso storico dell’umanità. Riguardo poi alla pratica esecutiva, la lettura della notazione musicale è esercizio mentale di decodificazione non trascurabile, dovendo il musicista leggere sul pentagramma le note, ossia i suoni, e le pause, ossia i silenzi, la loro durata, ricordare eventuali indicazioni poste all’inizio del testo e spesso valide per tutto il brano, i numerosi segni che indicano le diverse intensità ed i diversi timbri dei suoni da produrre, momento per momento e, per alcuni strumenti come il pianoforte, leggendo due righi musicali contemporaneamente (uno per la mano destra, l’altro per la mano sinistra), quasi sempre ognuno scritto in un codice di lettura diverso (ossia una diversa chiave musicale) badando anche alle indicazioni per l’uso dei pedali. Dal punto di vista più strettamente esecutivo, il musicista dovrà quindi far corrispondere alle varie indicazioni scritte differenti modi di trattare lo strumentocon il proprio corpo, sicché, tornando all’esempio del pianista, da lui il testo musicale pretende assoluta indipendenza e precisione delle dita in termini di movimento e forza, dei piedi sui pedali, quindi saper comprendere lo schema tecnico e formale del brano che se è una melodia con accompagnamento vorrà i suoni della melodia in evidenza sugli altri, ma se è un brano contrappuntistico, ossia costituito dalla esecuzione contemporanea di più melodie che procedono indipendentemente l’una dall’altra, bisognerà renderle tutte chiaramente percepibili attraverso l’indipendenza di tocco e la loro chiara comprensione intellettuale. Sì perché la musica, a differenza dei linguaggi verbali, permette ed educa alla percezione simultanea, all’ascolto di più linee melodiche contemporanee laddove già due discorsi contemporanei sono di ardua se non impossibile comprensione per uno stesso ascoltatore. Tutti questi sono solo alcuni degli elementi che fanno della pratica musicale, oltre chestraordinario mezzo di formazione e diletto dello spirito, un autentico prodigio cerebrale. Eppure, tra tante manifestazioni sorprendenti della musica, una tra le più sorprendenti è forse, purtroppo, proprio oggi, in Italia, dove, malgrado gli antichi fasti, una corretta educazione alla musica, organica ed armoniosa, sin dall’infanzia, come in tante altre nazioni, e, per gli aspiranti musicisti professionisti, una formazione che veda l’esibizione pubblica e le opportunità concertistiche come elemento fondamentale costante e copiosamente presente, si vedono tanto miseramente languire.
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