-Le sue idee porteranno l’Africa a rivedere la luce. Speriamo che il mondo le sostenga-. Chi parla è Nelson Mandela, l’uomo che è riuscito ad abbattere il regime sudafricano dell’apartheid senza spargimento di sangue. E le idee delle quali parla sono di una delle donne africane più impegnate nella lotta per la preservazione dell’ambiente e la difesa dei diritti umani. Si tratta di Wangari Maathai, 64 anni, etnia kikuyu, ecologista, premio Nobel per la pace nel 2004, parlamentare keniota dal 2002, assistente del ministro per l’Ambiente e le Risorse Naturali nel governo del presidente Mwai Kibaki, fra il gennaio 2003 e il novembre 2005, in prima fila contro le demolizioni forzate delle baraccopoli di Nairobi, a fianco dei ragazzi di strada e per la difesa della proprietà pubblica della terra. Prima donna africana a vincere, meritatamente, il prestigioso riconoscimento, Maathai dopo aver pubblicato nel 2007 l’autobiografico Solo il vento mi piegherà(Sperling & Kupfer, pp. 393, euro 17,50), ha realizzato due anni dopo un testo politico tradotto quest’anno da Nuovi Mondi dal titolo La sfida dell’Africa (pp. 352, euro 18,50). Come si evince dall’indice del libro Wangari prende in esame tutti i principali problemi che affliggono il continente nero per arrivare ad una conclusione e ad un invito rivolto al popolo africano: bisogna agire autonomamente, imparare dai propri errori, svincolarsi insomma da un sistema finanziario imposto dall’Occidente, che alla fine non ha fatto altro che arricchire quel mondo e impoverire gli africani. « La sfida dell’Africa - descrive l’autrice nell’introduzione - è diviso in cinque sezioni: i problemi attuali e le loro radici storiche e culturali (capitoli 1 e 2); il loro contesto economico, politico e internazionale e le loro dimensioni (capitoli 3, 4 e 5); il problema della leadership e della buona gestione delle risorse, sia ai massimi livelli sia alla base della società (capitoli 6 e 7); larelazione complessa e problematica fra identità etnica e stati-nazione nell’Africa contemporanea (capitoli 8, 9 e 10); infine, la centralità dell’ambiente nei problemi dello sviluppo del continente e nelle loro soluzioni (capitoli 11, 12 e 13). Il libro si chiude con un ultimo capitolo dedicato ai problemi degli africani in quanto individui, sia in patria che all’estero». La psicologia degli africani e appunto l’ambiente sembrano i temi a lei più cari. Maathai è la leader del Green Belt Movement , organizzazione nata nel 1977 con il fine di sviluppare la protezione dell’ambiente. Trenta milioni di alberi sono stati piantati dal Gbm, grandi obiettivi sono stati raggiunti ma, osserva lei, «in questi tre decenni alcuni africani hanno abbandonato la lotta in prima linea per perseguire i propri interessi e le proprie ambizioni, mentre altri si sono lasciati prendere dallo sconforto e dalla stanchezza. Alcuni languono nelle loro case o nelle prigioni, altri sono senza tetto o vivono neicampi profughi. Alcuni sperano di essere salvati dai propri governanti, altri aspettano finché non si rendono conto che devono salvarsi da soli, diventando essi stessi, per dirla con le parole del Mahatma Gandhi, quel cambiamento che desiderano vedere nel mondo». La prima donna africana che è riuscita ad ottenere un dottorato di ricerca presso l’Università di Nairobi dà dunque molta importanza -alla sfera morale, spirituale, culturale e persino psicologica-. Da questo aspetto, dice lei, dipende il futuro dell’Africa, e non solo dalle politiche nazionali e internazionali, che pure continuano ad avere un ruolo importante. Come si evince anche dalle motivazioni che hanno indotto l’Accademia norvegese a conferirgli il premio - -Maathai è in prima linea nella battaglia per promuovere ecologicamente uno sviluppo sociale, economico e culturale in Kenya e in Africa e ha adottato un olistico approccio allo sviluppo sostenibile che comprende democrazia, diritti umani e diritti delle donne inparticolare- - per la vincitrice di premi come il "Global 500" del programma delle Nazioni Unite -la causa ecologista è un aspetto importante della pace perché nel momento in cui le risorse si rarefanno, noi ci battiamo per riappropriarcene-. Senza dimenticare che affrontare il tema dell’ambiente significa automaticamente battersi anche per i diritti umani: -Quando cominciai a lavorare seriamente per la causa ambientalista - ha detto Wangari - mi si proposero molte altre questioni: diritti umani, diritti delle donne, diritti dei bambini... e allora non puoi più pensare solo a piantare alberi-. La visione che Wangari ha dell’universo sembra quasi animistica, dove il diritto all’esistenza di ogni essere vivente è alla base della sopravvivenza dell’umanità. Un concetto che spiega con grande chiarezza nelle ultime pagine di La sfida dell’Africa . -Senza esseri umani - scrive l’ecologista - animali, piante e alberi crescerebbero rigogliosi, ma senza queste specie, gli esseri umani nonavrebbero speranza di sopravvivere. Ecco perché pensando ai diritti umani, è necessario raggiungere un superiore livello di coscienza, e riconoscere che anche le altre specie hanno diritto a esistere, ad avere un posto sulla terra-. Una battaglia -in cui tutti gli africani, e in verità tutti i popoli, dovrebbero impegnarsi. Perché quando il suolo sarà spogliato di tutto - le acque inquinate, l’aria avvelenata, gli animali scomparsi e le ricchezze minerali estratte e vendute fuori dal continente - non resterà nulla che potremo dire nostro-. Non possiamo non concludere questa recensione segnalando il rinnovato impegno di Nuovi Mondi sul fronte di un’editoria indipendente e particolarmente attiva su temi che ogni volta devono faticare e sgomitare per ricavare un po’ di visibilità.
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